Voci da mondi diversi. Africa
commedia
Yewande Omotoso, “La signora della porta accanto”
Ed. 66thand2nd, trad. Natalia
Stabilini, pagg. 256
Katterijn, un’area elegante di Città del Capo. Quando, vent’anni fa,
Hortensia James, che ora ha 85 anni, è andata ad abitare al numero 10, era la
prima donna di colore ad essere proprietaria di una casa a Katterijn. Il fatto
che suo marito fosse bianco aumentava le chiacchiere e i pettegolezzi. Il fatto
che lei, Hortensia, fosse un’affermata disegnatrice di tessuti non era di alcun
rilievo. Era iniziata subito una sorta di braccio di ferro, una battaglia
combattuta a colpi di parole durante le riunioni della comunità durante le
quali un’Hortensia altera e sdegnosa prendeva la palla al balzo per
sottolineare il razzismo (troppo spesso celato sotto una certa condiscendenza)
delle altre donne. L’antagonista numero uno di Hortensia è la sua vicina di
casa, Marion Agostino, 81 anni, architetto. La famiglia di Hortensia viene
dalle Barbados, quella di Marion era di ebrei lituani. E se Marion abita al
numero 12, il suo sogno è sempre stato di acquistare il numero 10- la prima
casa da lei progettata, come un primo figlio per lei che, da bambina, aveva
detto ‘vorrei essere una casa’, correggendosi poi in ‘vorrei essere una casa
umana’.
Se le parole fossero coltelli, se gli
sguardi potessero uccidere, Hortensia e Marion sarebbero già morte entrambe. E
da un pezzo. Ora sono entrambe vedove, e il marito di ognuna ha riserbato loro
una sgradevole sorpresa con il testamento. Marion non ha più un soldo e dovrà
vendere la casa, Hortensia ha una figliastra di cui non sapeva nulla e deve
entrare in contatto con lei secondo le disposizioni testamentarie. Peggio
ancora. Succede un incidente, Hortensia è immobilizzata, con il suo
caratteraccio nessuna infermiera la sopporta (e lei non sopporta loro), la
soluzione che fa comodo a entrambe è che Marion si trasferisca temporaneamente
al numero 10.
La scrittrice sudafricana Yewande Omotoso
esordisce brillantemente con questo romanzo lieve e profondo, toccante ed
esilarante. Perché la storia delle due donne anziane e litigiose si sposta
agilmente tra presente e passato, ricostruisce l’incanto e le difficoltà della
storia d’amore di una coppia mista negli anni ‘50 (i genitori inglesi di Peter
chiedono apertamente di che colore saranno i loro nipotini), il muro di
silenzio eretto dai genitori di Marion sugli eventi europei che li avevano
portati in Sud Africa, il successo sul lavoro di entrambe, l’arrivo dei figli-
4, uno dopo l’altro- per Marion e il desiderio insoddisfatto di figli per Peter
e Hortensia. Le due donne non smettono di battibeccare solo perché convivono
per necessità. E tuttavia gli scontri verbali sono per ognuna l’occasione di
indagarsi- perché nessuno dei figli di Marion si preoccupa per lei? perché Peter
aveva tradito Hortensia? perché Hortensia è restia a permettere ai discendenti
di coloro che un tempo possedevano il terreno su cui è eretta la sua casa di
tenere lì una cerimonia funebre? Come ha potuto Marion comportarsi come ha
fatto, dire quello che ha detto, ogni volta che aveva a che fare con persone di
colore?
Le difficoltà pratiche ed economiche si
risolvono, non è mai troppo tardi per essere onesti con se stessi, ma…si può
cambiare il carattere quando si hanno superati gli ‘80? Non poteva che
terminare in maniera buffa il bel romanzo di Yewande Omotoso che intreccia con
garbo le vicende private delle due protagoniste con la storia del SudAfrica
rivissuta attraverso quelle stesse piccole vicende private.
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