Casa Nostra. Qui Italia
cento sfumature di giallo
Alessandro Robecchi,
“Questa non è una canzone d’amore”
Ed. Sellerio, pagg. 420, Euro 15,00
Dopo aver ‘scoperto’ Alessandro
Robecchi leggendo “Follia d’amore” (meglio tardi che mai), ho deciso che avrei
letto anche i suoi romanzi precedenti- “Questa non è una canzone d’amore” è il
primo della serie che ha per protagonista Carlo Monterossi, l’autore televisivo
che ha raggiunto il successo con la trasmissione Crazy Love. Quella che gli sembrava un’idea brillante- raccontare
le vicende sentimentali della gente comune che avrebbe parlato in diretta- ora
gli dà la nausea. Lasciare che i panni sporchi vengano lavati davanti ad un
pubblico morbosamente curioso è come aprire un vaso di Pandora con conseguenze
inaspettate- c’è anche chi è morto davanti agli spettatori facendo alzare
vertiginosamente l’indice di ascolto mentre l’implacabile conduttrice ripeteva
trionfante il suo mantra, anche questo fa
fare l’amore.
Carlo Monterossi si ritira dalla
tv, sordo alle suppliche della conduttrice e della sua manager. Poi, una sera,
senza neppure guardare il videocitofono, apre il portone ad uno sconosciuto che
gli si presenta davanti a volto coperto e con la pistola in mano. Con prontezza
di spirito Carlo Monterossi si salva, ma da questo momento inizia una girandola
di avvenimenti a cui si fa fatica a tenere dietro.
Come dice uno dei
personaggi, sembra di essere alla caccia alla volpe in cui sono in tanti ad
inseguire la bestia. Succede così anche in “Questa non è una canzone d’amore”
in cui ogni nuovo episodio di violenza è come una tessera del domino- una donna
muore in un incidente d’auto e chi ha provocato l’incidente non si ferma per
prestare soccorso,qualcuno provoca un incendio in un campo rom e un bambino
muore, due killer inseguono un uomo che, guarda caso, è nel mirino anche di una
coppia di zingari, una ragazza sconta mesi di carcere al posto del suo ragazzo
(anche questo fa fare l’amore),
spuntano armi da collezione di nostalgici del nazismo. Sullo sfondo Milano,
quella della periferia e quella del centro, con la colonna sonora di Bob Dylan
che sembra avere le parole giuste con la canzone giusta per ogni situazione.
Il ritmo dell’azione è serratissimo in
“Questa non è una canzone d’amore”, e lo è pure quello del linguaggio. Le
battute umoristiche e i dialoghi frizzanti abbondano, forse un po’ troppo. Abbondano
anche i morti, un’ecatombe alla fine. Ecco, c’è un po’ troppo di tutto in
questo primo romanzo della serie, quasi che l’autore voglia sperimentare,
cercare per tentativi la sua voce. Troppe battute alla velocità del lampo
che a volte suonano forzate e a volte
perfino grottesche. E succedono troppe cose.
C’è qualcosa però di molto intelligente e che mi è piaciuto molto nel
romanzo- il filone dell’anche questo fa
fare l’amore, con il suo doppio risvolto. Se da una parte il messaggio
televisivo sembra giustificare tutto in nome dell’amore, dall’altra il
personaggio di Marzia che finisce per rifiutare il suo ruolo di vittima
comunica tutt’un altro significato- è ora di smitizzare la parola ‘amore’, è
ora di sfrondarla delle leziosità e di ogni superficialità da cioccolatino
Perugina, è ora di smetterla di giustificare comportamenti aberranti in nome di
qualcosa che non ha niente a che fare con l’amore. Ci dice questo, Alessandro
Robecchi, usando il mezzo della commedia e del noir, stuzzicando la nostra
attenzione, provocando la nostra reazione con l’uso del paradosso.
Nessun commento:
Posta un commento