Casa Nostra. Qui Italia
biografia romanzata
Laura Calosso, “Anita”
Ed.
Sem, pagg. 304, Euro 18,05
Anita Garibaldi, quando studiavamo storia alla scuola elementare, era per noi un mito, una leggenda che accendeva la nostra immaginazione, tanto più che quello che di lei veniva detto era poco, pochissimo- che l’eroe dei due mondi l’aveva conosciuta proprio quando combatteva per la libertà di quell’altro mondo lontano da noi, che se ne era innamorato, che lei lo aveva seguito quando era tornato in Italia, che era morta nella fuga verso Venezia dopo la caduta di Roma. Abbiamo in mente il quadro che la ritrae, portata a braccia da Garibaldi nella laguna di Comacchio.
Era una figura nell’ombra, Anita
Garibaldi, illuminata dalla luce riflessa del marito Giuseppe. Il romanzo di
Laura Calosso la fa rivivere, le dà una sua dignità, una sua personalità, come
è avvenuto di recente, in altri romanzi, per altri personaggi femminili che
finora erano stati poco più di un nome- valga come esempio “La prima regina” di
Alessandra Selmi. La scrittrice dice, nella postfazione, di aver fatto molte
ricerche per l’ambientazione e le vicende storiche che fanno da cornice alla
vita di Anita. Quanto al suo carattere, ai suoi sentimenti, alle sue reazioni-
questo è il privilegio dello scrittore, il sapersi immedesimare, il rendere
plausibile e credibile la persona che prende vita sulle sue pagine.
Anita- era così che la chiamava Giuseppe Garibaldi, con il nome spagnolo che traduceva il suo, Ana o Aninha nel diminutivo portoghese, e anche per noi sarà sempre Anita, mentre facciamo fatica a pensare a Giuseppe come José, il nome che le aveva dato lei. Nata in Brasile nel 1821, i genitori l’avevano fatta sposare a 14 anni con un uomo più anziano. Possiamo stupirci se si innamorò a prima vista dell’uomo biondo e con gli occhi azzurri che conobbe a Laguna quando aveva diciassette anni? Possiamo stupirci che, davanti alle parole di lui che sono entrate nella leggenda, ‘tu devi essere mia’, lei non ci abbia pensato un attimo e l’abbia seguito? Neppure un ripensamento per il marito, che in effetti scompare e Garibaldi dovette usare la sua influenza per farlo dichiarare morto quando si decise a sposare Anita, cosa a cui lei teneva moltissimo perché già avevano avuto dei figli.
È Anita il centro del romanzo, è lei che descrive se stessa, carnagione scura, capelli scuri. È lei che, soprattutto, ci dice del suo carattere, della sua determinazione, del suo coraggio, della sua abilità nel cavalcare, del suo comportamento che ha ben poco di femminile ma forse, proprio per questo, ha fatto innamorare il suo ‘José’. Anita non ci nasconde la sua gelosia- si sapeva che Garibaldi era un donnaiolo. Per lei lui era il centro del suo mondo, i bambini venivano dopo. Leggiamo degli scontri nella regione del Rìo Grande e le fughe e poi il trasferimento a Montevideo, il breve periodo in cui lei era felice, ma Garibaldi, come insegnante di matematica, scalpitava perché non era un lavoro per lui. Il ritorno a Nizza e la descrizione tutta femminile del rapporto con quella suocera religiosissima che continuava a pensare che fossero due peccatori concubini.
Ci appassiona vedere uscire dall’ombra
Anita Garibaldi, è intrigante vedere lui, l’eroe, attraverso gli occhi di lei,
un uomo per cui l’ideale della libertà e dell’uguaglianza veniva prima di
tutto, un padre che aveva portato il figlioletto neonato in un fazzoletto
appeso al suo collo durante una fuga, che aveva pianto quando aveva saputo
della morte della piccola Rosita, ma che forse non avrebbe dovuto sposarsi e
formare una famiglia se il suo primo interesse era altrove. Anita questo non lo
riconoscerà mai, lo amerà fino alla fine, moriranno, lei e la creatura che
portava in grembo, per seguirlo nei mille pericoli.
Un romanzo d’avventura, d’amore e di
guerra.
Nessun commento:
Posta un commento