giovedì 11 gennaio 2018

Haruki Murakami, “La ragazza dello Sputnik” ed. 2002

                          Voci da mondi diversi. Asia

                                                             cento sfumature di giallo

        il libro ritrovato

Haruki Murakami, “La ragazza dello Sputnik”

Ed. Einaudi, pagg. 236, Euro 14,46


 C'è quasi sempre un io narrante, nei romanzi di Haruki Murakami, uno dei più grandi scrittori giapponesi moderni. In genere è un ragazzo giovane che ha studiato. In genere lo seguiamo in giro per Tokyo, mentre si siede in un bar a bere vino rosso e a fumare. In genere è innamorato, o ha conosciuto una ragazza enigmatica. Che poi scompare. E c’è sempre un sottofondo musicale. E la storia ad un certo punto ha una svolta che mescola sogno e realtà e disorienta un poco. Nelle prime 70 pagine de “La ragazza dello Sputnik” c’è un triangolo amoroso: il ragazzo, che fa l’insegnante perché – come già il protagonista de “L’uccello che girava le viti del mondo” – rifiuta la competizione della società giapponese, ama una sua coetanea, Sumire. Sumire legge Kerouac, ascolta Brahms e Beethoven, vorrebbe fare la scrittrice, non ricambia il suo amore e parla con lui di Myu, una donna che ha diciassette anni più di lei e di cui lei è innamorata

    Nella seconda parte del libro Sumire è andata in Europa per lavoro con Myu e, mentre sono insieme in un’isola greca, scompare. A questo punto la storia procede attraverso due dischetti di computer che contengono il diario di Sumire. C’è il racconto di sogni, di un fatto accaduto 14 anni prima e che ha imbiancato in una sola notte i capelli di Myu e di quando Sumire ha dichiarato alla donna il suo amore: quali indizi si possono raccogliere sulla scomparsa della sua amica? Il ragazzo sa soltanto che si sente improvvisamente molto solo, che sono scomparsi dei colori dal mondo, che è come trovarsi in un paesaggio lunare su cui si è stati abbandonati da un’astronave svanita nello spazio. Una malinconia che è un’altra caratteristica essenziale dei libri di Murakami, una sensazione di vuoto, un’ansia esistenziale che segue una riflessione sulla fugacità della vita: “allungando le mani, riusciamo a prenderci la quantità di tempo che ci è assegnata, e poi la guardiamo mentre indietreggia alle nostre spalle”. Non sappiamo che cosa è successo a Sumire. Una telefonata dice al ragazzo che è tornata. Non sappiamo se si rincontrano, se lei è passata al di là dello specchio, verso l’altra parte di sé che ha intravisto in sogno, in una dimensione della realtà che Myu ha sperimentato.
    Lo stile terso di Murakami fa pensare alle delicate stampe giapponesi, quelle fatte con un pennello sottilissimo e che lasciano indovinare un mondo suggestivo e nascosto dietro l’ apparente semplicità dell’immagine.

la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net









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