domenica 24 ottobre 2021

Gunnar Gunnarsson, “L’uccello nero” ed. 2021

                                    Voci da mondi diversi. Islanda

   cento sfumature di giallo

Gunnar Gunnarsson, “L’uccello nero”

Ed. Iperborea, trad. Maria Valeria D,Avino, pagg. 274, Euro 17,00

 

    Un noir è sempre un noir. Non è vero. C’è noir e noir. E questo, “L’uccello nero” dello scrittore islandese Gunnar Gunnarsson, è più che un semplice noir, è un romanzo splendido che scava negli animi dei personaggi, ne esamina le passioni, il desiderio bruciante che porta al delitto, il senso di colpa e quello di impotenza davanti a chi ha commesso il crimine, il significato di giustizia e di espiazione.

    Il narratore è il cappellano Eiulvur che aveva solo vent’anni all’epoca dei fatti che racconta, avvenuti quindici anni prima. Ed è la morte in mare del figlio  quindicenne che lo spinge a ricordare quello che il suo animo non ha mai dimenticato, quello per cui si continua a rimproverare.

    I fatti in poche parole. Sono gli anni sul finire del secolo XIX, in una fattoria isolata abitano due coppie con i loro figli (una decina tra gli uni e gli altri)- Bjarni, aitante e biondo, e la moglie Guđrun, sempre tossicchiante e noiosa; l’insignificante Jón e la bellissima Steinunn. Succede il prevedibile. Bjarni e Steinunn si innamorano. Prima scompare Jón (è caduto in mare? il corpo riappare a un anno di distanza), poi muore Guđrun.


    Ci sarà un processo con un giudice convinto da subito della colpevolezza di Bjarni e Steinunn, così come è convinto che Bjarni menta. Di ben altro parere è il giovane cappellano. O meglio, pur sapendo che i due innamorati, che dichiarano apertamente che hanno ucciso perché volevano sposarsi e vivere il loro amore senza nascondersi, Eiulvur simpatizza con loro, vorrebbe adempiere al suo compito che è quello di aiutare i suoi parrocchiani, di portare alla salvezza le loro anime. E si sente colpevole anche lui, nella sua impotenza.  E non ha forse anche una qualche responsabilità il suo anziano superiore che ha lasciato seppellire Guđrun senza indagare di più sulle cause della sua morte?

    Gli abitanti del villaggio vengono chiamati a testimoniare uno dopo l’altro, ascoltiamo le loro deposizioni su quello che i due incriminati avrebbero detto, sulle lamentele di Guđrun, sulle parole che rivelavano l’infelicità di Jón, sui sospetti che Guđrun aveva avuto riguardo ad una zuppa che l’aveva fatta stare male, sulla dichiarazione di Jón  che voleva andarsene dalla fattoria. Verità e pettegolezzi, malignità e incredulità, invidia e indignazione. Finché Bjarni e Steinunn ripercorrono gli eventi.


    Ho detto che questo è un noir speciale, forse perché non è stato scritto con l’intenzione di farne un noir. C’è la tensione di scoprire la verità, la curiosità di apprendere i dettagli, ma poi c’è, fortissimo, il dilemma morale che porta alla riflessione, “Ognuno di noi prima o poi, che lo voglia o no, si trasforma in torturatore e assassino. Tutti inchiodiamo alla croce il figlio di Dio! In noi stessi o nel nostro prossimo”, così che, emessa la sentenza, il cappellano dirà al giudice: “Ora anche noi due abbiamo ucciso”. E interpreterà la morte del figlio, quindici anni dopo, come un segno divino per lui che non si perdona la sua debolezza.

     Anche la natura ha la sua parte, nel romanzo di Gunnar Gunnarson. Tutto viene esasperato nella rigidità del clima ed è quasi come se abbandonarsi alla dolcezza dei sentimenti possa essere di conforto anche per quello, come se si avesse il diritto di cercare altrove il conforto che un ambiente aspro non può dare.

     Un romanzo drammatico di una potenza straordinaria.

Leggere a Lume di Candela è anche una pagina Facebook



 

 

 

 

 

Nessun commento:

Posta un commento