lunedì 21 settembre 2020

Petina Gappah, “Oltre le tenebre” ed. 2020

                                        Voci da mondi diversi. Africa

biografia romanzata

Petina Gappah, “Oltre le tenebre”

Ed. Guanda, trad. S. De Franco, pagg. 348, Euro 19,00 

 

    C’è una lapide, nell’abbazia di Westminster, che recita: “Portato da mani fedeli per terra e per mare, qui riposa David Livingstone, missionario, viaggiatore, filantropo, nato il 19 Marzo 1813 a Blantyre in Scozia, morto 1 Maggio 1873 a Chitambo, Ulale.”

   Lo chiamavano Bwana Daudi, laggiù in Africa. E anche se “Bwana” era l’appellativo usato dai neri per rivolgersi ai bianchi in epoca coloniale in Africa, nel caso di David Livingstone, unito a quella storpiatura del suo nome, ha un che di affettuoso che va oltre al rispetto. David Livingstone era arrivato in Africa per la prima volta nel 1852, aveva scoperto le cascate Vittoria sul fiume Zambesi (era lui ad aver dato loro il nome della regina), sua moglie era morta in Africa e là era sepolta, lui ci era tornato una seconda volta, era stato dato per perso per ben tre anni fino a quando il giornalista Stanley lo aveva ritrovato. L’incontro tra i due, gli unici europei nel cuore dell’Africa, è diventato famoso, un tipico esempio dell’aplomb britannico nelle parole che Stanley gli aveva rivolto a mo’ di saluto, “il dottor Livingstone, suppongo”.


   “Oltre le tenebre”, il romanzo di Petina Gappah, ci parla di questo uomo la cui vita è entrata nella leggenda. L’ultimo viaggio di Livingstone è leggendario. “Portato da mani fedeli per terra e per mare”: 69 indigeni trasportarono la sua salma per nove mesi e per più di mille miglia, a piedi e tra innumerevoli pericoli, da Chitambo nello Zambia a Bogamoyo. E Petina Gappah ci parla di questo viaggio, raccontato da due servitori fedeli, la cuoca Halima e l’aspirante missionario Jacob Wainwright. E’ un’angolazione del tutto diversa e insolita, quella da cui conosciamo David Livingstone. Per Halima l’ossessione di Bwana Daudi per trovare le fonti del Nilo era del tutto incomprensibile. Un fiume scorre e continuerà a scorrere- a che cosa serviva ammazzarsi di fatica per trovarne la fonte? Per Jacob era incomprensibile quanto poco si fosse dato da fare Bwana Daudi per convertire i pagani.


Halima e Jacob sono agli antipodi. Halima non ha cultura, è una donna pratica e sensuale ed è lei che, dopo che tutti sono concordi sul fatto che Livingstone debba essere sepolto nella sua terra, suggerisce la soluzione per poterne portare il cadavere fino alla costa. Si dovrà fare per lui come per la cacciagione, eviscerarlo, e poi far seccare il corpo al sole per evitare i miasmi. È  bello pensare che il corpo del grande esploratore riposa in patria, ma che il suo cuore è rimasto in Africa. La realtà è meno romantica. Diciamo che una parte di lui “ha dovuto essere sepolta in Africa”.

Halima e Jacob parlano delle stesse persone e dello stesso viaggio, ogni loro racconto aggiunge qualcosa alla figura di quel capo-Bwana che aveva comperato Halima non per sé ma per darle la libertà. Aveva fatto lo stesso per altri, anche se poi si era servito dell’aiuto di quelli schiavisti che a parole condannava. La voce di Halima è più vivace, sembra che sprizzi energia e gioia di vivere. Halima parla di sesso e di uomini, di gelosie e tradimenti, di consigli pratici dati a quel capo che stava invecchiando- era meglio che tornasse a casa e si cercasse una moglie che gli scaldasse il letto.


    Jacob si sente superiore agli altri. È uno schiavo liberato che ha studiato in India, sa l’inglese e vuole diventare missionario. Si sente solo ad un gradino più in basso del venerato Bwana verso cui prova un sentimento complesso di ammirazione e di disapprovazione. Che sono poi sentimenti condivisi da altri del gruppo- non tutti sono spinti da una cieca fedeltà in questa missione irta di difficoltà, perché nessun villaggio li accoglierebbe volentieri, se sapessero che trasportano un morto. Un morto porta altre morti, porta sfortuna. Ed è proprio così.

   Ben 14 persone della scorta muoiono. In un momento chiave in cui vengono alla luce sentimenti nascosti, uno di loro griderà: “Bwana Daudi, Bwana Daudi, Bwana Daudi. Ma vi sentite? Perché è il vostro Bwana? Perché è il Bwana di qualcuno?” “Chi era per entrare nella mia terra? Stanley, Cameron, Speke, Grant, chi sono per andarsene liberamente nelle nostre terre?”.


E’ una pesante accusa contro l’uomo bianco e il colonialismo. E ancora, in un affondo che coinvolge Jacob, “Vorranno farci adorare il loro Dio, come se noi non ne avessimo uno”. E Jacob, che detesta essere nero, che vorrebbe essere come i bianchi, non lo sarà mai.

    Anche “Mentre giacevo” di Faulkner e “Ultimo giro” di Graham Swift raccontavano dell’ultimo viaggio di una bara o di un’urna. Qui, però, il messaggio del romanzo è più complesso. In un certo senso si ridimensiona una figura mitica, si parla di scoperte geografiche per parlare in realtà di colonialismo e della piaga dello schiavismo.

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la recensione sarà pubblicata su www.stradanove.it



 

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