Ed. Corbaccio, trad. Manuela
Frassi, pagg. 316, Euro 17,60
Guy Stockdale, giudice di 62
anni, chiede il divorzio per sposare la ragazza trentunenne che è da sette anni
la sua amante. Terremoto in famiglia: la moglie tradita e abbandonata cerca sostegno
affettivo presso il primogenito Simon. Come conseguenza il matrimonio di questi
rischia la crisi; intanto Jack, sedicenne figlio di Simon, scopre l’amore ed
esperimenta la prima delusione; anche l’altro figlio di Guy, che è omosessuale,
si innamora…Tutto si sistema, alla fine, in modo diverso da come ci si aspetta.
INTERVISTA CON JOANNA TROLLOPE, autrice di “Un’amante da sposare”
“Tre o quattro famiglie in un villaggio di
campagna è la cosa giusta su cui lavorare”, scriveva Jane Austen in una lettera
alla nipote Anna. Era il 1814. Quasi duecento anni dopo è questa frase che
ricordiamo, leggendo “Un’amante da sposare” della scrittrice inglese Joanna
Trollope (nome noto agli amanti della letteratura, perché il romanziere Anthony
Trollope è un suo antenato) e pensando alle altre sue opere. E’ sempre un
piccolo mondo, quello di Joanna Trollope, molto spesso i suoi personaggi vivono
in piccole città, recandosi magari a Londra per lavoro. Quello che interessa
alla Trollope, come a Jane Austen, sono i rapporti umani, quelli famigliari
prima di tutto. Osservare come interagiscono le persone, come rispondono ai
grandi piccoli eventi della vita quotidiana che sono l’esperienza di tutti.
Innamoramenti e tradimenti, matrimoni e separazioni, incomprensioni tra
genitori e figli, tra fratelli e sorelle, o tra amici. Manca l’ironia leggera
che pervade le pagine della Austen, ma c’è la stessa ampia comprensione per i
comportamenti umani, con tutte le sue fragilità e debolezze. Non sono più i
tempi di una salda morale ottocentesca, ma i personaggi della Trollope sanno
che cosa è bene e che cosa è male, e cercano di vivere con onestà verso se
stessi e gli altri. Non c’è mai niente di esagerato o di estremo, la Trollope ama mettere in scena
la borghesia, la middle-class inglese che ha studiato non necessariamente nelle
famose ed esclusive public school- Guy ha studiato legge ed è arrivato ad
essere giudice, sia suo figlio sia Merrion, la ragazza di cui Guy si è
innamorato, sono avvocati, la moglie di Simon dirige uno studio medico. Vivono
in quelle case con giardino così splendidamente inglesi- più bella quella di
Guy, più modesta quella di Simon che si è ritrovato molto giovane ad avere già
tre figli.
In questo ambiente sereno la crisi nasce
quando Guy annuncia che vuole divorziare. Sarebbe facile attribuire la
decisione al rimbambimento senile, liquidare il suo sentimento come il tipico
amore dell’uomo anziano per la ragazza giovane. E mentre la Trollope , nel raccontarci
dell’infanzia di Merrion Palmer pone le premesse perché la ragazza diventi
l’amante di un uomo più anziano che sostituisca il padre che non ha quasi
conosciuto, il suo lavoro per spiegare come possa il tranquillo Guy, marito
fedele da quarant’anni, padre e nonno, innamorarsi di una giovane donna
incontrata sul treno è più sottile. Perché all’inizio il lettore simpatizza,
inevitabilmente, con la moglie abbandonata. La prima reazione è la stessa della
sessantenne Laura- ma come, è questa la ricompensa per aver dedicato tutta la vita
al marito e ai figli? Poi, telefonata su telefonata, dopo comportamenti
irragionevoli e ricatti affettivi al figlio primogenito, lentamente cambia la
prospettiva da cui osserviamo la situazione: fino a che punto Laura è una
vittima impotente? Non ha forse scelto la sua vita? Non ha sempre manipolato
gli altri? E non continua a farlo adesso, rischiando di far naufragare il
matrimonio del figlio?
Tutti i personaggi subiscono un cambiamento in quei brevi mesi che
passano tra l’annuncio-bomba e la conclusione della vicenda. Tutti vengono
portati a confrontarsi con se stessi e ad assumere la responsabilità delle loro
decisioni e dei loro comportamenti. Per i più giovani, per la coppia
Simon-Carrie, per l’adolescente Jack alle prese con il primo amore, per
“l’amante” Merrion, si potrebbe dire che “crescono”, che diventano più adulti
con questa esperienza. Difficile dire la stessa cosa per Laura e per Guy che
giovani non sono più. Eppure non si finisce mai di crescere e di imparare dalla
vita. Imparare anche che amare può voler dire rinunciare a chi si ama. E’
elegante persino la fine, non scontata, di questo romanzo femminilmente
raffinato. Stilos ha incontrato la scrittrice inglese.
Nel suo romanzo precedente l’argomento era un rapporto fratello/sorella,
questa volta il personaggio principale è un uomo di 62 anni: che cosa l’ha
spinta a scrivere dal punto di vista di un uomo?
Ho un’opinione sui cliché e questo, del
marito, la moglie e l’amante, è uno dei più vecchi, è vecchio come il mondo. Io
ho l’idea che i cliché esistano quando capitano nella vita degli altri: se un
cliché, ad esempio il tradimento sessuale, succede nella tua vita, è come se
fosse la prima volta nella storia del mondo. E un romanziere deve ricordarsi di
questo pensando ai lettori. E allora ho pensato che avrei trattato uno dei più
vecchi cliché, quello del triangolo, e lo avrei capovolto per suggerire ai
lettori di guardare diversamente la situazione. Invece del tipico uomo nella
posizione del bastardo e quindi della moglie che automaticamente diventa la
vittima e l’amante che è la
Jezabel che rompe le famiglie, la predatrice sessuale,
suggerisco al lettore che qui abbiamo un uomo buono e gentile che ha sopportato
decenni di attrito emozionale nel suo matrimonio, con una moglie che ha
esercitato il suo potere insistendo che è la vittima della sua ambizione e
della sua personalità, mentre l’amante è una donna simpatica e attiva e in
gamba. Per vedere dove poi si va a finire.
Lei capovolge la situazione, in quale modo la moglie abbandonata non è
più la vittima?
E’ la vittima nel senso che è spaventoso e
tremendo essere abbandonata così tardi nella vita, perché Laura è sulla
sessantina. E invece non è una vittima nel senso che se lo è voluto. Le due
azioni, o i due codici di condotta nella sua vita, che le rimbalzano addosso
sono- la sua persecuzione continua e passiva del marito e il tentativo di
trasformare il figlio in un surrogato del marito. Poiché ha detto a se stessa e
al mondo che il marito non la capisce, ha deciso di fare del figlio il sostegno
emotivo che secondo lei il marito non è. Alla lunga né l’una né l’altra di queste
posizioni reggono perché ingiuste nei
confronti degli uomini con cui ha a che
fare.
In che senso parla di persecuzione passiva da parte di Laura?
La sua è una persecuzione passiva perché il suo atteggiamento non è mai
aggressivo: ha una bella casa, si occupa del giardino, non è mai stata
infedele, ha tirato su i figli, ha sempre fatto trovare il pranzo in tavola, ma
ha minato il marito in maniera sottile facendogli sentire che non la capisce,
senza spiegare che cosa vuole, le piacerebbe tornare a lavorare ma è
impossibile perché è inconciliabile con l’essere una buona moglie per lui. In
modo silenzioso gli ha detto che si è sacrificata per lui, non lo ha fatto in
maniera aggressiva, ma lo ha suggerito, accennato con il suo atteggiamento, ed
è quello che io chiamerei “persecuzione passiva”, perché al mondo esterno lei
appare come la moglie perfetta.
Non sarebbe stato più chiaro il significato se il marito non si fosse
innamorato di una ragazza con la metà dei suoi anni, ma di una donna più
matura?
Penso che per la maggior parte degli
uomini, anche per i più cerebrali, il sesso è una lingua ed è la lingua
dell’amore, il sesso è rassicurante per molti uomini. Non lo sottolineo nel
romanzo, ma accenno al fatto che anche a letto Laura era passiva, e Guy è un
uomo attraente che ha sempre ammirato le donne e non ha mai tradito la moglie.
Questo incontro è per molti modi un incidente e il mio intento nel fare di
Merrion una ragazza giovane è creare un dramma. Come scrittrice di romanzi so
l’importanza che ha la tensione drammatica, anche perché qui c’è la
complicazione dei figli, lei è una donna della loro generazione, e la tensione
in un romanzo è quella che fa girare le pagine.
Il titolo in italiano è “Un’amante da sposare”, in inglese la parola
usata è mistress, una parola che in
passato aveva una connotazione negativa e che è ormai antiquata: perché l’ha
usata? Perché Merrion la usa riferendosi a se stessa?
Sì, è una parola antiquata e implica anche
che la donna sia mantenuta dall’uomo. Il motivo per cui ho usato questa parola
è curioso: ho pensato ad un tremendo seduttore, James Goldsmith, che viveva
apertamente un tipo di vita “europeo”, manteneva una donna, aveva avuto più
mogli, parecchi figli e tutti belli. Goldsmith una volta aveva detto: “quando
un uomo sposa la sua amante, automaticamente crea un posto vacante”, e io
allora avevo pensato, ‘che patetico, che uomo insicuro’ e anche ‘che bel titolo
per un romanzo’, e ho tenuto da parte questo titolo per anni. Oggigiorno la
parola mistress è antiquata, c’è più
qualità in questo rapporto. Al giorno d’oggi non ci sono più le mantenute e la
parola più adeguata è lover. Merrion usa
ironicamente la parola mistress, per
spingere oltre Guy: la loro relazione dura da sette anni, sono al punto in cui
un rapporto deve muoversi, lei scherza sull’età di lui, perché per lei parte
del fascino di Guy è nel suo essere anziano.
Il romanzo è anche sul significato di essere madri, ci sono tre madri
nel libro: Gwen, la madre dell’amante, Laura e poi Carrie, la moglie del figlio
Simon. Quali tipi diversi di madre voleva rappresentare con queste tre donne?
Anche se tutte le madri hanno qualcosa in
comune, sono foggiate dall’esperienza della loro infanzia e dalla figura delle
loro madri. L’insicurezza e l’insoddisfacente rapporto con gli uomini trasformano
Gwen in una madre governata dalla paura e dall’ansia. E’ nervosa, perché
desidera proteggere Merrion da quello che lei ha sofferto. Laura, invece, ha
avuto l’opportunità di essere una madre generosa. Suo figlio Simon la ricorda
come sempre dedita a loro. Ma mentre i figli crescono, lei non progredisce, non
diventa meno possessiva, non accetta che i figli crescano e se ne vadano, non
tiene presente che i figli ci vengono prestati e non ci appartengono. Quando il
suo matrimonio crolla, lei chiede di più dal primogenito e meno dal secondogenito,
che è gay. Il suo ruolo di madre si rovescia mentre lei invecchia: un tempo era
il bambino Simon che dipendeva da lei, ora è lei a dipendere da lui. Invece
Carrie, secondo me, è la più equilibrata, è preparata a lasciare che i figli la
vedano così come è, con i momenti di esasperazione e di debolezza. Carrie è
pronta ad essere amica dei figli e i figli sono pronti ad essere suoi amici.
Il nipote di Guy, Jack, va dal nonno per aiuto quando è infelice:
perché questo episodio è un punto di svolta nel romanzo?
Perché è emblematico della crisi della
famiglia di Simon e Carrie, i genitori di Jack. Jack va dal nonno a cercare
aiuto per istinto, perché i suoi genitori sono troppo presi dalla loro crisi.
Va da qualcuno in famiglia con cui può confidarsi e mantenere la sua dignità.
Qualcuno di cui si può fidare. E questo dà uno scossone alla sua famiglia-
spesso c’è bisogno di uno shock per accorgersi di quanto sta accadendo. Fino ad
ora il segreto della loro relazione ha protetto Merrion dalla realtà della
famiglia, adesso riflette sulle esigenze di ognuno e sulle richieste che ognuno
avanza sugli altri- a lei pare allarmante perché non ci è abituata, ha sempre
avuto solo sua madre. Quando Guy le telefona che non può andare a Londra da lei
perché deve prendersi cura del nipote, questa è per Merrion la prima volta che
passa in secondo piano e non si comporta da adulta. Voglio enfatizzare che, per
quanto si sia colti, per quanto si sia persone civili, le emozioni primitive
sono sotto la pelle, la gelosia, la vendetta, la paura, il desiderio: basta
schiacciare un bottone e vengono in superficie.
Questo è anche un romanzo sui diversi stadi dell’amore? Di come l’amore
cambia con l’età e di come si debba lavorare sull’amore per seguirne i
cambiamenti?
Certamente: quello che soddisfa a vent’anni,
non soddisfa più a 30 o 40 o 60. Uno dei piaceri dell’invecchiare è capire
quanto più ampio è il panorama dell’amore. Ad esempio, a 25 anni è impossibile
immaginare il piacere di essere nonni.
Ha messo nella storia anche una coppia gay: per allargare il
significato dell’amore? Per stare al passo con i tempi?
In parte sì, ma in parte è anche per dare
un’altra prospettiva sull’amore. Mi serviva come un meccanismo per dare un
porto sicuro a Laura. Parlando con parecchi uomini sui loro rapporti con le
madri, mi è sembrato che gli uomini etero abbiano dei rapporti più complicati
con la madre, che i gay siano più a loro agio. Sembra che le madri accettino
più facilmente gli amanti gay dei figli. E questo legame gay mi serve nel
romanzo anche per togliere un po’ di fuoco dalle coppie eterosessuali.
Alla fine del romanzo siamo preoccupati per il futuro di Guy: dopo
tutto è l’unico che resterà da solo. Non era preoccupata anche lei per il suo
personaggio?
Certo che sì, però Guy ora sta meglio con la sua famiglia, prima Laura
era sempre in mezzo tra lui e i figli. Tacitamente lei diceva che i figli erano
suoi, lui aveva il lavoro. Adesso Guy si sente incluso nella vita dei figli
come mai gli era successo prima. E poi Guy è il tipo di uomo che si farà
senz’altro dei nuovi amici nel lavoro, non troverà un nuovo amore ma la sua
compagnia sarà sicuramente ricercata. Sono più preoccupata per Merrion, perché
è un tipo solitario, avrà degli amici ma forse non si sposerà. Avrà successo
con la sua professione.
I suoi romanzi sono sempre su rapporti personali e sentimenti: pensa
prima ad una situazione oppure le vengono prima in mente i personaggi e la
vicenda li segue?
Prima viene la situazione e poi i
personaggi, l’ambiente e la trama. Ho presto in mente un quarto della storia e
la fine- so dove vado ma non so come. C’è tutto perché la storia si sviluppi
organicamente come la vita, almeno spero.
Il lettore è sempre colpito dalla spontaneità delle voci dei suoi
personaggi: li “sente” parlare mentre scrive?
Sì, mentre scrivo racconto un film che vedo
nella mia testa: vedo e sento tutti i miei personaggi.
Non ci sono riferimenti ad avvenimenti storici nei suoi romanzi, le
storie di queste persone potrebbero avvenire in qualunque tempo: è una sua
scelta?
I miei romanzi sono ambientati in Inghilterra perché io sono inglese, il
riferimento sociale è inglese ma la situazione è senza tempo e “global”: un
cuore infranto è lo stesso a Toronto e a Torino.
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