venerdì 4 maggio 2018

Alessandro Robecchi, “Questa non è una canzone d’amore” ed. 2014


                                                                       Casa Nostra. Qui Italia
                                                                   cento sfumature di giallo

Alessandro Robecchi, “Questa non è una canzone d’amore”
Ed. Sellerio, pagg. 420, Euro 15,00
    
   Dopo aver ‘scoperto’ Alessandro Robecchi leggendo “Follia d’amore” (meglio tardi che mai), ho deciso che avrei letto anche i suoi romanzi precedenti- “Questa non è una canzone d’amore” è il primo della serie che ha per protagonista Carlo Monterossi, l’autore televisivo che ha raggiunto il successo con la trasmissione Crazy Love. Quella che gli sembrava un’idea brillante- raccontare le vicende sentimentali della gente comune che avrebbe parlato in diretta- ora gli dà la nausea. Lasciare che i panni sporchi vengano lavati davanti ad un pubblico morbosamente curioso è come aprire un vaso di Pandora con conseguenze inaspettate- c’è anche chi è morto davanti agli spettatori facendo alzare vertiginosamente l’indice di ascolto mentre l’implacabile conduttrice ripeteva trionfante il suo mantra, anche questo fa fare l’amore.
Carlo Monterossi si ritira dalla tv, sordo alle suppliche della conduttrice e della sua manager. Poi, una sera, senza neppure guardare il videocitofono, apre il portone ad uno sconosciuto che gli si presenta davanti a volto coperto e con la pistola in mano. Con prontezza di spirito Carlo Monterossi si salva, ma da questo momento inizia una girandola di avvenimenti a cui si fa fatica a tenere dietro.
Come dice uno dei personaggi, sembra di essere alla caccia alla volpe in cui sono in tanti ad inseguire la bestia. Succede così anche in “Questa non è una canzone d’amore” in cui ogni nuovo episodio di violenza è come una tessera del domino- una donna muore in un incidente d’auto e chi ha provocato l’incidente non si ferma per prestare soccorso,qualcuno provoca un incendio in un campo rom e un bambino muore, due killer inseguono un uomo che, guarda caso, è nel mirino anche di una coppia di zingari, una ragazza sconta mesi di carcere al posto del suo ragazzo (anche questo fa fare l’amore), spuntano armi da collezione di nostalgici del nazismo. Sullo sfondo Milano, quella della periferia e quella del centro, con la colonna sonora di Bob Dylan che sembra avere le parole giuste con la canzone giusta per ogni situazione.
    Il ritmo dell’azione è serratissimo in “Questa non è una canzone d’amore”, e lo è pure quello del linguaggio. Le battute umoristiche e i dialoghi frizzanti abbondano, forse un po’ troppo. Abbondano anche i morti, un’ecatombe alla fine. Ecco, c’è un po’ troppo di tutto in questo primo romanzo della serie, quasi che l’autore voglia sperimentare, cercare per tentativi la sua voce. Troppe battute alla velocità del lampo che  a volte suonano forzate e a volte perfino grottesche. E succedono troppe cose.

  C’è qualcosa però di molto intelligente e che mi è piaciuto molto nel romanzo- il filone dell’anche questo fa fare l’amore, con il suo doppio risvolto. Se da una parte il messaggio televisivo sembra giustificare tutto in nome dell’amore, dall’altra il personaggio di Marzia che finisce per rifiutare il suo ruolo di vittima comunica tutt’un altro significato- è ora di smitizzare la parola ‘amore’, è ora di sfrondarla delle leziosità e di ogni superficialità da cioccolatino Perugina, è ora di smetterla di giustificare comportamenti aberranti in nome di qualcosa che non ha niente a che fare con l’amore. Ci dice questo, Alessandro Robecchi, usando il mezzo della commedia e del noir, stuzzicando la nostra attenzione, provocando la nostra reazione con l’uso del paradosso.


   

Nessun commento:

Posta un commento