Voci da mondi diversi. Penisola iberica
il libro ritrovato
romanzo di formazione
Dulce Maria Cardoso, “Il ritorno”
Ed. Voland/Feltrinelli, trad.
Daniele Petruccioli, pagg. 207, Euro 14,00
Titolo originale: O Retorno
Forse sono io a vedere
cambiamenti dove in realtà non ce ne sono, forse sono io a inventare misteri
quando non c’è nessun mistero, forse i cambiamenti non esistono, siamo solo noi
a mostrarci in modo diverso. A me non sembra di essere cambiato ma se la mamma
con l’ombretto blu mi vedesse ora, direbbe non sembri tu. E non solo perché mi
è venuta la barba.
1975. In Portogallo un colpo di stato non
cruento- la ‘Rivoluzione dei Garofani’- ha messo fine alla dittatura di
Salazar. E alla colonizzazione: entro la fine dell’anno Angola e Mozambico
saranno dichiarati indipendenti dopo secoli di sfruttamento portoghese. E’ la
fine di un’epoca per i bianchi che si sono stabiliti in Angola creandosi una
fortuna, per i loro figli che sono cresciuti senza conoscere altro che questa
realtà- per loro il Portogallo è la madrepatria dei racconti dei genitori, a
volte una terra mitizzata dove tutto è bello e ragazze sempre sorridenti si
mettono le ciliegie come orecchini, a volte un paese arretrato dalla cui
miseria si è fuggiti. Un gigantesco ponte aereo permetterà ai portoghesi
dell’Angola di far ritorno alla madrepatria: è concessa una valigia a testa,
cinquemila escudos a persona. Che cosa sono quei pochi soldi per ripartire da
capo? Che cosa si sceglie e che cosa si lascia? Meglio qualcosa da rivendere o
qualcosa a cui si è affezionati? Meglio la tovaglia di lino del corredo o un album
di fotografie? E saranno i negri a impossessarsi di tutto il resto? Meglio dar
fuoco a tutto, casa compresa. Il padre di Rui intende fare così.
Il quindicenne Rui è la voce narrante del
bel libro “Il ritorno” di Dulce Maria Cardoso. Il suo racconto inizia quando
ancora a Luanda si brinda al 1975, quando ancora il futuro alle porte non è
chiaro. A valigie chiuse Rui è in bilico tra l’eccitazione e l’ansia per la
partenza, finché si ferma un’auto con dei negri davanti alla loro casa: pensano
che suo padre sia il famigerato ‘macellaio di Grafanil’ e vogliono prelevarlo.
E’ una scena chiave, perché la violenza appone il sigillo della fine al passato
e scaraventa la famiglia in un futuro incerto. I negri (il termine
politicamente corretto per indicare le persone dalla pelle scura è andato
variando negli anni ma, nel contesto del romanzo, ‘negri’ è decisamente spregiativo,
evidenzia l’atteggiamento abituale e connaturato di superiorità dei bianchi nei
confronti degli angolani) portano via il padre di Rui, il ragazzo partirà da
solo con la sorella e la madre.
L’arrivo a Lisbona è come un risveglio con
una secchiata d’acqua gelata. Li chiamano retornados,
vengono alloggiati in alberghi, ma non
sono di certo trattati come gli altri ospiti. A Rui, a sua sorella e alla madre
viene data una sola stanza (e pazienza, i retornados sono tanti), per riuscire
a mangiare (male) bisogna mettersi in coda ore prima, le professoresse a scuola
non si danno neppure la briga di imparare i nomi dei nuovi arrivati e li trattano
come deficienti. E, quando inizia l’autunno e poi l’inverno, il freddo (ah,
quanto era meglio il caldo dell’Angola) contro cui i retornados non hanno un
abbigliamento adatto per proteggersi. Rui pensa che tutto quello che hanno
imparato sulla madrepatria è stato un imbroglio. E questa parola ricorrente,
madrepatria, assume sempre più una sfumatura di disprezzo, come quella dei
negri- una patria che non è affatto madre e i cui abitanti vedono i retornados
quasi come ‘negri’ bianchi, inferiori, come gente che prima si è arricchita
sfruttando la colonia e poi è tornata per rubare posti di lavoro. E intanto i
mesi passano e il padre di Rui non dà notizie…
Ci sono tutti gli elementi del romanzo di
formazione ne “Il ritorno”, ma rivisti in una chiave diversa e quanto mai
interessante per il periodo storico in cui è ambientato. C’è il tema del
viaggio, ma non è un viaggio itinerante e neppure avventuroso- è piuttosto una
fuga dal noto che ora fa paura e l’ignoto di cui si ha comunque paura. Il
viaggio avventuroso è nei sogni di Rui che pensa all’America o al Brasile, per
fuggire di nuovo, ma dal Portogallo. C’è il tema del rapporto con un padre
severo ma amato e rispettato- e, quando il padre non riappare a Lisbona, è il
ragazzo che deve assumersi la responsabilità della famiglia. C’è una fragile
presenza materna da proteggere, la scoperta del sesso, il bagaglio dei ricordi
di morte che Rui si è lasciato alle spalle. C’è soprattutto la difficoltà di
capire che cosa stia succedendo, di far combaciare le due metà di una vita.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it nel 2013
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