mercoledì 29 agosto 2018

Robert Menasse, “La capitale” ed. 2018


                                          Voci da mondi diversi. Area germanica
        satira
  cento sfumature di giallo

Robert Menasse, “La capitale”
Ed. Sellerio, trad. M. Pugliano e V. Tortelli, pagg. 452, Euro 16,00

     C’è un personaggio singolare che campeggia e ci resta in mente a fine lettura de “La capitale”, il romanzo con cui lo scrittore austriaco Robert Menasse ha vinto il Deutcher Buchpreis 2017. E’ un maiale. Sfreccia attraverso una piazza di Bruxelles nelle prime pagine, mentre chi lo ha visto si chiede se ha avuto un’allucinazione, ricompare ogni tanto in altri luoghi della capitale, diventa protagonista di articoli di giornali e di una sorta di concorso indetto per dargli un nome- il concorso verrà accantonato quando il nome più gettonato è Muhammad. E il maiale (Muhammad?) diventa una metafora quasi quanto lo scarafaggio kafkiano- pensiamo a di che cosa si nutre un maiale e, leggendo delle discussioni all’interno della Comunità Europea, il raffronto è inevitabile.
    Maiale a parte, tralasciando l’altra immagine di animali fornita dal soprannome di ‘salamandre’ date agli ucraini, non c’è un solo protagonista ( e non potrebbe essercene uno solo, in un romanzo in cui si parla della Unione Europea) ne “La capitale”. Questo è un romanzo corale con tante storie personali che si collegano- a volte labilmente- al tema centrale: dare un nuovo impulso agli ideali della Comunità Europea. L’idea viene ad uno dei membri della Comunità durante un viaggio di rappresentanza ad Auschwitz- sembra un paradosso ma, se alla base della Comunità c’era stato quell’intento, ‘mai più Auschwitz’ per superare i nazionalismi e il razzismo, perché non fare di Auschwitz la capitale dell’Unione Europea? Perché non costruire ad Auschwitz una città interamente nuova, come era stato fatto per Brasilia?

    L’ironia è la cifra stilistica di Robert Menasse, un’ironia sferzante che colpisce tutti i personaggi mentre le varie trame che li vedono protagonisti mettono in luce come l’unione si stia disgregando, come gli accordi bilaterali stiano tornando a prendere il sopravvento- lo dimostra la sottotrama che riguarda gli interessi cinesi nell’acquistare le orecchie di maiale (da noi sono uno scarto- e gli ungheresi ruberanno il mercato agli austriaci) mentre, nello stesso tempo, gli allevatori di maiali sono obbligati a ridurre il numero delle bestie all’ingrasso-, come i rappresentanti siano scarsamente motivati (nessuno vuole essere al dipartimento della Cultura perché è irrilevante) e in rivalità fra di loro.
Solamente i pochi personaggi che non appartengono alla cerchia della Comunità sono diversi- il cocciuto ispettore di polizia  a cui viene intimato di non proseguire le ricerche sul delitto all’Hotel Atlas (che cosa c’è dietro? la Nato? il Vaticano?), il politologo che sembra il superstite di un tempo scomparso e l’anziano David de Vriend, uno degli ultimi sopravvissuti di Auschwitz che sia ancora in vita. Scomparirà la memoria con la morte di David de Vriend? Già ora una bambina gli si avvicina per mostrargli che anche lei ha un tatuaggio sul braccio, è finto ma da grande se ne farà uno vero. Che senso avrà ‘mai più Auschwitz’ nel futuro?
     Intelligente, caustico, insolito. Un libro del nostro tempo.

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