venerdì 4 marzo 2016

Ivo Andrić, “La cronaca di Travnik” ed. 2002


                                       Voci da mondi diversi. Penisola balcanica
                                                   premio Nobel     
                                                   il libro ritrovato


Ivo Andrić, “La cronaca di Travnik”

Ed. Mondadori, pagg. 510, Euro 17,56  

         Ci sono degli scrittori ingiustamente dimenticati. E’ il caso di Ivo Andrić, nato nelle vicinanze di Travnik in Bosnia nel 1892 e vincitore del premio Nobel nel 1961. A quarant’anni di distanza la Mondadori ristampa, in una nuova traduzione, “La cronaca di Travnik”, un capolavoro della letteratura europea che ci restituisce un periodo di storia di una nazione tormentata. Un titolo di due parole: questa è una cronaca, la storia quotidiana di avvenimenti che si svolgono in margine ai grandi eventi, dal 1807 al 1814 a Travnik, un nome aspro e freddo per una cittadina sperduta tra i monti. 
Quando il console francese Daville arriva a Travnik, nel 1807, l’astro di Napoleone è in piena ascesa. Nel 1814 l’impensabile è già accaduto, Napoleone è stato sconfitto, la monarchia è stata restaurata, il consolato francese in Bosnia viene chiuso. Dopo la Francia anche l’Austria aveva mandato un console, von Mitterer.
E in quel paese inospitale e selvaggio, abitato da turchi, cristiani, ebrei e musulmani, croati e serbi, tra alture color del piombo nel silenzio sconosciuto di un mondo nuovo, i due consoli “nemici” si erano trovati alleati nella lotta con le autorità turche e con i turchi locali, con le difficoltà familiari e con i rispettivi governi. Entrambi avevano iniziato il loro incarico sperando fosse a breve termine; Daville è appoggiato da una moglie straordinaria, che non solo gli dà cinque figli, ma è per lui un aiuto instancabile e prezioso, mentre la moglie di von Mitterer è solo fonte di preoccupazioni e imbarazzo per il marito. 
Passano le stagioni, cambiano i visir, arrivano notizie della guerra lontana, muore un bambino, scarseggiano i viveri in conseguenza delle campagne napoleoniche, la gente muore di malattia e miseria, il “veleno orientale” penetra nell’anima dei due consoli: quel cupo pessimismo, quella sorda rassegnazione che fa loro accettare di essere spinti da dietro, alle spalle, verso la tomba. Eppure, come uno dei medici locali osserva, loro si risveglieranno da questo incubo e torneranno liberi, mentre la gente del posto non può sfuggire a quell’unica vita, all’essere costretti a nascere e vivere al confine tra due mondi, il Levante e l’Occidente, il cristiano e il musulmano, conoscendoli e comprendendoli entrambi senza poter far niente perché si conoscano e comprendano l’un l’altro.
   Un romanzo epico grandioso e bellissimo, come uno di quegli arazzi antichi, in cui bisogna scrutare ogni angolo e ogni dettaglio, alla scoperta di personaggi tutti essenziali per quanto ai margini del disegno, e in cui una processione di persone sembra procedere da un’alba verso un tramonto, senza che niente cambi realmente. I bey di Travnik commentano i sette anni trascorsi, fra poco tutti avranno dimenticato i consoli e la vita tornerà come prima: fumano assaporando il dolce silenzio della vittoria.

la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net




1 commento:

  1. Non riesco a trovarlo, a cercarlo, a comprarlo in quanto sia in IBS sia in Mondadori mi dicono non esistente.

    L'ultima edizione risale al 2001/2002 e... non vedo traccia dell'edizione del 2016 di cui parla Lei.

    Sono alla ricerca di acquistarlo, ma è da un bel pezzo, mi dia delle indicazioni più precise per acquistarlo.

    Innamorato dei Balcani.

    Nicola L.

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