lunedì 22 gennaio 2018

Drago Jančar, “Aurora boreale” ed. 2008

                                     Voci da mondi diversi. Penisola balcanica
    il libro ritrovato

Drago Jančar, “Aurora boreale”
Ed. Bompiani, trad. Darja Batocchi e Enrico Lenaz, pagg. 277, Euro 16,50

    Il 25 gennaio 1938 una straordinaria aurora boreale si poté osservare nei cieli dell’Europa centrale, un fenomeno collegato ad un intensificarsi dell’attività delle macchie solari che si manifesta con un bagliore vivissimo e rosseggiante da incendio di immani proporzioni. Come se i confini del mondo stessero prendendo fuoco, infiammando tutta l’atmosfera.
    La vicenda del romanzo “Aurora Boreale” dello scrittore sloveno Drago Jančar, che ci arriva finalmente in traduzione dopo più di vent’anni dalla sua pubblicazione, inizia la notte del primo dell’anno del 1938 e si srotola con un che di fatalistico verso la sera del 25 gennaio, per poi precipitare verso la drammatica conclusione. Colorata di rosso, come l’aurora boreale. Rosso che è il colore della passione ma anche del sangue e delle fiamme dell’inferno che possono avere un fascino sinistro di attrattiva- proprio come l’inquietante aurora boreale. Josef Erdman scende dal treno a Maribor, cittadina al confine tra Slovenia e Austria, la notte di San Silvestro. Deve incontrarsi lì con il collega Jaroslav, che arriva da Trieste. Ma Jaroslav non arriva mai. Anzi, potrebbe essere che questo Jaroslav non esista neppure. E allora l’attesa di Erdman diventa una sorta di attesa di Godot, sfiorata dall’assurdo, una ricerca- di che cosa? Dell’amore, impersonato dalla sfuggente Margherita o Marjetica che è la moglie dell’ingegner Samsa? Della religione o della spiritualità, al seguito di quel Fedjatin che ha incontrato appena sceso dal treno, urlante “Cristo è risorto!”? della comprensione del mondo intero, sulle tracce del globo blu che ricorda di aver visto da bambino in una chiesa, strillando perché lo voleva?

Ad ogni modo l’attesa diventa un lento scivolare di Erdman verso le fiamme dell’inferno, un graduale disgregarsi della sua personalità, un perdere la presa su se stesso, un lento deterioramento fisico oltre che mentale. Come è potuto succedere che l’uomo ammirato per il portamento dignitoso, la piega dei pantaloni sempre stirata e il viso sbarbato, sia diventato un pezzente maleodorante e beone? Che il commesso viaggiatore che si intrattiene in conversari con gente qualificata e del suo ceto finisca per aggregarsi al disoccupato, perdigiorno e ubriacone Glavina e a Fedjatin, santone del tipo Rasputin? Che l’amante delicato dell’inizio porti Marjetica nella fatiscente capanna di Glavina, nel mezzo del nulla, nella zona di baracche dal nome esotico di “Abissinia”?
Maribor
    E’ come se il romanzo di Drago Jančar riassumesse in sé temi, motivi, personaggi e stili del romanzo europeo- l’attesa senza fine di Beckett ma anche il ripetuto presentarsi a sportelli senza risposta de “Il processo” di Kafka, il Dostojevsky di “Delitto e Castigo” e quello de “L’idiota”, la parodia delle teorie razziali che ricorda la satira antisovietica di Bulgacov, le maschere di Carnevale che impazzano come in una scena di Schnitzler. Persino la scelta dei nomi è indicativa in questo senso: dal Fedjatin che si avvicina molto a Fedor, a Josef (come Josef K. de “Il castello” di Kafka), a Samsa (dopo tutto non si trasforma anche Erdman come l’impiegato delle “Metamorfosi”?), all’amata Marjeta che assomiglia alla Margherita de “Il maestro e Margherita”. E, come il Diavolo Voland che ha un ruolo così importante nel romanzo di Bulgacov, pure qui il Male sta avanzando. Perché è l’anno prima dell’inizio della seconda guerra mondiale e il male- scrive Drago Jančar- è una crepa in un mondo che altrimenti sarebbe perfetto: il 1938 è l’anno in cui la crepa inizia ad allargarsi.

la recensione è stata pubblicata su wwwstradanove.net







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