Voci da mondi diversi. Islanda
romanzo di formazione
romanzo di viaggio
Bergsveinn, Birgisson, “La fonte della vita”
Ed. Iperborea, trad. Sivia Cosimini, pagg. 317, Euro
18,00
1783. L’Islanda, ancora colonia della
Danimarca, è flagellata da una serie di eventi catastrofici. A ovest del
ghiacciaio di Vatnajökull si è spaccata la crosta terrestre e una massa di lava
ha investito gli insediamenti circostanti, la terra ha continuato a sputare
fuoco e cenere, l’erba ha smesso di crescere, una nube di pomice e cenere ha
oscurato il sole. Non solo. Il mare è gelato, non è stato possibile pescare
nulla, c’è stato un calo del numero del bestiame e della popolazione,
falcidiata anche da malattie. A Copenhagen si era giunti a pensare che non
fosse possibile vivere in quella terra. Da qui era nata una proposta- perché
non evacuare gli islandesi in Danimarca? Naturalmente gli islandesi abili al
lavoro. Dietro a questa idea falsamente umanitaria si nascondevano altri due
intenti: procurarsi manodopera a basso costo e risparmiare le ingenti cifre che
venivano inutilmente spese per una popolazione senza speranza. Che questo
significasse morte certa per tutti quelli che sarebbero stati lasciati
sull’isola, non interessava a nessuno.
E così il giovane Magnús Árelíus, ambizioso, cultore delle scienze, ciecamente fiducioso nei lumi della ragione, riceve l’incarico di recarsi in Islanda per verificare la situazione e mappare il territorio.
L’inizio del romanzo di Birgsveinn
Birgisson è rallentato da questa premessa indispensabile, poi prende il via,
con il viaggio di Magnús e, come in tutti i migliori romanzi di formazione,
questo viaggio è nello stesso tempo alla scoperta di un paese e alla scoperta
di sé. Lo sappiamo bene- non si torna mai uguali da un viaggio: la bellezza e
l’importanza del viaggio sono proprio in questo, nel riuscire ad abbandonare
idee preconcette, aprirsi alla scoperta del nuovo e lasciarsene invadere, non
giudicare secondo il metro del paese e della cultura da cui si proviene,
guardare con occhi nuovi o con il terzo occhio della mente.
I rapporti che Magnús invia al cancelliere sono testimoni di questo cambiamento e, ad un certo punto, cessano del tutto. Quando la narrazione è in prima persona, come nelle lettere, non possiamo mai essere certi che la situazione sia oggettivamente come viene descritta. Perché, dapprincipio, Magnús è scosso da quello che vede- gli abitanti sono ‘un manipolo di malsani e affamati, degni della massima pietas’, abitano in tuguri, hanno i volti tumefatti dallo scorbuto e dalla lebbra, sono per lo più mendicanti cenciosi. Tra di questi Magnús è particolarmente colpito da un uomo che cerca una lima per affilare una sega e da un bambino che supplica per avere una medicina. Procedendo verso Nord, in luoghi sempre meno popolati, la situazione sembra migliorare, la gente pare avere un aspetto più sano. Per la prima volta in Magnús si affaccia l’idea che, è vero che le condizioni di vita non sono da cristiani, ma, se la gente non conosce nient’altro, non può essere ugualmente contenta?
La felicità narrativa di Birgisson è nel variare registro accompagnando Magnús Árelíus mentre, al contempo, vacilla la sua fede nella scienza e nella ragione. Dalle aride esposizioni a Copenhagen, alle lucide missive al cancelliere, ad una resa di fronte alla ‘magia’ di alcuni fenomeni che vengono descritti con un tocco da vecchie leggende nordiche: da un lago si alzano i pianti dei ‘bambini esposti’ (figli nati fuori dal matrimonio che le madri sono state costrette ad affogare per non essere loro stesse gettate in mare), appaiono fantasmi davanti a cui i cavalli imbizzarriscono, Magnús crederà di vedere l’uomo che voleva la lima e il bambino che chiedeva la medicina, avrà un incidente fronteggiando l’animale che meglio rappresenta il Grande Nord e…incontrerà una donna.
Il nuovo Magnús, quello che è arrivato a
pensare di non avere nessuno strumento per decidere se le condizioni di vita
degli islandesi siano buone o cattive, che non vuole proprio che questa gente
cambi e diventi come la sua, di gente, che era stato rimbrottato da uno degli assistentes perché aveva usato una donna
per suo capriccio, si innamora di una ragazza a cui per castigo è stata mozzata
la lingua- quante cose possiamo leggere in questo amore. L’amore che non ha
bisogno di parole, l’amore che non si può esprimere con le parole, la donna che
non può parlare per sé proprio come la sua Islanda.
Ed è a questa Islanda che Birgsveinn
Birgisson dà voce, in un romanzo che conquista, tra saggio, romanzo di
formazione, libro di viaggio, documentazione antropologica e storia d’amore.
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