domenica 9 febbraio 2014

Yeng Pway Ngon, "L'atelier"

                                                                     
                                                                 Voci da mondi diversi. Asia
                                                                  fresco di lettura




Yeng Pway Ngon, “L’atelier”
Ed. Metropoli d’Asia, trad. Barbara Leonesi, pagg. 499, Euro 16,50


   Singapore. Quella piccola repubblica con un’altissima concentrazione di abitanti cosmopoliti che uno stretto di mare separa dalla Malesia e un altro stretto dall’Indonesia. Un gruppo di cinesi alla fine degli anni ‘70. Li incontriamo che sono giovani sui vent’anni e frequentano ‘l’atelier’, lo studio di pittura del maestro Yan Pei. Ne seguiamo le storie, i successi e gli insuccessi nel lavoro e in amore. Finché Yeng Pway Ngon, l’autore di questo bellissimo romanzo, tira le fila, ci fa ri-incontrare i personaggi ‘sul viale del tramonto’ in una saggia meditazione venata di malinconia: a che cosa li hanno portati le loro scelte? Che conseguenze hanno avuto su chi era loro vicino? Hanno dei rimpianti o sono soddisfatti? E, se venisse data loro un’altra possibilità di vita, percorrerebbero lo stesso cammino? Sono le domande che assillano chiunque fermi il ritmo della propria vita e abbia voglia di esaminarsi dentro, di guardare il passato e tirare le somme, qualunque sia la latitudine del paese in cui vive.                    

    Come sempre avviene nei romanzi dall’ampio respiro- e non possiamo fare a meno di pensare a quelli della letteratura russa-, i personaggi ci vengono presentati tutti all’inizio (avrei consigliato una pagina introduttiva con i loro nomi che per noi occidentali sono difficili da ricordare, io li ho appuntati a matita, facilitando la lettura). Sono ragazzi e ragazze e non tutti prendono lezioni di pittura per amore dell’arte. Uno di loro, Sixian, va all’atelier perché è innamorato di Ningfang. La quale, ad un certo punto, smette di frequentare per seguire in India un insegnante di musica indiano. Eppure, per un qualche strano meccanismo, il dolore di Sixian (che non amerà nessuna altra donna in vita sua) lo apre alla vera arte: diventerà famoso, ci sarà una mostra dei suoi quadri perfino a Parigi. Mentre uno sbruffone poeta aspirante pittore, che si sposa per interesse mirando a ricchezza e fama, verrà riconosciuto alla fine per quello che è- un mediocre pittorucolo senza originalità. Una delle ragazze trova nella pittura un modo per affermare la sua personalità, schiacciata dal marito che non la ama e la tradisce. Il ragazzino che aveva posato, vergognandosi, come modello, frequenterà l’università e diventerà professore. Un altro ragazzo- e qui la Storia entra nel romanzo- si unisce ai guerriglieri comunisti nella giungla: la sua è la vicenda più insolita del romanzo. Perché Jianxiong non uscirà più dalla giungla, ignaro che il partito comunista malese ha messo fine agli scontri. Quando- anziano e malato- prova a rientrare nel mondo civile, è come Rip van Winkle: non riconosce nulla di quello che vede, ha l’aspetto di un selvaggio e viene respinto dai contadini che vivono al limitare della foresta. Anche se la sua fidanzata ha continuato ad aspettarlo, dando perfino il suo nome ad un piccolo ristorante.



   Dell’atelier come luogo di incontro, da un certo punto in poi non si parlerà più. Resta invece, come fulcro di tutte le storie, il personaggio del maestro, bello, emblematico, triste. E’ l’uomo che ha dedicato tutta la vita all’arte, l’opposto del poeta-pittore povero di spirito. Incurante del successo economico, Yan Pei ha creduto nell’arte per l’arte. Abbandonato dalla moglie, ha continuato ad aspettarla, ma è più fortunato della fidanzata del guerrigliero Jianxiong: il maestro e sua moglie si ritroveranno, anche se troppo tardi. Questa ombra di tristezza, di rimpianto per quello che poteva essere e non è stato (come nel film “Quel che resta del giorno” tratto dal bellissimo libro di Kazuo Ishiguro), tinge il finale di tutte- o quasi tutte- le storie.

  Fu da quel momento che iniziò a ripensare a lui con nostalgia, a quel pittore frustrato e squattrinato che sembrava uscito da un vecchio film cantonese. Ricordò la sua rettitudine e la sua perseveranza, il suo amore cieco e la sua tenerezza, quel loro essere inseparabili dentro e fuori dal letto: avevano davvero vissuto momenti indimenticabili. Se fosse possibile tornare indietro nel tempo, forse avrebbe sopportato con lui le difficoltà senza lamentarsi del suo magro stipendio.

E, se il passare degli anni ha cambiato i protagonisti, se devono scrutarsi per riconoscere la persona dei loro ricordi, il tempo ha cambiato anche Singapore (grandioso personaggio sullo sfondo) e chi vi ritorna dopo esserne stato lontano- come la moglie di Yang Pei- fa fatica ad orizzontarsi. E tuttavia il tempo ha ringiovanito la città, l’ha modernizzata, anche se a prezzo del fascino dell’antica originalità.
Un libro molto ‘ricco’ e molto bello, degno dei premi prestigiosi che ha vinto in Asia.


lo scrittore Yeng Pway Ngon         


la recensione è già stata pubblicata su www.stradanove.net
    

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