martedì 5 gennaio 2021

Hans Fallada, “Ognuno muore solo” ed. 2010

                                                   Voci da mondi diversi. Area germanica

Seconda guerra mondiale

Hans Fallada, “Ognuno muore solo”

Ed. Sellerio, trad. C. Coisson, pagg. 740, Euro 16,00

      A Berlino, tra il 1940 e il 1942, una coppia di coniugi sulla quarantina, Otto ed Elise Hampel, sfidarono il Führer portando avanti la loro personale resistenza contro il nazismo. L’idea era stata di Otto: scrivere cartoline anonime con brevi messaggi che avrebbero dovuto risvegliare la coscienza e la consapevolezza di chi le avesse lette e disseminarle nei caseggiati della città. Sapevano entrambi che, se scoperti, sarebbero stati accusati di alto tradimento e giustiziati. Il che avvenne. Otto ed Elise furono arrestati, processati e decapitati nell’aprile del 1943.

    Hans Fallada (pseudonimo per Rudolf Ditzen, scelto da lui stesso prendendo i nomi da due famose favole dei Fratelli Grimm) ricevette dall’autorità per la ricostruzione della Germania il breve incartamento che li riguardava e nel 1946 scrisse, in brevissimo tempo prima di morire nel 1947, il romanzo “Ognuno muore solo”, “il libro più importante sulla resistenza tedesca al nazismo”, nelle parole di Primo Levi.

   Fallada aveva in mano 90 pagine da cui trarre lo scarno materiale per questo splendido romanzo da cui è pure stato tratto un bel film, “Lettere da Berlino”. Diede ai due coniugi i nomi di Otto e Anna Quangel e cambiò il dettaglio del fatto che diede origine alla loro personale ribellione. All’inizio del libro i Quangel ricevono la notizia della morte dell’unico figlio in Francia, mentre nella realtà era stato il fratello di Anna a morire. Il dolore di Anna e quelle sue parole piene di ira e di disprezzo, “tu e il tuo Führer”, che fanno del marito un complice in quello che per lei è un assassinio, oltre al venire a conoscenza che la fidanzata del figlio fa parte di una cellula comunista e allo scoprire che la moglie ha nascosto in casa una vicina ebrea, sono la molla perché Otto escogiti il suo piano.

Un piano donchisciottesco che, in pratica, non avrà nessun risultato: 220 di quelle cartoline finirono subito in mano alla Gestapo e Otto non ne aveva scritto molte di più. Vuol dire che chiunque le abbia trovate le consegnò immediatamente alla polizia, che nessuno voleva esporsi, nessuno voleva avere niente a che fare con quelle accuse disfattiste. Era la paura che fa dell’uomo un vigliacco. Eppure, che incredibile lezione- di coraggio, di onestà e di integrità- diedero i coniugi Quangel. Lui un ometto grigio che non aveva mai letto un libro, capoofficina in una fabbrica metallurgica che faceva lo stesso lavoro da vent’anni, un tipo solitario, senza parenti e senza amici, di poche parole perfino con la moglie. Lei una casalinga grigia quanto il marito, che non aveva mai preso un’iniziativa in vita sua e che ora non ha esitazioni nello schierarsi a fianco del coniuge. In tribunale, così come durante gli interrogatori forzati, ognuno dei due cercò di addossarsi l’intera responsabilità dell’impresa, scagionando l’altro. In prigione, pur sapendo che ‘ognuno muore solo’, nessuno dei due prese una scorciatoia per morire prima senza soffrire. Per non lasciare l’altro solo.

   Quello che sconcerta è l’incredibile dispiegamento di sforzi fatto dalla Gestapo per scoprire “il pilota fantasma”: sembra un tentativo di resistenza così irrilevante, quello dei coniugi Quangel, che pare inconcepibile che venisse considerato seriamente una minaccia. Era irritante, questo sì, come un pulviscolo in un occhio.

   

Otto e Anna Quangel ci spingono a riconsiderare lo stereotipo dell’eroe. Non sempre l’eroe è il cavaliere dall’armatura scintillante. Eroe è chi si batte a prezzo della vita per quello che giudica giusto, per non tradire se stesso, per continuare a rispettare se stesso. E, nell’ampia galleria di personaggi di “Ognuno muore solo”, ce n’è un altro che merita la nostra ammirazione, il commissario Escherisch che finisce per dissociarsi dall’orgia di crudeltà dei suoi compari, per provare disprezzo per se stesso- era questa la causa giusta per cui uccideva? E si uccide.

     Non è questo lo spazio per un’analisi dettagliata del libro e del significato di tutti coloro che Fallada fa vivere nelle sue pagine. 

Il romanzo di Hans Fallada è una lettura obbligata che non tramonta mai, da leggere e da rileggere.

   


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