martedì 7 agosto 2018

Olga Grushin, “La vita di sogno di Suchanov” ed. 2007

                                                Voci da mondi diversi. Russia
     la Storia nel romanzo
     il libro ritrovato

Olga Grushin, “La vita di sogno di Suchanov”
Ed. Ponte alle Grazie, trad. Serena Prina, pagg. 398, Euro 18,00

    “Non permettere che nessuno ti tagli le ali”, aveva lasciato scritto il russo Pavel Suchanov in un ultimo messaggio al figlio Anatolij. Pavel Suchanov che si era lanciato dalla finestra al ritorno dai lunghi anni in cui era stato “in ospedale”: ma ci era stato veramente? Era vero quello che gli aveva detto la madre molto più tardi, che suo padre era folle? O lo avevano ricoverato con una falsa diagnosi di follia? O si era fatto passare per folle per non essere mandato in un gulag? E poi era uscito da quell’ospedale nel 1942 con le ali spezzate, come aveva dimostrato nel volo dalla finestra, schiantandosi sul marciapiede.
Il motivo delle ali come simbolo di libertà è uno dei leit-motiv de “La vita di sogno di Suchanov”, primo romanzo di Olga Grushin, che è nata a Mosca nel 1971 e attualmente vive a Washington. Dall’uccellino in gabbia della madre di Anatolij Suchanov, che scatena in lui una lunga serie di ricordi, alle figure stregate che volano leggere nell’aria dei dipinti di Chagall (uno dei genii disconosciuti dalla madre Russia che lo ha obbligato ad un esilio volontario), allo stormo di colombi intorno alla statua di Gogol che Anatolij bambino si divertiva a far alzare in volo- tutte immagini che ci riportano alla vita di Suchanov al tempo della vicenda, nella Mosca del 1985, vicino al grande cambiamento in cui nessuno, meno che mai Suchanov, osa sperare.

     Suchanov è adesso un critico d’arte, era un pittore che ha svenduto il suo genio, barattandolo per la sicurezza economica. Questo è il suo tormento che, in una spirale di tempo che si riavvolge su se stessa, lo porterà alla follia- come era successo a suo padre. L’inizio della fine è una mostra in onore del suocero, famoso pittore del realismo sovietico (un tempo il giovane Suchanov l’aveva definito “un asino borioso”), nell’ambito spazio espositivo del Maneggio. Quasi un quarto di secolo prima uno dei quadri innovativi di Suchanov era stato esposto al Maneggio insieme ad un dipinto del suo amico Lev- nessuno li aveva visti, Krushev li aveva fatti rimuovere, Suchanov e l’amico Lev avevano perso il lavoro. E avevano imboccato strade diverse, senza incontrarsi più fino a questa sera del 1985. Suchanov, così orgoglioso, appassionato, innamorato della bellezza che gli era stata rivelata da bambino nel quadro della Venere del Botticelli, aveva finito per accettare il lavoro di direttore di una rivista d’arte. Nascondendo i quadri, anche quello che reinterpretava una Venere circonfusa di fiori con il volto di sua moglie. Facendo suo il principio sovietico che “la bellezza è per i borghesi”. Condannando Dalì e tutti gli “ismi” occidentali come “manifestazione dell’insolvenza del capitalismo”. Mentre adesso Lev lo invita ad una sua mostra, a vedere i suoi quadri che sono solo pallide imitazioni di qualche artista europeo. Valeva la pena il sacrificio della propria vita e di quella di altri per inseguire un sogno? E se ci si è sbagliati? Se uno non ha le ali?

    Suchanov vive ora quel sogno che non è stato capace di perseguire: una volta che iniziano i ricordi, Anatolij Suchanov entra ed esce dal sogno, passando dal presente al passato per tornare al presente. E se sono il presente e la realtà a prevalere all’inizio, aumentano poi i segnali di un cambiamento che Suchanov non sa interpretare- è proprio vero che deve pubblicare un articolo su Dalì? Sarà un tranello? E perché non ha più l’auto con l’autista?-, aumentano i ricordi- del padre, del suo insegnante di pittura, dell’incontro con la moglie e dell’amicizia con Lev, di tele dipinte che erano un inno alla bellezza. E infine non c’è più uno stacco tra presente e passato, il tempo verbale usato per il passato è il presente, persone conosciute un tempo gli riappaiono con un altro nome, lo riafferrano, riportandolo indietro. Indietro fino alla chiesa abbandonata dove potrà dipingere sui muri, solo e libero.

    Attraverso la storia di un uomo in un regime che stritola e soffoca, il romanzo della Grushin è anche la storia di una forma d’arte, la pittura, muta di per sé, ma con una forza rivoluzionaria di impatto più grande delle parole perché più immediato, e ancora più pericoloso. Ma un quadro non può circolare in samizdat, non può superare le frontiere nascosto in una tasca- il suo destino, sotto una dittatura, è il silenzio.

la recensione è stata pubblicata sulla rivista Stilos



                                                                                          

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