giovedì 2 ottobre 2014

Amitav Ghosh, "Il Palazzo degli Specchi" ed. 2002

                           Voci da mondi diversi. Asia

il libro ritrovato

Amitav Ghosh, “Il Palazzo degli Specchi”

Ed. Einaudi, pagg. 502, L.36.000, € 18,59


Nel palazzo reale di Mandalay, in Birmania, c’era una sala le cui pareti erano interamente ricoperte di frammenti di vetro, per rispecchiare all’infinito l’immagine del sovrano. Un infinito che terminò nel 1885, quando le truppe britanniche invasero il palazzo e tutta la famiglia reale fu portata in esilio in India. E’ con questi fatti che inizia il romanzo di Amitav Ghosh, uno dei maggiori scrittori indiani di lingua inglese, per darci la misura del tempo e il ritmo della ruota della fortuna. Finisce il regno birmano, inizia l’impero britannico; decade lo splendore dell’ orgogliosa famiglia reale, ridotta in miseria, e si innalza la fortuna delle tre famiglie di cui seguiremo le vicende. L’ orfano Rajkumar, dodicenne quando assiste alla partenza del re, diventa ricchissimo sfruttando la richiesta di legname pregiato di cui la Birmania è ricca; i Martins sperimentano con successo la coltivazione dell’albero della gomma in Malesia, e Anjur  Roy, indiano, riesce ad arruolarsi nel prestigioso esercito anglo-indiano. Si intrecciano matrimoni e parentele nella seconda generazione delle famiglie, mentre Uma Roy, vedova di un funzionario indiano, entra nelle fila del partito che si sta organizzando per ridare la libertà all’India. Perché il significato simbolico del palazzo degli specchi è proprio questo: arriva il momento in cui ogni personaggio deve guardarsi allo specchio e prendere coscienza della sua identità. Difficile ritrovarla, dopo quasi un secolo di dominio inglese che ha foggiato non solo l’economia, ma anche la mentalità dei paesi sudditi.
Aveva visto giusto la regina Supayalat, quando aveva detto che la prigionia della famiglia regnante rispecchiava (ancora gli specchi) quella che sarebbe stata la prigionia di tutto un popolo. “Da qui a 100 anni leggerete l’atto d’accusa nei confronti dell’avidità europea”. Una ricerca di identità particolarmente difficile per Anjur, legato per giuramento a mettere al di sopra di tutto la sicurezza, il benessere e l’onore di un paese che non è il suo e che neppure conosce. Quando scoppia  la seconda guerra mondiale, diventa chiaro che, dopo tutto, Germania e Giappone vogliono un impero tutto loro, secondo il modello creato dalla Gran Bretagna e per Anjur è traumatico accettare l’idea che non ci sono padroni buoni o cattivi e che, paradossalmente, migliore è il padrone, peggiore è la condizione dello schiavo, perché gli fa dimenticare chi è. La ruota del tempo gira, c’è un altro “palazzo degli specchi” alla fine del romanzo: è questo il nome del negozio di Dinu Raha, professione fotografo. Un artista, che ha il ruolo di registrare con le sue immagini la realtà della storia, filtrandola attraverso il suo obiettivo, fermandola sulla carta più di quanto un’immagine riflessa possa fare. Un romanzo epico, l’ affresco di un secolo di storia nelle ex-colonie britanniche con protagonisti che, una volta tanto, non sono inglesi, una bella lettura.  

la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net


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