sabato 11 novembre 2017

Gary Shteyngart, “Absurdistan” ed. 2006

                              Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
                                                                    Diaspora
                                                                    satira
    il libro ritrovato

Gary Shteyngart, “Absurdistan”
Ed. Guanda, trad. Katia Bagnoli, pagg. 364, Euro 16,00

Al russo Miša Vainberg non viene concesso il visto per tornare in America dove ha studiato e dove vive la donna che ama perché suo padre ha ucciso un uomo d’affari dell’Oklahoma. Quando l’auto di suo padre salta per aria a causa di una mina, il grassissimo Miša riesce a comperarsi un passaporto belga, ma deve tuttavia passare attraverso uno degli stati dell’ex URSS, l’Absurdistan, e si trova nel mezzo di una guerra civile- una manovra americana nella guerra del petrolio?


INTERVISTA A GARY SHTEYNGART, autore di “Absurdistan”

    “Absurdistan”: per una volta un titolo, quello del romanzo di Gary Shteyngart, uguale nell’edizione originale e in italiano e ugualmente carico di anticipazioni sul contenuto del libro che ci accingiamo a leggere. “Questo è un libro sull’amore”, dice la frase iniziale. “E’ anche un libro sul troppo amore. E sull’inganno.”, procede il testo più avanti. E’ vero, c’è l’amore in “Absurdistan”- per l’Amato Babbo, per New York, per la florida Rouenna. Eppure quello che prevale, nel romanzo, è la frustrazione da mancanza d’amore o da amore sbagliato, quel “troppo” amore di cui parla il protagonista. Perché ci deve essere un motivo- solo accennato, perché è come una spina- per la dimensione enorme di Miša Vainberg.
Miša è quello che clinicamente verrebbe chiamato un grande obeso e le sue straordinarie misure sono continuamente sottolineate, a diventare elemento portante grottesco della storia, parte integrante del filone satirico antiamericano, contrasto continuo con quell’io interno di Miša che è rimasto fanciullo indifeso, gigante della swiftiana Brobdingnag abitato da un lillipuziano. Miša Vainberg è il figlio del 1238° uomo più ricco di Russia che era finito in prigione negli anni ‘80 per aver rapito il barboncino antisemita del vicino di casa e avergli pisciato addosso davanti alla sede del KGB. La prigione era stata la sua fortuna, perché lì aveva conosciuto tutti quelli che gli sarebbero stati utili per una reincarnazione da oligarca. C’è tutta la nuova Russia del dopo Gorbačev nell’Amato Babbo e nel suo erede Miša, e gli strali di Shteyngart, nato a Leningrado nel 1972 ed emigrato negli Stati Uniti all’età di sette anni, sono diretti in pari maniera verso la società postcomunista e quella americana. Il suo Miša, che ha studiato multiculturalismo all’americano Accidental College (che è come dire il college per caso) con i soldi di papà, resta bloccato a San Pietroburgo (diventata, nel suo significativo vocabolario, San Leninburgo, diversa ma sempre uguale) perché non riesce ad ottenere il visto per rientrare negli Stati Uniti: a quanto pare suo padre ha ucciso un americano con questo intento, perché Miša non si allontanasse più da lui. Che è poi quanto succede su vasta scala nella parte centrale del romanzo- ammazzare a scopo…possiamo dire absurdo?
Perché Miša Vainberg, nelle sue picaresche avventure per uscire dalla Russia, finisce in Absurdistan, nel bel mezzo di una guerra civile tra le due fazioni di sevo e di svanï che si differenziano per l’inclinazione a destra o a sinistra del poggiapiedi sulla croce di Cristo, un po’ come nei “Viaggi di Gulliver” i due partiti di Lilliput dei Tacchi Alti e Tacchi Bassi, per scoprire alla fine che è tutta una messa in scena, una partita gigantesca basata su un imbroglio. Non c’è nessuna guerra per il petrolio, non è vero che è stato abbattuto l’aereo del dittatore, gli americani vanno a braccetto con gli absurdistani, le bombe cadono in maniera strategica, i morti sono danni collaterali, anche l’amico di Miša che ci ha rimesso la pelle- bisognava fare in modo che il mondo distogliesse l’attenzione da quel ragazzo morto durante il G8 a Genova!
E il povero grosso e grasso Miša, che forse è stato molestato dall’Amato Babbo, forse è stato ipernutrito dalla mamma per distrarre le attenzioni del Babbo, che è stato tradito dalla sua Rouenna (con uno scrittore che si chiama quasi come l’autore stesso), si trova a desiderare che il mondo sia un posto migliore.
Abbiamo parlato con Gary Shteyngart del suo romanzo e di che cosa significhi essere uno scrittore ebreo russo americano..



Miša Vainberg, il protagonista del suo romanzo, è di dimensioni enormi: era un punto importante per l’elemento ironico e grottesco della storia?
    Sì, l’elemento ironico è essenziale- viviamo in un tempo in cui è quasi inconcepibile essere grotteschi, molti personaggi dei romanzi sono spesso dei tipi hollywoodiani o vengono trasformati per esserlo; io volevo creare un eroe attraente ma gigantesco, e non solo nel corpo ma anche nella maniera in cui vede il mondo. Miša vede il mondo come qualcosa da mangiare, nel libro mangia tutto, dalle idee politiche al caviale. Volevo che diventasse sempre più grande. D’altra parte c’è una vasta tradizione di eroi sempre più grassi- e sia la Russia sia l’America sono due nazioni smisurate; pensiamo a Oblomov di Gončarov e al protagonista della “Banda di idioti” di John Kennedy Toole, che è la versione americana dell’uomo che non si muove, come Oblomov. L’essere sovrappeso può anche, in parte, simbolizzare il consumismo che inizia negli Stati Uniti ma ha trovato terreno fertile in Russia. A San Pietroburgo c’è un aeroporto che sembra appartenere al secolo XIX e, vicino, ci sono i concessionari della BMW e della Volkswagen che sono in edifici più grandi dell’aeroporto: questo è il consumismo e il declino della società.

Lei è emigrato negli Stati Uniti da Leningrado quando aveva 7 anni- a proposito, come è stato possibile per la sua famiglia emigrare?- e Miša è intrappolato in Russia dopo esservi tornato per far visita al padre: si sentirebbe come lui al suo posto?

    La mia famiglia è emigrata nel 1979, quando un gran numero di ebrei è stato usato da Brežnev come merce di scambio per il frumento. C’è stata una grossa emigrazione, circa 100.000 ebrei sono usciti dalla Russia, passando dall’Austria prima di arrivare a New York. Sono tornato in Russia per la prima volta nel 1988 e ho provato qualcosa di strano- mi è venuta la paura che non mi lasciassero più uscire: avevo il visto sbagliato, non avevo i timbri giusti. In Russia tutti i problemi si risolvono con 100 dollari ma ho pensato, ‘ e se mi trattenessero qui?’. Poi, ero all’aeroporto e indossavo un cappello simile a quello di Miša sulla copertina del libro e me lo hanno tolto di testa per perlustrarne l’interno alla ricerca di diamanti: come Miša ho avuto il terrore di essere intrappolato per sempre.

Come Miša, Lei è ebreo e russo ed ora è americano: che peso ha ognuna di queste componenti sul suo essere quello che è?
    L’essere ebreo ha una grande importanza culturale per me: ho frequentato la yeshiva, che è la scuola religiosa, anche se con conseguenze negative perché non sono praticante, ma la cultura letteraria in America sarebbe inconcepibile, sarebbe decisamente diversa se non fosse per la presenza dei due Roth, di Bellow, di Richler, e della componente dell’umorismo ebraico. La parte di me che è russa ha a che fare con la lingua: nei miei momenti più felici ritorno nella mia mente al russo. A casa mia si è sempre parlato russo, si parla tuttora russo e sono stato allevato nel tesoro della letteratura e della lingua russe. Come conseguenza c’era questa differenza abissale tra ‘casa’ e ‘fuori casa’: prima di tutto a casa non avevamo la televisione e fuori di casa tutti parlavano sempre di quello che vedevano alla televisione. Per quello che riguarda il mio io americano, be’, vivo a New York e non capisco che cosa succede nel resto del paese: sì, posso andare a San Francisco, che ricorda New York, ma la maggior parte degli Stati Uniti sono per me un paese straniero. A New York mi sento a casa; la bellezza di New York è che tutti quelli che ci abitano vengono da altre parti. Non è difficile combinare le mie tre identità, basta non pensarci. Quando torno in Russia, prima di tutto sono un ebreo, a New York sono un newyorkese, io mi sento un ebreo russo. Quando ero in Italia nel 2003, era meglio essere riconosciuto come uno scrittore russo piuttosto che americano. Adesso neppure agli scrittori americani piace essere americani: è come se l’idea di essere americano fosse stata “dirottata a forza” dal governo.


Da un lato il pericolo di essere un ebreo russo emigrato in America è quello di sentirsi senza radici; dall’altro pensa che questa mancanza di radici sia positiva perché le dà un distacco che è necessario per avere una visione oggettiva sia della Russia sia degli Stati Uniti?
    Sì, proprio così, giustissimo. Dopo l’11 settembre in America c’è stata una rinascita di letteratura di immigrazione, soprattutto di scrittori originari dell’India, come Kiran Desai o Mohsin Hamid. Tutti questi scrittori possono dire all’America quello che è, quando gli americani non lo sanno, proprio per quel senso di appartenere e non appartenere. Il romanzo di immigrazione è diventato globale- ormai la maggior parte degli immigranti non si allontana più definitivamente dal paese di origine, come avveniva una volta. La maggior parte può prendere un aereo e tornare in patria, a Mosca o a Bombay: la vita non è solo negli Stati Uniti. Questa possibilità del ritorno ha cambiato profondamente la letteratura.

Ha detto che è tornato e torna spesso in Russia: come vive la gente questi tempi di cambiamento? Rimpiangono qualcosa del passato?
   La mia tesi è che ci possono essere dei tempi di difficoltà economiche ma le cose sono sempre le stesse, sia che ci sia lo zar o Lenin o Putin. Naturalmente ci sono stati tantissimi che sono stati uccisi sotto Stalin ma la filosofia del governo è la stessa: c’è una classe d’élite molto ristretta e poi ci sono tutti gli altri. Le cose possono migliorare economicamente ma il destino del popolo russo sarà sempre nelle mani di pochi o addirittura di una sola persona.

Il suo Absurdistan è collocato in un’area geografica di uno degli stati dell’ex Unione Sovietica: poteva anche essere messo in qualunque altra area?
    Sì, prima di scrivere il romanzo parlavo con uno scrittore di Sarajevo mio amico e cercavo di spiegargli che l’inimicizia delle due fazioni in guerra si basava sull’inclinazione del poggiapiedi di Cristo e lui era d’accordo, diceva che oggigiorno si può uccidere anche per un pollo. Se non fosse per l’atmosfera, Absurdistan potrebbe essere ovunque. Alcuni critici in America hanno scritto che l’Absurdistan è l’America stessa, dopo l’effetto polarizzante di Bush, divisa tra la costa e il centro. Penso che le differenze tra la gente della costa e quella del centro degli Stati Uniti siano maggiori di quelle tra la Norvegia e la Spagna.

Nel romanzo c’è anche un altro personaggio che è chiaramente una caricatura di lei stesso, perché ha un nome che è solo leggermente diverso dal suo e ha scritto un libro con un titolo che è quasi uguale a quello del suo primo romanzo: il professor Shteynfarb e Miša sono entrambi, in qualche modo, il suo doppio?
   Questa è una bella maniera di porre la questione: gli scrittori sono forzati a scrivere in maniera autobiografica perché esplorano il mondo. Il protagonista si frammenta: c’è di me sia in Miša sia in Shteynfarb e con quest’ultimo volevo anche trovare una maniera di criticare l’impulso dello scrittore di scrivere di sé- anche Philip Roth ha un alter ego nel personaggio di Zuckerman, che è così simile a lui in modo molto buffo.


Alla fine l’Amato Babbo risulta essere un po’ troppo e indebitamente amante del figlio: è questa la lezione del mondo, che tutti e tutto ti deludono, padre e amante e Stato?
    Penso che se c’è una lezione nel romanzo è che in Russia lo Stato è terribile e la famiglia offre un rifugio dallo Stato- il che avviene ovunque lo Stato sia così tremendo. La domanda è: e se sia lo Stato sia la famiglia vengono a mancare? Se lo Stato continua a fallire e manca la formazione di una comunità civile, questo ha effetto anche sull’individuo? E’ come un circolo chiuso, il pubblico e il privato sono come il serpente che si mangia la coda. La tragedia russa è che lì la società non ha mai funzionato, basta pensare che in Russia c’era la schiavitù ma erano i russi stessi ad essere schiavi. D’altra parte ricordiamo che Stalin veniva chiamato Amato Babbo…

Il tono del romanzo è satirico e ironico: userà lo stesso stile, per così dire swiftiano, nel suo nuovo romanzo?
    Sì e no- io sono uno scrittore satirico e non posso variare di molto il mio tono. Tuttavia il prossimo libro sarà una storia d’amore insieme al crollo degli Stati Uniti in un tempo futuro. Sarà satira mescolata a sentimento personale.

recensione e intervista sono state pubblicate sulla rivista Stilos



                                                                                                                      






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