mercoledì 3 febbraio 2016

Natasha Radojcić-Kane, “Ritorno a casa” ed. 2003

                                       Voci da mondi diversi. Penisola balcanica
            guerra dei Balcani
            il libro ritrovato

Natasha Radojcić-Kane, “Ritorno a casa”
 Ed. Adelphi, trad.Roberto Serrai, pagg. 176, Euro 13,50

       “Ritorno a casa” è anche il titolo di un libro della splendida trilogia di Eugene O’Neill, “Il lutto si addice ad Elettra”. Nel libro di O’Neill, come in quello della scrittrice bosniaca Radojcic-Kane, il ritorno a casa è un ritorno dalla guerra, guerra civile americana in uno, guerra civile tra serbi, croati e bosniaci nell’altro. Sempre un ritornare dalla morte alla vita, ammesso che ci sia ancora una vita interiore dopo l’inferno che si è attraversato. Una fame di “casa” che è fame di affetti, necessità di ritrovare qualcosa che non è cambiato, per rimettere indietro le lancette del tempo. Per dimenticare. E ritorno a casa significa sempre tornare da una donna. Che è innamorata di un altro, nel dramma di O’Neill. Che ha sposato un altro, nel romanzo della Radojcic-Kane, ma questo Halid lo sapeva, perché era successo prima che lui partisse per Sarajevo. Mira aveva sposato il suo miglior amico, Momir. Ma Momir era saltato in aria su una mina e Mira viveva con la suocera e un bambino che forse era figlio di lui, Halid. Che cosa era successo a tutti loro? Che senso aveva avuto, trovarsi su due fronti diversi, il cristiano Momir e il musulmano Halid?
      E’ un triste tornare quando si fanno i conti di chi è rimasto. Il ritorno di Halid è soffuso di un’aura di gloria, è l’eroe a cui si chiede com’era nelle trincee e se ha ucciso qualcuno. Si va in guerra per uccidere, no?, anche se non sempre è il nemico che muore. Halid ha ucciso qualcuno, la figlia dell’unico comandante musulmano proveniente dal suo villaggio, un tragico errore, un ricordo che lo perseguita, che non lo lascia dormire, perché se si chiudono gli occhi prima dell’alba, quella è l’ora in cui ti catturano i fantasmi. Halid ha rubato anche dei soldi alla ragazza morta ed è con quelli che intende pagare la suocera di Mira perché la lasci libera di sposarlo. Ma i soldi non sono sufficienti e, quando inizia la partita a carte con gli zingari e tutti incominciano a bere, abbiamo sentore di come andrà a finire. Perché Halid perde tutto, c’è qualcuno che sa da dove gli vengano quei soldi e Halid viene “giustiziato”. La madre di Momir aveva giurato che non avrebbe più pregato dopo la morte del figlio, della madre di Halid ci resta negli orecchi quel lamento, “figlio mio, figlio mio, figlio mio”, come in una laude di Jacopone. Il lampo di un pensiero per Halid morente: non muore di infarto come suo padre, solo le donne muoiono di morte naturale, lui ha seguito la tradizione dei suoi antenati, muore soffocato nel suo sangue. E, come in un dramma greco, non resta nessuno sulla scena, solo tre donne sole, una è giovane e ha un bambino: lo farà diventare grande per mandarlo in un’altra guerra? 

    Una scrittura straordinaria, quella di Natasha Radojcic-Kane, che ha trovato il tono più giusto per parlare dell’orrore della guerra. Una guerra per tutte le guerre, si fa il nome di Sarajevo, si parla di serbi e croati, di cristiani e musulmani, ma si tratta di limitazioni insignificanti. Quello che colpisce è la distruzione che la guerra lascia dietro di sé, campi non coltivati, negozi abbandonati, finestre infrante. Fame. Macerie, anche se, nei versi di Ungaretti, “è il mio cuore/ il paese più straziato”. E lo stile asciutto della Radojcic-Kane che non fa alcuna concessione a un facile sentimentalismo è come un film in bianco e nero per rappresentare un mondo da cui il colore è scomparso.

la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net



                                                                                             

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