venerdì 3 ottobre 2014

Amitav Ghosh, "Il paese delle maree" ed. 2005

                                                     Voci da mondi diversi. Asia
                                                      il libro ritrovato


Amitav Ghosh, “Il paese delle maree”
Ed. Neri Pozza, trad. Anna Nadotti, pagg. 460, Euro 17,50


Gli abitanti del posto lo conoscono con il nome di bhatir desh, “il paese delle maree”: è il Sundarban, un arcipelago di isole che si estende per 300 km. tra la foce di due fiumi, dal Bengala occidentale al Bangladesh, di fronte a Calcutta. Non ci sono confini tra acqua dolce e acqua salata, le correnti alterano di continuo la fisionomia delle isole, sommerse ogni giorno dalle maree che inghiottono le foreste di mangrovie per lasciarle riemergere parecchie ore dopo.
    Questa frangia sbrindellata dell’India è la meta dei due personaggi principali del nuovo romanzo dello scrittore indiano Amitav Ghosh, “Il paese delle maree”, Kanai e Piya. Sono entrambi degli outsider, non interamente forestieri ma in qualche modo ai margini della società locale: Kanai è un raffinato cittadino poliglotta che guarda con sufficienza la moltitudine colorata e vociante che si affolla sul marciapiede della stazione, Piya è figlia di genitori indiani emigrati in America che hanno scelto di non insegnarle neppure una parola della loro lingua madre. Entrambi si recano nel Sundarban per una ricerca- lui per esaminare delle carte che lo zio gli ha lasciato, lei, una biologa marina specializzata in cetologia, per studiare il comportamento del delfino di acqua dolce. E, in una maniera affascinante e insolita, si intrecciano le due tematiche del libro, quella della comunicazione e del linguaggio e quella della protezione delle specie. Kanai, in quanto interprete, dovrebbe essere lo specialista della comunicazione, è lui che ha il compito di tradurre le istruzioni e le esigenze di Piya al giovane Fokir che guida l’imbarcazione nei canali fra le isole, sulla traccia dei delfini. Eppure diventa ben presto chiaro quanto sia inadeguato, quanto la sua freddezza e il suo cinismo lo lascino fuori da una comunicazione più essenziale, dall’intesa senza parole tra Piya e Fokir, o dalla comprensione del linguaggio degli animali da parte di Piya, o di quello della natura da parte di Fokir, l’umile pescatore per cui Kanai prova un disprezzo misto a gelosia e invidia e a cui Piya deve la vita quando uno tsunami si abbatte sulle isole. 


     Un personaggio singolare, Piya, che si riavvicina alle sue origini studiando i delfini di acqua dolce- e qui si inserisce il tema, più polemico e politico, delle specie protette. Non solo dei delfini, ma anche delle tigri e degli esseri umani: quanti sanno che le tigri nel Sundarban ammazzano una persona ogni due giorni e che invece nell’isola di Morichjhapi era stato fatto un massacro di profughi del Bangladesh, accusati di volersi appropriare del terreno? Perché è questo dramma che racconta lo zio di Kanai nel diario lasciato al nipote, il sogno utopico di una comunità finito in un bagno di sangue.

la recensione e la seguente intervista sono state pubblicate sulla rivista Stilos


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