Casa Nostra. Qui Italia
la Storia nel romanzo
Marco Balzano, “Resto qui”
Ed.
Einaudi, pagg. 180, Euro 18,00
L’occupazione. La scelta. La guerra. La
diga. La storia di Curon, un paesino della Val Venosta vicino al confine con
l’Austria, raccontato da Trina in una sorta di lunga lettera che è quasi un
diario in cui si rivolge alla figlia, si potrebbe riassumere in queste quattro
parole che ne scandiscono i tempi. E, in un certo qual modo, sono parole che
contengono tutte il buio di una minaccia, che sanno di tragedia e di dolore. Lo
stesso dolore che si avverte nascosto nella voce della donna che scrive, che
parla di una lontananza- è morta la figlia che lei ricorda bambina? Oppure?
Si parla il tedesco a Curon. Quando i
fascisti di Mussolini arrivano a Bolzano nel 1922, avviene un’italianizzazione
forzata: perfino i nomi sulle lapidi del cimitero vengono cambiati. E’ proibito
indossare il vestito tradizionale, proibito parlare tedesco e gli insegnanti
nelle scuole sono sostituiti da altri che arrivano dal Veneto, dalla Lombardia,
dalla Sicilia. Si crea una spaccatura, un crepaccio- ‘noi’ e ‘loro’, dove ‘noi’
sono gli abitanti del posto che non capiscono ‘loro’, gli intrusi, gli
usurpatori, quando parlano. Trina ha un diploma da maestra eppure non può
insegnare. E’ ben contenta quando il prete le chiede di fare lezione in una
‘catacomba’, una scuola clandestina. I fascisti parlano anche di costruire una
diga- sarebbe la rovina di Curon che finirebbe sott’acqua.
Nel 1939 è il momento della scelta. Hitler
ha annesso l’Austria. Ai tedeschi del sudTirolo viene data la possibilità di
entrare nel Reich, se vogliono. Questa volta sui due lati del crepaccio i ‘noi’
e ‘loro’ sono chi resta e chi va. E chi resta è chiamato spia o traditore.
Trina, suo marito Erich e i suoi genitori restano. Ma la famiglia si è
spaccata, Trina non riuscirà mai a superare il dolore del tradimento di chi,
invece, è partito sottraendole una parte di sé- la divisione di questa famiglia
diventa il simbolo più dolente di quella di un intero paese. E intanto arrivano
ingegneri e manovali. L’ombra della diga incombe.
Scoppia la guerra e sulla porta del
municipio dei fogli (Erich deve farseli tradurre da Trina) annunciano che un
decreto governativo concede il permesso di costruire la diga. La catastrofe che
coinvolge mezza Europa ha lo stesso rilievo di quella che riguarda il paesino
di montagna- la guerra prima o poi passerà, la diga resterà, e che ne sarà dei
contadini, delle loro case, delle loro bestie? Si apre un’altra crepa nel
paese, un’altra spaccatura nelle famiglie- nazisti e non nazisti, Erich viene
arruolato, torna ferito e dice che scapperà sulle montagne piuttosto che
combattere ancora, suo figlio inneggia a Hitler.
Le guerre passano e la diga resta. La
guerra finisce con il suo strascico di dolore e dopo un paio di anni riprendono
i lavori della diga. Che saranno completati questa volta.
“Resto qui” è un grido di appartenenza. E’
un romanzo costruito come una serie di scatole cinesi- la storia di una
famiglia dentro la storia di un paese dentro la Storia più grande di una
nazione dentro quella ancora più grande d’Europa. E la voce narrante di una
donna, voce chiara ma non abbastanza forte, rappresenta tutta la gente comune
che dalla Storia è travolta, che è impotente a fare alcunché per contrastarla. ‘Resto
qui’ diventa non solo la protesta di Erich e di Trina, inudibile nel rombo
delle acque che allagano il paese e i campi, ma anche quella del campanile
solitario che svetta fuori dal lago artificiale, memento perenne di una
violenza, di un passato cancellato con la forza.
“Resto qui” di Marco Balzano si è
classificato al secondo posto per il premio Strega 2018. Un bel libro.
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