venerdì 25 aprile 2025

Off the Main Road - Shyam Selvadurai, “Cinnamon Gardens”

                                              Voci da mondi diversi. Sri Lanka



Shyam Selvadurai, “Cinnamon Gardens”

In inglese ed. 1998

Ed. Il Saggiatore, trad. Erica Mannucci, 1999, euro 11,10

   Colombo, Ceylon. Anni ‘20. Cinnamon Gardens, un quartiere di ricchi ceylonesi, un ambiente chiuso, un’atmosfera soffocante, l’ipocrisia come legge.

    Due storie scorrono parallele, con due personaggi principali, Annalukshmi e lo zio Balendran, e molti, veramente molti, personaggi secondari ma indispensabili.

    Il filone della trama che riguarda Annalukshmi ci riporta all’Inghilterra di Jane Austen. Se Annalukshmi, la madre e le sorelle non indossassero i sari, potremmo pensare che fossero le sorelle Bennet. Teniamo a mente, prima di tutto, che ognuno di questi personaggi vive o ha vissuto una storia d’amore e che ogni coppia ha qualcosa da dirci.


Il padre di Annalukshmi vive in Malesia, è ritornato alla religione indù e per la madre, cristiana, era impossibile continuare a vivere con lui. Come per le sorelle Bennet, anche per Annalukshmi e le sue sorelle il problema è il matrimonio, Annalukshmi è la maggiore, se non si sposa lei, le altre non possono convolare a nozze. Ma Annalukshmi è la Elizabeth Bennet del romanzo- ha uno spirito ribelle e indipendente, ama leggere, insegna nella scuola che ha una direttrice inglese e la sua ambizione è di avere anche lei un ruolo direttivo (non sa che, in quanto nativa di Ceylon, le è impossibile). La scena in cui sfreccia sulla bicicletta che le hanno regalato (contro gli ordini della madre), suscitando l’orrore e le maldicenze delle donne per bene di Cinnamon Gardens, significa già tutto. Quando il padre sceglie un marito per lei, Annalukshmi scappa e non si fa trovare, e l’aspirante marito che è anche un loro cugino ripiega sposando la seconda sorella. Vedremo se sarà più o meno felice, se si farà andare bene un marito purchessia. Perché “Cinnamon Gardens” è un romanzo di coppie per lo più infelici, che fingono (se possono).

    Quando Balendran frequentava l’università in Inghilterra viveva con il ragazzo inglese di cui era innamorato. Il padre lo aveva saputo e si era precipitato a salvare il figlio minacciando al suo compagno di denunciarlo- il ricordo di Oscar Wilde è ancora vivo. Balendran era rientrato nei ranghi, si era sposato, aveva avuto un figlio, aveva nascosto la sua infelicità, l’accordo con la moglie era pacato e sereno. Finché, a quasi trent’anni di distanza, l’antico amante era arrivato a Colombo con un incarico del governo…

    Ci sono altre storie ancora, ma vale la pena di soffermarsi su due personaggi che hanno un profondo significato nel romanzo, il fratello maggiore di Balendran e il padre, un’eminenza nella società di Colombo.


Il fratello maggiore era stato ostracizzato perché si era innamorato di una ragazza di casta inferiore che faceva la domestica in casa loro. Si era rifiutato di lasciarla, in un atto di ribellione aveva addirittura ferito il padre prima di emigrare a Bombay. Ora sta morendo e Balendran va da lui: quello che trova lo lascia sorpreso e lo fa riflettere. Il fratello e la moglie vivono in povertà ma è chiaro che si amano ancora, hanno fatto studiare il figlio in Inghilterra con grandi sacrifici: è lui, il fratello, l’eroe del romanzo, quello che ha vissuto la vita che ha voluto affrontando le conseguenze delle sue scelte. E il padre invece, dopo quello che Balendran scopre su di lui, è il modello dell’ipocrisia, di chi esige dagli altri dei comportamenti che lui per primo non rispetta.

    Il romanzo è diventato un classico della letteratura anglo-indiana, un libro sfaccettato e ricco di sfumature, una lettura sempre molto piacevole.





martedì 22 aprile 2025

Lisa Ridzén, “Quando le gru volano a sud” ed. 2025

                                                                       vento del Nord



Lisa Ridzén, “Quando le gru volano a sud”

Ed. Neri Pozza, trad. Laura Cangemi, pagg.336, Euro 19,00

 

     È uno spettacolo grandioso, quando le gru volano alte nel cielo, con le ali spiegate, nei loro flussi migratori- verso Nord all’inizio dell’estate per tornare a Sud quando le foglie ingialliscono. Annunciano l’autunno, la morte o il sonno della natura.

    Da giugno ad ottobre, sono i mesi in cui seguiamo la vita e i pensieri di Bo, ottantanove anni, nel Nord della Svezia. È un racconto in prima persona, spezzato da brevi interventi, come appunti, pro-memoria lasciati per altri e scritti dalle varie persone dell’assistenza sociale che si occupano di lui o dal figlio.

   Bo, la moglie Fredrika, il figlio Hans, la nipote Ellinor, Ingrid, la sua preferita tra le assistenti (c’è anche ‘l’arpia’ che Bo non gradisce affatto), l’amico Ture e il cane da caccia Sixten sono i personaggi del romanzo.


Soprattutto il cane, perché ha un ruolo importantissimo nella vita di Bo, è la sua unica compagnia, su di lui Bo ha riversato l’amore che aveva per la moglie. Fredrika è ricoverata in una casa di cura e neppure lo riconosce più- andarla a trovare è una sofferenza. Bo ha conservato un suo scialle, lo ha chiuso in un barattolo perché mantenga il profumo di lei e ogni tanto svita il coperchio (anzi, se lo fa svitare perché le sue dita artrosiche non ci riescono più) e annusa e gli pare che lei sia ancora lì, vicino a lui. Ci sarà una scena finale in cui Ingrid gli mette vicino al collo e al viso lo scialle di Fredrika ed è una scena di una dolcezza infinita.

   Quanto è difficile la vita quando si diventa anziani. Non si è più indipendenti, si deve obbedire, non si può neppure decidere da soli quando si vuol fare una doccia. C’è il problema del cane, ad esempio. Il figlio Hans pensa che Sixten debba essere affidato ad una famiglia che gli faccia fare quello che Bo non riesce più a fargli fare, lunghe passeggiate, corse nel bosco. Bo insiste che per lui non è un problema, ma un giorno succede quello di cui Hans aveva paura- Bo cade mentre segue Sixten tra gli alberi e non riesce a rialzarsi. Tutto finisce bene, ma perfino la nipote Ellinor- quanto la ama, Bo- è d’accordo con il padre.


    Ricordi, ricordi, una valanga di ricordi. L’infanzia di Bo con un padre (sempre nominato come ‘il vecchio’) severo e anaffettivo, il lavoro nella segheria, l’amore per Fredrika (come era stato possibile che lei, così bella, ricambiasse il suo amore?), il figlio che, a differenza di lui, aveva studiato (come ha fatto Hans a diventare vecchio anche lui?), la gioia di avere una nipote, l’amico Ture, l’unico amico che gli sia rimasto. Giravano voci su Ture, sul fatto che non fosse sposato. Perfino Fredrika gli era ostile. A Bo non importava quello che dicevano, adesso che sono vecchi la telefonata quotidiana con lui è un punto fermo della sua giornata. E, quando Bo incontra lo sconosciuto ‘amico’ di Ture, soffre di non averne mai saputo niente, di non aver goduto della piena fiducia dell’amico. Non si dovrebbe mai lasciare niente di non detto, perché poi può essere troppo tardi. Si cresce sempre, si impara sempre, anche quando si è vecchi. Bo soffoca il rancore che aveva per il figlio che aveva finito per portare via il cane, Bo che aveva rifiutato di rispondere alle telefonate di Hans così come aveva rifiutato il cibo per manifestare il dolore per quella privazione, ormai prossimo alla morte bisbiglia al figlio che gli vuol bene, che è orgoglioso di lui. Se ne va con l’autunno, Bo, insieme alle gru che volano verso Sud.


    Un libro bellissimo, toccante, dolcissimo, profondo perché è un’ultima meditazione su tutto quello che importa nella vita- il rapporto con i genitori, con i figli, con la moglie, con gli amici ( e tra gli amici mettiamo anche il cane). È un ripensamento su quello che si è fatto e su quello che si poteva fare meglio, è un’accettazione della vecchiaia pur con tutte le sue frustrazioni. È un concentrato di vita nel tempo prima di abbandonarla.

Assolutamente da leggere.



giovedì 17 aprile 2025

Tommaso Scotti, “Il segreto del vecchio signor Nakamura” ed. 2025

                                   Voci da mondi diversi. Giappone

cento sfumature di giallo

Tommaso Scotti, “Il segreto del vecchio signor Nakamura”

Ed. Longanesi, pagg. 366, Euro 18,50

 

   Tokyo. 10 dicembre 1968. Un finto poliziotto in motocicletta ferma il veicolo di una banca che porta 300 milioni di yen in contanti, inventa una storia secondo cui un attentato ha fatto saltare in aria la casa del direttore della banca e dice che ci deve essere una bomba anche sulla loro auto. I quattro bancari scendono a precipizio dall’auto, l’uomo perlustra l’abitacolo, si infila sotto, dice che c’è un candelotto di dinamite, esce un gran fumo, lui grida agli altri di scappare, si mette al volante e sfreccia via. I soldi non furono mai ritrovati e tanto meno il ladro. Il denaro era assicurato, gli stipendi dei lavoratori della Toshiba furono pagati con solo un giorno di ritardo, a perderci, quindi, fu solo la compagnia assicurativa.

    Questi sono i fatti su cui Tommaso Scotti, lo scrittore italiano che da anni vive in Giappone, basa il suo nuovo romanzo. Tutto vero, dunque. Poi, come sappiamo, sono l’arte e l’inventiva dello scrittore che ricamano sull’intreccio e che rendono vivi i protagonisti.

identikit

     2018. Sono passati cinquant’anni, ci sarà un servizio televisivo sul furto più famoso del secolo in Giappone, un giornalista e una cameraman vengono inviati a intervistare Nakamura, il vecchio ispettore che aveva diretto le indagini all’epoca. E il tempo si riavvolge, torna indietro di cinquant’anni.

La narrazione, però, scorre su un doppio binario- quello del passato, con tutti gli avvenimenti, lo stupore, lo sgomento, la ricerca di un colpevole purchessia, con un Nakamura giovane che ci colpisce per quel suo sguardo vuoto e la fissazione di contare tutto, di identificare qualunque aspetto della realtà con un numero (solo alla fine capiremo il perché di entrambe le sue peculiarità), gli indagati (Nakamura ci sa dire il numero esatto che è un numero di sei cifre), gli interrogatori, il tutto in capitoli che iniziano con una data seguita dalle ore o dai giorni che sono passati dal furto.

la moto del finto poliziotto

Il secondo binario è quello del presente, quando Nakamura ha quasi novant’anni e le sue innocue manie di vecchio. Ha una memoria eccezionale, ricorda tutti i dettagli del caso. Ricorda anche gli errori che hanno portato dolore e morte, come l’accusa fatta al figlio di un poliziotto (il ragazzo si è suicidato, era un’ammissione di colpa? E il denaro dove era?), come un’altra accusa fatta molto tempo dopo ad un uomo che poi venne interamente scagionato, ma intanto il suo nome era andato in pasto alla stampa e la sua vita era stata rovinata (anche lui si era suicidato). E il collega che lavorava troppo e che non aveva retto allo stress? Sì, il furto di per sé non aveva avuto vittime, ma dopo…

    Il giornalista è preso dal racconto di Nakamura, la cameraman è insofferente, le pare che perdano tempo a seguire quel vecchio che adesso si è messo in mente di uscire, di andare a comprare il tè, a farsi tagliare i capelli, a ritirare un timbro, a mangiare qualche specialità.

timbro giapponese

Perché in apparenza queste digressioni che ci portano in locali così prettamente giapponesi, descrivendo personaggi che hanno avuto una vita difficile, mettendo a confronto la vita aspra del dopoguerra con quella dei tempi moderni, sono come degli ‘aside’ a teatro, scene collaterali che offrono un pretesto per farci conoscere meglio- con un filo di nostalgia- usanze che stanno scomparendo. Ne capiremo meglio solo nella conclusione il significato e il valore, perché il finale (lo scrittore ammette che è una sua invenzione) è sorprendente, ci soddisfa, ci fa pensare un poco a Robin Hood.

    “Non sai chi sei finché non lo sei”, è l’insegnamento del romanzo su cui riflettere, e questa non è l’unica lezione di un libro che ha una delicatezza tutta sua nell’affrontare un’indagine poliziesca.



lunedì 14 aprile 2025

Alexandra Lapierre, “L’indomabile e misteriosissima Miles Franklin"

                                                       Voci da mondi diversi. Australia

biografia romanzata

Alexandra Lapierre, “L’indomabile e misteriosissima Miles Franklin"

Ed. e/o trad. Alberto Bracci Testasecca, pagg. 496, Euro 20,90

 

     Miles Franklin, chi era costui? Anzi, chi era costei? Perché Stella Maria Franklin, quando pubblicò il suo primo romanzo che la rese immediatamente famosa, aveva deciso di firmarsi con un nome maschile che era poi il cognome della famiglia materna, come già avevano fatto altre scrittrici prima di lei, da George Eliot a Georges Sand, sapendo che un nome femminile le avrebbe squalificate in partenza. Chi fosse Miles Franklin ce lo racconta, nel suo inimitabile stile, Alexandra Lapierre che ci trascina con entusiasmo per quasi 500 pagine, perché non è possibile non essere contagiati dal fervore con cui la finora sconosciuta (per noi) Miles Franklin affronta la vita, con un piglio battagliero che non ammette sconfitte.


    Primi del ‘900. Stella Franklin è la prima di sette fratelli e sorelle e vive in una fattoria nel bush, nell’entroterra australiano. Sono spazi infiniti eppure così chiusi, così soffocanti per Stella che mal sopporta la stretta morale vittoriana del suo tempo in quella colonia britannica. E sfoga la sua ribellione in quel libro, “La mia brillante carriera”, che è un attacco feroce contro le limitazioni a cui una donna è sottoposta, contro l’ipocrisia del legame matrimoniale, contro quell’unica scelta che si prospetta a una donna, quasi che senza un uomo a fianco non possa essere nessuno, contro la Chiesa e una religione soffocante. La reazione a quel libro è duplice- Stella credeva ingenuamente che non sarebbe stata riconosciuta come l’autrice, e invece tutte le persone che aveva mordacemente rappresentato si riconobbero pur sotto altro nome…e si scagliarono contro di lei. Poi, quando arrivarono i riconoscimenti dei critici, quando tutte le pagine letterarie la esaltarono, lo sdegno si trasformò in orgoglio per quella ragazzetta con la treccia sulle spalle che aveva dato una voce all’Australia.


    Inizia una nuova vita per Stella. Andrà a Sydney dove sarà corteggiatissima sia dagli uomini sia dalle signore dell’ambiente ‘bene’, e poi in California, dove arriva proprio quando San Francisco è distrutta dal terremoto, da lì si sposta sulla costa orientale facendo sempre nuove conoscenze, adattandosi ad una vita di ristrettezze economiche, a mille lavori tra cui perfino la cavallerizza di un circo. Incontra donne con cui condivide le idee portando avanti la lotta per l’uguaglianza delle donne agli uomini e per il diritto di voto, resta sconvolta dall’incendio che causa la morte di 129 operaie di una fabbrica di camicie a New York nel 1908, parte per l’Europa allo scoppio della guerra e si offre come volontaria per prestare servizio in un ospedale da campo nei Balcani.

dal film

Si fa forza davanti al dolore immenso per i lutti famigliari, soprattutto per la perdita dell’amata sorella, e intanto scrive, scrive, nonostante i disagi e le malattie e le ansie per i genitori che cambiano casa di continuo dopo i ripetuti fallimenti del padre. E, nel rincorrersi di tutte queste vicende, non ho accennato alle amicizie e al contrasto con la madre e agli amori- non vuole legarsi a nessuno, Stella, aveva lasciato un fidanzato in Australia ma lui avrebbe finito per sposare un’altra, c’è un’ambiguità in lei, una sensualità repressa, una paura del maschio che lei vorrebbe solo come un amico affettuoso.

    Dopo la frustrazione di vedersi respingere tutti gli scritti, un anno dopo l’altro, sarà solo dopo che ritorna a vivere in Australia che Stella conosce di nuovo il grande successo. Ma si nasconde dietro stravaganti pseudonimi, non vuole essere collegata alla Miles Franklin del famoso esordio, e scrive romanzi che sono una bandiera per l’Australia, libri che parlano del bush e degli aborigeni e dei primi coloni, pescando dalla storia di entrambi i rami della sua famiglia.

     “L’indomabile e misteriosissima Miles Franklin” è un romanzo travolgente come la personalità della scrittrice di cui traccia la biografia.



venerdì 11 aprile 2025

Laura Calosso, “Anita” ed. 2025

                                                                Casa Nostra. Qui Italia

          biografia romanzata

Laura Calosso, “Anita”

Ed. Sem, pagg. 304, Euro 18,05

    Anita Garibaldi, quando studiavamo storia alla scuola elementare, era per noi un mito, una leggenda che accendeva la nostra immaginazione, tanto più che quello che di lei veniva detto era poco, pochissimo- che l’eroe dei due mondi l’aveva conosciuta proprio quando combatteva per la libertà di quell’altro mondo lontano da noi, che se ne era innamorato, che lei lo aveva seguito quando era tornato in Italia, che era morta nella fuga verso Venezia dopo la caduta di Roma. Abbiamo in mente il quadro che la ritrae, portata a braccia da Garibaldi nella laguna di Comacchio.


     Era una figura nell’ombra, Anita Garibaldi, illuminata dalla luce riflessa del marito Giuseppe. Il romanzo di Laura Calosso la fa rivivere, le dà una sua dignità, una sua personalità, come è avvenuto di recente, in altri romanzi, per altri personaggi femminili che finora erano stati poco più di un nome- valga come esempio “La prima regina” di Alessandra Selmi. La scrittrice dice, nella postfazione, di aver fatto molte ricerche per l’ambientazione e le vicende storiche che fanno da cornice alla vita di Anita. Quanto al suo carattere, ai suoi sentimenti, alle sue reazioni- questo è il privilegio dello scrittore, il sapersi immedesimare, il rendere plausibile e credibile la persona che prende vita sulle sue pagine.

    Anita- era così che la chiamava Giuseppe Garibaldi, con il nome spagnolo che traduceva il suo, Ana o Aninha nel diminutivo portoghese, e anche per noi sarà sempre Anita, mentre facciamo fatica a pensare a Giuseppe come José, il nome che le aveva dato lei. Nata in Brasile nel 1821, i genitori l’avevano fatta sposare a 14 anni con un uomo più anziano. Possiamo stupirci se si innamorò a prima vista dell’uomo biondo e con gli occhi azzurri che conobbe a Laguna quando aveva diciassette anni? Possiamo stupirci che, davanti alle parole di lui che sono entrate nella leggenda, ‘tu devi essere mia’, lei non ci abbia pensato un attimo e l’abbia seguito? Neppure un ripensamento per il marito, che in effetti scompare e Garibaldi dovette usare la sua influenza per farlo dichiarare morto quando si decise a sposare Anita, cosa a cui lei teneva moltissimo perché già avevano avuto dei figli.


    È Anita il centro del romanzo, è lei che descrive se stessa, carnagione scura, capelli scuri. È lei che, soprattutto, ci dice del suo carattere, della sua determinazione, del suo coraggio, della sua abilità nel cavalcare, del suo comportamento che ha ben poco di femminile ma forse, proprio per questo, ha fatto innamorare il suo ‘José’. Anita non ci nasconde la sua gelosia- si sapeva che Garibaldi era un donnaiolo. Per lei lui era il centro del suo mondo, i bambini venivano dopo. Leggiamo degli scontri nella regione del Rìo Grande e le fughe e poi il trasferimento a Montevideo, il breve periodo in cui lei era felice, ma Garibaldi, come insegnante di matematica, scalpitava perché non era un lavoro per lui. Il ritorno a Nizza e la descrizione tutta femminile del rapporto con quella suocera religiosissima che continuava a pensare che fossero due peccatori concubini.


    Ci appassiona vedere uscire dall’ombra Anita Garibaldi, è intrigante vedere lui, l’eroe, attraverso gli occhi di lei, un uomo per cui l’ideale della libertà e dell’uguaglianza veniva prima di tutto, un padre che aveva portato il figlioletto neonato in un fazzoletto appeso al suo collo durante una fuga, che aveva pianto quando aveva saputo della morte della piccola Rosita, ma che forse non avrebbe dovuto sposarsi e formare una famiglia se il suo primo interesse era altrove. Anita questo non lo riconoscerà mai, lo amerà fino alla fine, moriranno, lei e la creatura che portava in grembo, per seguirlo nei mille pericoli.

    Un romanzo d’avventura, d’amore e di guerra.



 

martedì 8 aprile 2025

Shankari Chandran, “Song of the Sun God”

                                                                    Off the main road

Voci da mondi diversi. Australia
guerra civile in Sri Lanka

Shankari Chandran, “Song of the Sun God”

Ed. Ultimo Press, pagg. 388, Euro 11,18

       Inizia nel 1931 a Colombo, nello Sri Lanka quando ancora si chiamava Ceylon (diventò Sri Lanka nel 1972), e termina a Sydney, in Australia nel 2009. Un tempo lungo abbastanza da seguire le vicende di tre generazioni di una famiglia, quella di Rajan e Nala. Rajan veniva da una famiglia povera, ma aveva potuto studiare, era un medico, anzi il più giovane chirurgo di Ceylon. Era stato un matrimonio combinato secondo l’uso indiano, ma per loro era stato subito amore.

La violenza irrompe nel romanzo e nella felice vita della famiglia allietata dalla nascita di una bambina quando arrivano le notizie dei disordini a Gal Oya, nella parte orientale dell’isola- l’amatissimo cugino di Nala, quasi un fratello per lei, era stato ucciso, la moglie era rimasta in vita ma era profondamente traumatizzata e così pure la bambina, la piccola Dhara che aveva dovuto assistere a quello che i soldati facevano alla madre. Dhara crescerà con Priya, la figlia di Nala e Rajan, diventeranno inseparabili- ci penserà la vita, purtroppo, a separarle. È il 1956. Passeranno ancora anni prima che il conflitto diventi cruento. La guerra civile nello Sri Lanka che vide la maggioranza dei singalesi, per lo più buddisti, schierarsi contro la minoranza induista Tamil durò venticinque anni, dagli anni ‘80 al 2009. Una guerra combattuta con varie motivazioni- non c’erano solo le Tigri del Tamil che reclamavano uno stato indipendente al Nord, era anche una lotta tra diverse etnie e diverse religioni, dolorosa e tragica come solo una guerra fratricida può essere.

Colombo

    Dhara e Priya studieranno entrambe medicina, per passione Dhara, per compiacere il padre Priya. Delle due è Dhara quella più coinvolta nel movimento separatista, è Dhara che, come in un ripetersi della storia di sua madre, ne riporterà le ferite più profonde. Quando nasce Smrithi, l’amore di Dhara per lei non può essere sereno- Smrithi è il ricordo vivente di una violenza, è una cicatrice che non guarirà mai. Ed è così che diventerà per Priya la seconda figlia che non aveva potuto avere e crescerà a Sydney, con Priya, suo marito e il figlio, con i nonni Nala e Rajan.

    Lo spaesamento, la nostalgia, i cambiamenti a cui tutti gli emigrati devono abituarsi, diventano il filo conduttore della seconda vita dei personaggi. Ad alcuni riesce più facile ambientarsi, ad altri più difficile.


Si impone una scelta in ogni momento, in ogni giorno- che cosa si deve mantenere delle proprie usanze, delle proprie tradizioni, di tutto quello che fa la nostra cultura, perfino del nostro abbigliamento, e che cosa, invece, si può abbandonare come un fardello che è diventato troppo pesante. Il legame con Colombo, con chi è rimasto, con Dhara che ha ritenuto suo dovere restare, che non ha mai smesso di aiutare il movimento antigovernativo a rischio della vita, non si è mai interrotto. Ci sono le lettere che dicono quello che non si può dire, ci sono le telefonate, ci sono i viaggi di ritorno in cui sono due le madri che abbracciano Smrithi, anche se lei non lo sa.

   “Song of the Sun God” è, come Chai Time at Cinammon Gardens”, un libro molto bello, un romanzo che ci coinvolge e che ci appassiona, che ci fa vivere a fianco dei personaggi, che ci fa conoscere la Storia di un paese lontano nella maniera migliore- sì, forse anche la più facile-, attraverso le vite dei protagonisti.



 

domenica 6 aprile 2025

Veit Heinichen, “A maglie strette” ed. 2025

                                                                    Casa Nostra. Qui Italia

                                               cento sfumature di giallo


Veit Heinichen, “A maglie strette”

Ed. e/o, trad. Monica Pesetti, pagg. 265, Euro 18,05

     Ritorna Proteo Laurenti, vicequestore aggiunto della questura di Trieste, il protagonista dei romanzi seriali di Veit Heinichen, lo scrittore tedesco che vive a Trieste da moltissimi anni- era il 2003 quando andai a Trieste per incontrarlo, dopo la pubblicazione de “I morti del Carso” che mi aveva colpito per la lucidità e la schiettezza con cui lo scrittore parlava di Trieste e dei suoi problemi irrisolti in quel primo romanzo (primo pubblicato in Italia, ma il terzo della serie) in cui appariva un giovane Proteo Laurenti. Gli anni non passano solo per i lettori, passano anche per i personaggi ed ora Proteo è sulla soglia della pensione- quasi non ci crede neppure lui, facciamo fatica a crederlo anche noi lettori anche se dobbiamo riconoscere che è un modo intelligente per terminare una serie. Davvero, diremo addio a Proteo Laurenti, a Marietta dal seno procace, a tutta la famiglia del vicequestore che abbiamo imparato a conoscere?

    Nuota in mare, Proteo, di prima mattina, quando si imbatte in un cadavere. Non è un incontro piacevole. Verrà identificato come una donna, Maria, un’abile skipper. Non è morta annegata, non è stata sbalzata fuori dal gommone, le hanno sparato alla nuca non molte ore prima che Proteo la trovasse.


Nella stessa notte c’è stato un attentato dilettantesco ai danni del Sailing Yacht A, il panfilo gigantesco sequestrato ad un oligarca russo- per la cronaca la più grande imbarcazione a vela del mondo appartiene a Andrej Igorevich Melnichenko e le spese di mantenimento dello yacht in rada sono a carico dello Stato italiano. Proprio per questa spesa esorbitante (sono stati stimati 18 milioni di euro nel 2024), la sera prima un paio di compagni di bevute in una osmiza aveva lanciato scherzando l’idea di farlo saltare in aria- avevano forse attuato quel piano ideato nei fumi alcolici?

E poi c’è la faccenda del ricercato trafficante d’armi russo che è riuscito ad eludere alla sorveglianza e fuggire dagli arresti domiciliari a Milano. Una fuga programmata nei dettagli e di certo grosse quantità di denaro devono essere passate di mano per renderla possibile. L’ultimo pezzo della fuga era via mare, con partenza da Trieste.


    Come sempre, anche “A maglie strette” non è una semplice indagine poliziesca per trovare l’assassino, è piuttosto un’indagine sul malcostume, sulla corruzione, sui traffici loschi facilitati dalla posizione (incantevole peraltro) di Trieste. E soltanto Veit Heinichen ha il coraggio (sì, il coraggio, diciamolo pure) di smascherare il marciume e di portarlo alla luce. È l’occhio esterno che vede con maggiore chiarezza e può denunciare quello che vede perché non vi è coinvolto. Nello stesso tempo, da una miriade di dettagli, dal calore con cui parla di Trieste, è chiaro che ama questa città, che gli piace viverci, che ne conosce gli angoli, che ne apprezza il cibo, che ha una buona intesa con i suoi abitanti- non possiamo fare a meno di vedere il suo alter ego in Proteo Laurenti, anche lui estraneo a Trieste perché originario di Salerno.

Il bar frequentato da Proteo

   E, a proposito di traffici loschi in questo momento, Proteo si imbatte di nuovo in Raffaele Raccaro, un corrotto uomo d’affari che ha le mani in pasta negli investimenti e negli appalti di Trieste- da anni si parla di una funivia che colleghi la zona del porto vecchio con il Carso, da anni il ripristino della famosa linea tranviaria che porta a Opicina è bloccato, anche l’Austria, che non ha mai dimenticato il ‘suo’ sbocco sul mare, è interessata ai progetti. E la manager di Raccaro è la sorella gemella della donna ritrovata morta in mare.

   Ci saranno altri morti, ci sono persone da far scomparire. E poi c’è la diversione della villa in centro che la moglie di Proteo vuole acquistare, c’è un desiderato incontro con la procuratrice croata con cui Proteo ha una storia d’amore senza impegno (lei gli ha fornito un filmato che ha reso possibile ricostruire gli avvenimenti della fuga del russo). E il romanzo scorre via in un baleno, Proteo non si è accomiatato da noi e restiamo con l’interrogativo- leggeremo un’altra sua indagine, magari nel tempo stretto prima del suo pensionamento?



    

 

martedì 1 aprile 2025

Giuliana Salvi, “Clementina” ed. 2025

                                                                Casa Nostra. Qui Italia

          storia di famiglia

Giuliana Salvi, “Clementina”

Ed. Einaudi, pagg. 336, Euro 18,05

 

    Un libro di donne e scritto per le donne- perché no? Si sa che le lettrici sono più numerose dei lettori e si sa che le lettrici si appassionano nel riconoscere qualcosa di se stesse nei personaggi sulla carta. Questa poi, di Clementina, è una storia vera e ha, in più, il fascino di tutte le storie vere. Perché Clementina fa Salvi di cognome ed è la bisnonna della scrittrice. Ed è una storia che copre buona parte del ‘900, dagli inizi a dopo la seconda guerra mondiale.

     Clementina è la maggiore di quattro sorelle, una di loro, la minore, muore. È il primo lutto in questa famiglia che la morte non risparmia- ma la morte non risparmia nessuno. Il padre ritira presto Clementina da scuola, ma non ci sono ostacoli per una mente curiosa e intelligente e ambiziosa, la cultura non si acquista solo a scuola. Clementina si sposa giovane, il marito è un ingegnere delle ferrovie, vanno a vivere a Roma e a Roma nascono i loro figli, quattro. La morte colpisce ancora, il dolore è straziante, Clementina ritorna a vivere a Lecce, i bambini sono solo tre, le due sorelle la accolgono a braccia aperte. Immaginiamo le ristrettezze di tre donne sole che vivono con quello che i genitori hanno lasciato e la pensione del marito di Clementina.




Quando si presenta l’occasione di un lavoro, Clementina tentenna. È l’affascinante professore di francese che glielo propone. Se Clementina è stata così brava a insegnare a casa ai suoi figli prima di iscriverli alla scuola pubblica, perché non accetta di dare lezioni a ragazzi che fanno fatica ad imparare? È per onestà che Clementina è incerta. Lei non è una maestra, lei non ha nessun diploma, ha solo un metodo empirico e ore di studio notturno.

Infine Clementina accetta, prima sono pochi studenti che vengono a casa sua e studiano insieme ai suoi figli, poi viene adattata una stanza della grande casa, poi si iscrivono anche delle ragazze. I risultati di questi studenti agli esami sono eccellenti, i professori non riescono a credere che quelle giovani menti si siano schiuse come per miracolo. Per alcuni casi Clementina deve imporsi con i genitori perché permettano al figlio o alla figlia di continuare a studiare- non vogliono o non possono pagare? Poco importa. Si creerà un legame stretto tra la maestra e i ‘suoi ragazzi’.

   Clementina insegnante e Clementina madre e sorella- sono due aspetti della sua personalità, due filoni narrativi perfettamente armonizzati. Lei aveva promesso al marito che non si sarebbe risparmiata, che avrebbe fatto studiare i figli, che li avrebbe aiutati a trovare la loro strada. Faranno scintille tutti e tre- il primogenito diventerà professore universitario, il minore diventerà avvocato e farà conoscere a Clementina la gioia di diventare nonna, Emira studierà lettere, è la figlia complessata per non essere bella, sempre in rapporto conflittuale con la madre.


    E lei, Clementina, come donna? Non ha mai smesso l’abito nero dopo la morte dell’amato marito, la sua unica gloria sono i lunghi capelli che tardano ad imbiancare. È una donna fiera, orgogliosa, volitiva e caparbia che neppure i numerosi lutti riescono a piegare. Non si permette di cedere al sentimento, Clementina. È chiaro che il professore di francese è innamorato di lei, forse anche lei lo è di lui, ma l’obbligo di fedeltà al marito è più forte. Forse non vuole sostituire la figura paterna per i suoi figli con quella di un altro uomo e comunque ha chiuso il suo cuore, ha sostituito l’amore con una missione.

    Sullo sfondo scorrono le vicende dell’Italia, della prima e della seconda guerra mondiale, del Referendum per la Repubblica. Clementina assiste, le vive solo in quanto si riflettono sulla sua famiglia, ma anche questa è una esperienza che molte, moltissime donne, prese dalle cure quotidiane, possono condividere.

    La narrativa alterna un tempo presente con quella del passato- quando nel presente si allude a qualcuno che non c’è più, verremo a sapere dopo, riandando indietro negli anni, che cosa è successo. Qualche inflessione dialettale leccese aggiunge un pizzico di colore in questa storia che si legge di volata, con una protagonista dal dolce nome antiquato che non possiamo non ammirare.


credit Marika Delli Ponti