lunedì 24 febbraio 2014

Mark Thompson, "La guerra bianca"- Vita e morte sul fronte italiano 1915-1919

                                                                                                        la prima guerra mondiale


Mark Thompson, “La guerra bianca”- Vita e morte sul fronte italiano 1915-1919
Ed. il Saggiatore, trad. Piero Budinich, pagg. 502, Euro 22,00
     

Ho ancora in mente- e ben chiare- le illustrazioni della Domenica del Corriere degli anni della Grande Guerra. E’ sui quei grossi volumi fatti rilegare dal nonno e che la mamma dava ai noi bambini da sfogliare quando eravamo ammalati, che io ho ‘studiato’ la prima guerra mondiale, prima di studiarla o di non studiarla al liceo, visto che quasi mai si riusciva a finire il programma. Ricordo le pagine con i manipoli di soldati che si lanciavano all’assalto con la baionetta, ricordo il gesto eroico di qualche singolo soldato che già allora, pur essendo bambina, mi pareva una folle incoscienza. Ricordo- soprattutto- le didascalie magniloquenti che inneggiavano all’Italia, che vantavano il valore del nostro prode esercito nonché quello del generale Cadorna. E poi ricordo- e questo mi riempiva di orgoglio- che vincevamo sempre, conquistavamo cime di monti e città. Sono andata a cercare l’annata 1917, quella della disfatta di Caporetto- non c’è, manca dalla collezione.                                                                        


     Ho appena terminato di leggere “La guerra bianca” di Mark Thompson: è la stessa guerra, questa di cui parla lo storico inglese? Questa tragedia senza fine in cui i nostri soldati sembrano vittime mandate al macello, al comando di un generale sadico e di ufficiali altrettanto sadici? Essendo inglese, Thompson non si fa alcuno scrupolo di descrivere le azioni di guerra senza usare mezzi termini, segnalando l’incompetenza e- sì, bisogna dirlo- la stupidità dei comandanti, l’ignoranza della gran massa dei nostri soldati mandati al fronte con il miraggio ‘Trento e Trieste’ (un’allitterazione che faceva buon gioco) senza neppure sapere con precisione dove fossero le due città che l’Italia rivendicava. Il libro di Thompson si limita a prendere in esame la guerra sul fronte orientale d’Italia- ‘la guerra bianca’ perché combattuta tra le rocce sbiancate del Carso e nella neve invernale che ricopriva le montagne finché le operazioni dovevano essere interrotte in attesa di un clima migliore. Non prima, però, che i nostri soldati patissero il freddo, mal equipaggiati, semicongelati, con le mani inutilizzabili, senza neppure il nutrimento sufficiente per reggere a quell’immane sforzo.
     
L’Undicesima battaglia fu una vittoria tecnica che sapeva di sconfitta. Lo storico ufficiale del Comando supremo era il colonnello Gatti, un osservatore a distanza ravvicinata che seppe intuire l’enormità di quel fallimento senza identificarne le cause (poiché la sua mente si rifiutava di ammettere l’evidenza). Mentre i cadaveri continuavano ad ammassarsi sul san Gabriele, Gatti annotava disperato nel suo diario: “Mi sento qualche cosa che crolla dentro, io non potrò resistere a questa guerra, nessuno di noi potrà resistere: è troppo gigantesca, è proprio senza confini, ci stritolerà tutti.”              
                                                                                  Leggiamo delle strategie belliche (facilmente criticabili anche da sprovveduti come possiamo essere noi lettori), di ordini assurdi, di combattimenti che si trasformano in stragi, di trincee poco profonde, delle fatidiche battaglie sull’Isonzo- numerate: se si arriva alla dodicesima vuol dire che undici sono andate male, ci vuol poco a capirlo. Leggiamo della pioggia che non finiva mai e che impregnava le divise, dei pidocchi, dell’insopportabile puzzo dei pendii trasformati in una enorme latrina. Ma leggiamo anche dei protagonisti della guerra bianca, del supponente generale Cadorna e del vanaglorioso e tronfio poeta D’Annunzio, del piccolo Re e del suo aitante cugino, il Duca d’Aosta, dei due fratelli Slataper e di Ungaretti, di Carlo Emilio Gadda e di Hemingway che dedicò il romanzo “Addio alle armi” alla sua esperienza come conducente di ambulanza sul fronte italiano. 

Leggiamo- e questo spiega la versione della Storia che io ho letto sui numeri della Domenica del Corriere- della severissima censura sulla stampa e sulla corrispondenza privata dei soldati al fronte: nulla doveva trapelare delle disfatte e dell’incidenza, altissima, dei morti e feriti. Solo nel primo mese di guerra l’Italia perse tra gli 11mila e i 20mila uomini a fronte dei cinquemila austriaci. In più, nota tristissima e dolente, i morti ‘giustiziati’ per diserzione, per indisciplina, per autolesionismo. Ancora, un numero molto alto se paragonato con quello delle potenze nemiche. E moltissimi soldati messi a morte furono uccisi con esecuzioni sommarie.
La vita umana aveva perso ogni valore, chi era al comando aveva diritto di vita o di morte sui sottoposti. Quello che resta in mente a noi lettori, un secolo dopo, è la sensazione che si abbia giocato, non con pedine ma con uomini, di inutile spreco, di vite negate.


lo scrittore Mark Thompson                  



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