venerdì 30 agosto 2024

Cocco & Magella, “Omicidio al faro” ed. 2024

 


      Casa Nostra. Qui Italia

  cento sfumature di giallo

Cocco & Magella, “Omicidio al faro”

Ed. Marsilio, pagg.231, Euro 18,00

   Lago di Como. Brunate, a poca distanza dal Faro Voltiano. Una bella villa. Due morti, marito e moglie, seduti sul divano e uccisi con un colpo di pistola alla nuca. Non devono essersi accorti di niente. Due altre persone presenti in casa al momento del delitto, la domestica e il figlio della coppia, 48 anni, afflitto da disturbi psichiatrici.

    La famiglia del notaio De Marchi non era una famiglia in cui i rapporti fossero facili. Erano molto ricchi, sì, ma tutti sapevano che il notaio aveva relazioni extraconiugali (i pettegoli dicevano che anche la domestica, a loro servizio da quando era una ragazzina, era stata una sua amante), che la moglie chiudeva entrambi gli occhi e che il figlio fosse in disaccordo con il padre. Perché il notaio voleva che il figlio Alessandro seguisse le sue orme e invece questi aveva un temperamento artistico e, di nascosto dal padre, si era iscritto all’Accademia di Brera, e poi per il notaio le inclinazioni sessuali del figlio erano inaccettabili, quasi un affronto personale. Era stato Alessandro a ucciderli? Lui non sa, non ricorda, aveva sentito delle voci, aveva sentito due forti rumori. Poi era arrivata la domestica che per prima cosa si era occupata di lui e gli aveva fatto un’iniezione.


    Il commissario Stefania Valenti, protagonista della serie scritta a quattro mani da Giovanni Cocco e Amneris Magella, si occupa del caso. Sembra che ci siano pochi dubbi su chi abbia ucciso i due De Marchi, anche le motivazioni paiono chiare, ma ugualmente Stefania vuole approfondire, incontra lo psichiatra che ha avuto Alessandro in cura fin dalle prime manifestazioni di una profonda depressione quando era molto giovane, legge i referti autoptici, ascolta la domestica che stravede per Alessandro vantandone le capacità artistiche, esamina i quadri dell’aspirante artista- ce n’è più di uno in cui è ritratto un giovane uomo molto bello, e ce n’è un altro molto intrigante e non finito del Faro Voltiano. Quello che l’uomo del ritratto (facilmente rintracciato, anche perché aveva incontrato spesso Alessandro a Brunate) racconta, è forse lo spaccato più lucido e reale della vita del giovane De Marchi e della sua personalità più complessa di quanto si possa pensare. Era una vittima Alessandro De Marchi? Aveva scelto una soluzione di comodo, rinunciando a vivere come avrebbe voluto? Non sarebbe stato capace di rinunciare agli agi a cui era abituato? E le sue crisi nervose, così temute in casa- erano vere? Oppure simulava? E fino a che punto? Le usava per manipolare gli altri?


     Alessandro De Marchi ha anche una sorellastra, figlia di un matrimonio precedente della madre. Per ironia della sorte è stata lei a seguire le orme di un patrigno che lei non amava e da cui non era amata. Che confidenze le aveva fatto sua madre? E l’eredità, a chi sarebbero andati i soldi del notaio e della moglie? La domestica sembra considerare la villa come sua proprietà…

   È interessante, la narrativa di questo romanzo, così pacatamente provinciale, così da acque calme di lago che nascondono chissà che, perché il commissario Stefania Valenti si fa da parte e noi apprendiamo del passato e presente della famiglia De Marchi da quattro angolazioni diverse- il medico ci parla con cognizione di causa di un paziente che conosce bene e a cui è affezionato, la sorellastra parla dei tre membri della sua famiglia con un distacco moderato, l’uomo dei ritratti è quello che conosce Alessandro più da vicino perché è suo amico dopo essere stato suo amante, il modo in cui la domestica parla di Alessandro  ci fa capire quanto visceralmente sia legata a lui.

   C’è poi un’indagine minore che serve quasi da sotto-trama, come qualcosa che accade sotto la superficie calma del lago- scompare una ragazza, era fidanzata, frequentava però anche un altro uomo. Si è gettata nel lago dal traghetto? Nessuno ha visto alcunché. Ha più di trent’anni- voleva nascondersi? È una storia in sottotono che sottolinea la complessità dei rapporti familiari.

    Un ‘giallo’ elegante nella sua semplicità, attento ai dettagli, senza sbavature.




giovedì 22 agosto 2024

Femi Kayode, “La terra delle ombre” ed. 2024

                                                            Voci da mondi diversi. Nigeria

    cento sfumature di giallo


Femi Kayode, “La terra delle ombre”

Ed. Longanesi, trad.  A. Biavasco e V. Guani, pagg. 363, Euro 20,00

 

    Torniamo a Lagos, in Nigeria, con lo psicologo forense Philip Taiwo, protagonista del precedente (e molto pregevole) romanzo “Il cercatore di tenebre” di Femi Kayode, autore di quest’altro libro che, di nuovo, comunica un’idea di buio nel suo titolo. Buio dell’ambiente, buio di situazioni, buio dell’anima, buio su cui si vuole fare luce.

    Il consiglio degli Anziani di Grace Church ha affidato un incarico delicato a Taiwo: è scomparsa Folasade Dawodu, la ‘First Lady’, la moglie del vescovo Jeremiah Dawodu, anzi di Vescovo. E questo appellativo, senza l’articolo che lo rende un nome comune, dice già tutto sulla persona, un uomo imponente e carismatico, capace di ammaliare i fedeli con i suoi sermoni. Parole, parole, parole. Nascondono qualcosa quelle altisonanti parole?


    Vescovo è stato arrestato, in diretta televisiva, mentre era sul pulpito della sua chiesa. Qualcuno lo aveva denunciato come assassino della moglie, di cui però si sono perse le tracce e nessun corpo è stato ritrovato: chi voleva incastrare Vescovo? E perché? L’incarico di Taiwo non è quello di fare luce sulla scomparsa della moglie, ma di scagionare il marito. Il quale appare sconvolto e profondamente turbato e si professa innocente: sì, avevano litigato, ma quali sono i coniugi che non litigano? E la comunità dei fedeli è testimone della sua presenza in chiesa quando la First Lady è stata vista per l’ultima volta. Ma, e le macchie di sangue che si vedono sui muri della loro casa?

   Se la casa del Signore dovrebbe risplendere di Luce, è l’oscurità più fitta che Philip Taiwo, insieme al suo aiuto Chika, incontra nell’indagine. Un buio tanto più nero perché avvolge Vescovo come capo della Chiesa- dovrebbe essere irreprensibile in quanto tale, neppure sfiorato da traffici economici di alcun tipo- e come uomo, come marito- dovrebbe essere un esempio di armonia coniugale per i suoi fedeli.

   Ci sono molte denominazioni di genere per i romanzi gialli, noir, polizieschi, di indagine, mystery, thriller. Ci sono sfumature diverse di livello di violenza e crudità, così come ci sono arricchimenti di filoni diversi che si intrecciano a quello principale. Nei romanzi di Femi Kayode, che ha studiato psicologia, c’è pochissima violenza e molta indagine psicologica, insieme alla volontà di portare allo scoperto problematiche molto spesso ‘insabbiate’. È la corruzione della Chiesa che viene indagata in questo romanzo, insieme alla condizione femminile e al culto della personalità che tutto esalta e giustifica.


    Se non posso dire di più sul dramma della moglie di Vescovo, posso invece aggiungere qualcosa sul filone secondario della trama, quello che riguarda la famiglia di Philip Taiwo che pensava che il ritorno in Nigeria fosse un ritorno ‘a casa’ per i suoi figli, che li avrebbe messi al riparo dalla discriminazione razziale. Si scontra invece con le difficoltà della figlia adolescente, bullizzata a scuola per…il colore della sua pelle, più scuro di quello delle compagne. Perché questo è un problema più femminile che maschile? Perché – e non pensiamo a Michael Jackson- la pubblicità dei nocivi prodotti depigmentizzanti  si rivolge di più alle donne?

    Ambientato in una Lagos assediata dal traffico, con dei flashback della vita precedente della famiglia Taiwo negli Stati Uniti dove la figlia di Philip Taiwo vorrebbe tornare, il romanzo di Femi Kayode non delude le aspettative.





lunedì 19 agosto 2024

Leo Vardiashvili, “Vicino a una grande foresta” ed.2024

 



Voci da mondi diversi. Georgia


Leo Vardiashvili, “Vicino a una grande foresta”

Ed. Bompiani, trad. Patrizia Managò, pagg. 400, Euro 20,00

 

    Nella favola che la mamma gli leggeva alla sera c’era una grande foresta e Hänsel si lasciava dietro briciole di pane per poter ritrovare il sentiero che avrebbe riportato lui e Gretel a casa. Era una favola che faceva paura, però-diceva la mamma- le favole finiscono sempre bene, bastava che lui e Sandro ascoltassero fino alla fine.

   C’era una foresta anche sul Mtatsminda, la montagna alle spalle di Tbilisi, la città da cui il padre Irakli con loro due bambini era fuggito nel pieno della guerra civile, lasciando indietro la madre perché non c’erano abbastanza soldi per comprare i documenti per tutti. “dov’è Eka?”, chiedevano di continuo Sandro, 10 anni, e Saba di due anni più piccolo. “Ragazzi, presto la riporteremo a casa”, rispondeva il padre, ammazzandosi di lavoro per raggranellare i soldi e comprare il visto e pagare tangenti, per poi essere derubato da un truffatore senza scrupoli che si era dileguato dopo vane promesse.


  C’era anche una statua gigantesca che dall’alto di una collina dominava Sololaki, il pittoresco quartiere di case colorate che si arrampicavano sul Mtatsminda. È la madre della Georgia che tiene in mano una coppa di vino per chi si avvicina in pace e una spada per chi, invece, si avvicina in guerra. Ed era in una di queste casette addossate l’una all’altra che avevano abitato Sandro e Saba con i genitori. Sarebbe stato capace di riconoscerla, Saba, che era partito così piccolo per arrivare in un paese di cui non capivano la lingua e dove tutto era così diverso, lontano anni luce dalla Georgia? Perché Saba, voce narrante di questo primo romanzo di Leo Vardiashvili, arrivato a dodici anni come rifugiato a Londra nel 1995 dopo il caos in cui era piombata la Georgia nel 1991, quando l’Unione Sovietica si era disgregata, parte per Tbilisi alla ricerca di Irakli e di Sandro. Irakli era partito per rintracciare la moglie di cui non aveva più notizie ed era scomparso- il suo ultimo messaggio era stato per dire di non cercarlo, sarebbe andato sulle montagne dove ‘loro’ non potevano trovarlo. Sandro era partito per cercare il padre e anche lui, dopo le prime comunicazioni, era scomparso. Adesso è il turno di Saba che- prima spiacevole sorpresa- viene fermato all’aeroporto di Tbilisi dove gli viene confiscato il passaporto.

                                              Sololaki

    “Vicino a una grande foresta” è il romanzo di una molteplice ricerca. Ricerca delle proprie radici- Un uomo senza storia è un albero senza radici, recita l’esergo. Come ricostruire il proprio passato e riconoscere se stessi in un paese cambiato nell’arco dei vent’anni in cui è stato lontano? A destabilizzare Saba si aggiungono gli animali fuggiti dallo zoo in seguito ad un’alluvione, il gigantesco ippopotamo che si aggira minaccioso per le strade della città, quasi una figura da un altro mondo, la tigre, ancora più minacciosa, che si nasconde nella foresta sul Mtatsminda. È qualcosa che è veramente successo, ma a noi sembra una metafora per l’atmosfera di pericolo che si percepisce nella città.


    Ricerca del padre e del fratello seguendo i graffiti che questi ha lasciato sui muri, come messaggi per una caccia al tesoro in un linguaggio che solo i due fratelli conoscono o come le briciole di pane lasciate da Hänsel. E al posto della strega c’è un ispettore di polizia che aspetta Saba, che ne segue le tracce trasformando il cercatore in ricercato. Perché? Di che colpa si è macchiato Irakli?

    Ricerca nella Storia della Georgia in cui la guida è il tassista Nogar, anche lui un esule in fuga dall’Ossezia, regione separatista della Georgia, anche lui in cerca di qualcuno, della sua bambina alla cui morte in seguito a un bombardamento né lui né la moglie vogliono rassegnarsi.

   Se Saba è il personaggio principale del romanzo, se il suo Virgilio alcolizzato/Nogar è una sorta di ‘doppio’, ci sono poi una miriade di altri personaggi che affiancano Saba nella sua ricerca, ci sono soprattutto le voci di persone che spuntano dal suo passato, che percorrono come ombre le pagine del libro, che fanno rivivere ricordi e riportano alla memoria cose che Saba non sapeva di sapere.

    Un esordio quanto mai interessante, una voce originale sulla scena letteraria.



giovedì 15 agosto 2024

Aslak Nore, “Il cimitero scomparso” ed. 2024

                                                                          vento del Nord

       cento sfumature di giallo

Aslak Nore, “Il cimitero scomparso”

Ed. Marsilio, trad.    pagg. 515, Euro 19,50

    Ci sono i Falck di Bergen e ci sono i Falck di Oslo. Quelli di Bergen sono impoveriti e vivono in una bella dimora solo perché Vera Lind, moglie vedova del capostipite Thor il Grande, gliela ha ceduta in affitto per una cifra simbolica. I Falck di Oslo abitano in una casa che sembra una piccola reggia, con una torretta e un grande rosone. È Olav- di questi Falck- che è a capo dell’associazione Saga i cui interessi e scopi sono varii, a volte dubbi anche se si ammantano sempre di un fine superiore a tornaconti personali, è piuttosto la sicurezza della Norvegia che sta loro a cuore. L’altro Falck, Hans, è un socialdemocratico, un medico famoso per aver salvato molte vite, per essersi unito ad imprese umanitarie che lo hanno portato in Libano- era là durante il massacro di Sabra e Shatila, in una scena iniziale lo vediamo portare in salvo un neonato a rischio della sua stessa vita- e poi in Afghanistan. E poi c’è Vera, madre di Olav, che muore suicida gettandosi in mare prima che l’azione del romanzo abbia inizio. C’è un testamento che non si trova, c’è un romanzo, “Il cimitero del mare”, scritto da Vera e sequestrato dalla polizia nel 1970, prima che potesse essere dato alle stampe. E c’è un disastro marittimo avvenuto nell’ottobre 1940.


    Il 9 aprile 1940 i tedeschi avevano invaso la Norvegia, il legittimo governo andò in esilio e le autorità delle forze di occupazione nominarono un governo collaborazionista. Nell’ottobre di quell’anno la SS Princesse Ragnhild, uno dei traghetti della Hurtigruten che ogni giorno navigava (e naviga) lungo la costa da Bergen a Kirkenes, affondò- dei 90 norvegesi e dei 300 soldati tedeschi che erano a bordo morirono circa 300 persone senza contare i membri dell’equipaggio. Sulla Princesse Ragnhild c’era anche l’armatore Thor Falck, con la moglie Vera e il figlio neonato Olav. Loro due si salvano, Thor affoga.

    “Il cimitero del mare” è un romanzo di così ampio respiro che, non solo è impossibile, ma non sarebbe neppure giusto tentare di riassumerlo. Si può solo cercare di dare un’idea di una trama che si sposta dalla Norvegia al Medio Oriente, che è ricca di segreti, di complotti familiari (perché Vera è stata ricoverata in una clinica psichiatrica e poi interdetta dal suo stesso figlio? Perché ha ritirato il testamento il giorno prima di morire? e perché si è gettata in mare dallo Strapiombo?), di tradimenti, di sepolcri imbiancati a calce, di gelosie, di figli prediletti (è Alexandra e non il figlio maschio la prediletta di Olav), di storie di amore, sì, anche storie di amore. E soprattutto di quello che è il massimo valore- la fedeltà alla famiglia, a qualunque costo, la famiglia prima di ogni altra cosa.


    Quanto a “Il cimitero del mare”, questo è più propriamente il titolo del romanzo confiscato, nascosto, smarrito e ritrovato di Vera Lind, un romanzo dentro il romanzo, la vera (sarà un caso che lei si chiami Vera?) storia dell’affondamento della Princesse Ragnhild che la Storia ufficiale dichiarava colpita da una mina britannica. Per appurarlo resteremo con il fiato sospeso mentre un giornalista di grande fascino, dal passato burrascoso nei servizi segreti e con un conto in sospeso con Olav Falck, si cala a trecento metri di profondità per esaminare il relitto, indossando uno scafandro modernissimo che dovrebbe essere del tutto sicuro. Vera aveva ragione. Su tutto. Quello che Johnny Berg trova in una cabina è il tassello mancante. Il finale del romanzo scoppia a sorpresa come un fulmine. In un lampo capiamo anche noi tante cose, ma questa è l’ultima pagina. Dovremo attendere il prossimo romanzo- per fortuna c’è un altro romanzo a seguire, già pubblicato all’estero, “Gli eredi dell’Artico”.


   È impossibile staccarsi dalle pagine del libro di Aslak Nore (figlio dello scrittore Kjartan Fløgstad, ha studiato a New York e ha militato nel battaglione d’élite norvegese Telemark in Bosnia prima di lavorare come giornalista in Medio Oriente e in Afghanistan) perché, pur romanzando un fatto realmente accaduto, alza il sipario sulla posizione della Norvegia durante la guerra mondiale, passa da quella ‘vecchia’ guerra a quelle nuove in Medio Oriente, è un ottimo noir e, insieme, una saga famigliare secondo la migliore tradizione.




   

    

domenica 11 agosto 2024

Samir Machado de Machado, “Il crimine del buon nazista” ed. 2024

                                                           Voci da mondi diversi. Brasile

cento sfumature di giallo

Samir Machado de Machado, “Il crimine del buon nazista”

Ed. Sellerio, trad. V. Barca, pagg. 186, Euro 14,00

 

Un breve riassunto di quello che avvenne in Germania nel 1933.

30 gennaio: il presidente von Hindenburg nomina cancelliere Adolf Hitler.

27 febbraio: un incendio distrusse il Reichstag, il parlamento tedesco di Berlino. dopo di questo Hitler abolisce l’articolo 7 della Costituzione che garantisce la libertà dei cittadini.

22 marzo: viene aperto il primo campo di concentramento a Dachau.

23 marzo: viene approvata la Legge per gli Interventi Straordinari che di fatto permette a Hitler di promulgare nuove leggi senza l’approvazione del Parlamento. Inizia la dittatura.

1 aprile: inizia il boicottaggio delle imprese commerciali possedute da cittadini ebrei.

7 maggio: viene creata la Gestapo, la Polizia Segreta di Stato.

10 maggio: oltre 25000 libri, scritti da ebrei o da oppositori politici o da intellettuali liberali, considerati contrari allo spirito tedesco vennero dati alle fiamme.

14 luglio. È approvata la legge per la sterilizzazione di chi è affetto da handicap fisici o mentali.


   Eccoci dunque all’ottobre del 1933 in cui si svolge il breve romanzo dello scrittore brasiliano Samir Machado de Machado, un ‘giallo a porta chiusa’ sul modello di Agatha Christie. Qui non c’è una ‘porta chiusa’ che restringe il numero dei possibili indiziati di un crimine, ma la limitazione è uguale: siamo a bordo del dirigibile LZ 127 Graf Zeppelin proveniente dalla Germania e diretto a Rio de Janeiro, un gigantesco aeromobile i cui interni potrebbero essere paragonati a quelli del Titanic. Durante la prima cena dopo che il dirigibile ha fatto scalo a Recife, veniamo a conoscere i passeggeri che, seduti allo stesso tavolo, saranno coinvolti negli avvenimenti.

    C’è un funzionario della Kriminalpolizei di Berlino, Bruno Bruckner, che sfoggia una piccola svastica sul risvolto della giacca ed è in viaggio di vacanza, un medico nazista sostenitore dell’eugenetica, un inglese provocatorio e un poco effeminato, una baronessa inanellata che beve un gin tonic dopo l’altro, un uomo che si offende per le insinuazioni che possa essere ebreo e che si ritira presto nella sua stanza. E poi il commissario di bordo che fa le veci di cameriere stile maggiordomo inglese, dalla onorata carriera e con un nome ‘vero’ (Kubis) come quello del comandante Eckener.


     Il mattino seguente c’è un passeggero che viene trovato morto nella stanza da bagno degli uomini, con la porta chiusa dall’interno. Odore di mandorle amare, cianuro. Suicidio? Omicidio? Nella sua cabina ci sono due passaporti con due nomi diversi, uno è un nome ebraico. Ci sono anche una macchina fotografica, delle fotografie di nudi maschili, una copia di due riviste erotiche diffuse negli ambienti underground degli omosessuali di Berlino che raccontano dei ‘cabaret della vita’ (ne ha parlato il passeggero inglese). Il comandante affida le indagini a Bruno Bruckner, tutti sono sospettati- il medico perché nella valigetta aveva una boccetta di acido cloridrico che, combinato con il blu di Prussia usato per la stampa delle fotografie, poteva spiegare l’arsenico mortale, l’inglese perché conosceva il morto e poteva metterlo in imbarazzo, la baronessa perché una delle fotografie ritraeva il suo bel nipote ed era compromettente.

     Poi tutto si svolge velocemente, il tempo prima di atterrare è breve. E l’esito è sorprendente, del tutto inaspettato.

Un ‘giallo’ singolare, acuto e ironico, che è anche una storia dell’ascesa del nazismo e della conseguente fanatica persecuzione degli omosessuali.




      

  

 

 

venerdì 9 agosto 2024

Donatella Di Pietrantonio, “L’età fragile” ed. 2024

                                                                     Casa Nostra. Qui Italia

               premio Strega 2024

Donatella Di Pietrantonio, “L’età fragile”

Ed. Einaudi, pagg. 192, Euro 18,00

 

     È l’anno terribile in cui il mondo si è fermato per la pandemia. Amanda ha preso uno degli ultimi treni in partenza da Milano per tornare a casa, nel paesino degli Abruzzi vicino a Pescara. Non è più la ragazza che è partita baldanzosa, il futuro che le illuminava gli occhi. Si chiude nella sua stanza, non mangia, non parla. Lucia (la madre, voce narrante del romanzo) non sa come comportarsi- dove ha sbagliato? Non ha capito quanto lo scippo subito l’avesse segnata? Sarebbe dovuta partire subito per Milano, per esserle vicino? Sì, certamente sì, senza accontentarsi della telefonata.

    Per una delle coincidenze della vita, quello che è accaduto ad Amanda si allaccia a un episodio gravissimo che ha spaccato in due la giovinezza della stessa Lucia, perché si torna a parlare del Dente del Lupo, un terreno che appartiene a suo padre e che ora lui vuole diventi suo con una donazione. In realtà vuole togliersi dall’imbarazzo di dover decidere se accettare un’offerta di acquisto del terreno, la qual cosa coinvolgerebbe anche gli interessi dell’amico Osvaldo.


    Il Dente del Lupo. Osvaldo. Il campeggio, un’idea della moglie di Osvaldo, che doveva attirare i turisti e che adesso era abbandonato e in rovina. Le tre ragazze scomparse, trent’anni prima. Una era la figlia di Osvaldo, le altre due erano venute in vacanza, erano sorelle, il giorno della scomparsa avevano già lo zaino pronto per ripartire. Adesso la figlia di Osvaldo vive in Canada e torna raramente a casa, le due sorelle non partiranno mai più per nessuna destinazione. Erano state trovate morte. Lucia aveva partecipato alle battute di ricerca, con l’ansia e la paura che le attanagliavano il cuore. Poteva esserci anche lei, tra le vittime. La sua amica, la figlia di Osvaldo, le aveva chiesto di unirsi a loro in quella breve gita, lei aveva preferito raggiungere le amiche al mare ed ora si sentiva in colpa per non averla invitata- si vergognava del suo annaspare nell’acqua.

    Donatella Di Pietrantonio ha preso spunto da un evento di cronaca nera di cui si possono leggere i dettagli su internet- il delitto del Morrone avvenuto il 20 agosto 1997 in un bosco nei pressi di passo san Leonardo sul monte Morrone. Fu un delitto particolarmente efferato che colpì l’opinione pubblica, che non poteva non avere un effetto traumatico sulle ragazze della zona che rivivevano dentro di sé la sorpresa, la ferocia, la paura, la fuga, quasi fossero esse stesse le fragili vittime nell’età fragile in cui si ha ancora fiducia nel prossimo, in cui neppure si immagina che qualcuno possa farci male.


E allora il Dente del Lupo che attira l’attenzione di Amanda, che la spinge ad unirsi ai pastori e ai contadini che protestano contro la vendita del terreno per delle costruzioni che snatureranno quel luogo silvestre, diventa un doppio simbolo, il simbolo di una doppia lotta con quel nome che convoca un’idea di minaccia. Lotta contro il pericolo sempre in agguato per le donne e lotta in difesa della natura, perché non venga violentata, perché la sua innocente bellezza venga preservata.

    Da un fatto di cronaca, dimenticato da tutti tranne che da chi ne è stato ferito, Donatella Di Pietrantonio trae un romanzo di realtà e sentimenti, di fatti crudi in una natura aspra e di legami famigliari complessi, con un padre severo, una figlia silenziosa, un ex marito i cui abiti sono ancora in casa di Lucia, un’amica che si è allontanata dopo il trauma subito anni prima. E, anche se manca di originalità, il romanzo piace per il linguaggio piano e pulito, per la semplicità che ben si addice al paesaggio scabro in cui è ambientato.   



sabato 3 agosto 2024

Olivia Ford, “Mrs. Quinn diventa famosa” ed. 2024


 Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda


Olivia Ford, “Mrs. Quinn diventa famosa”

Ed. Corbaccio, trad. Maria Olivia Crosio, pagg. 372, Euro 17,95

    Un paesino in Inghilterra. Lei, Mrs. Quinn, Jenny per tutti, ha 77 anni. Lui, Bernard, ne ha 83. Stanno per festeggiare le nozze di diamante, 60 anni insieme. Sessant’anni di amore e di armonia, di tenera sollecitudine l’uno per l’altro. Se soffrono per la mancanza di figli, non ne parlano. Si dicono che gli basta fare gli zii dei bambini che sono i nipoti della sorella di Bernard. Si congratulano con gli amici vicini di casa che fanno i nonni  baby-sitter di nipotini tutti con i capelli rossi. Chissà, però, che a Jenny non manchi qualcosa, che non si senta realizzata, quando, in un guizzo di ambizione di cui quasi si vergogna, si iscrive ad un concorso di cucina per prendere parte ad una trasmissione televisiva che ha un grande pubblico, Britain Bakes. Non dice niente al marito, la sua fiducia in se stessa è pari a zero- che cosa mai le è venuto in mente, alla sua età? Si renderà ridicola. Non sarà accettata e, se sì, sarà eliminata subito.

    E invece Jenny viene selezionata e, sentendosi in colpa per i sotterfugi a cui deve ricorrere, inizia ad andare a Londra regolarmente, superando ogni volta le prove in cui i piatti da lei preparati sono apprezzati per originalità, perfezione di esecuzione e quel certo fascino di un’antica tradizione. Intanto Bernard è più che mai preoccupato per la moglie che gli sembra strana, che pare essere veramente ossessionata dal cucinare, che sforna dolci ricercati e squisiti. Troppi dolci, troppo ricercati, troppo squisiti.


   Il romanzo di Olivia Ford è squisito, è una lettura piacevolmente deliziosa- alla lettrice il gusto di scegliere quale filone narrativo prediligere, perché, nei capitoli che hanno il titolo di una ricetta, si alternano la vita presente di un’affiatata coppia anziana, gli anni di gioventù precedenti il matrimonio di Jenny e i giorni in cui Jenny si trova catapultata in un altro mondo, fa nuove conoscenze e nuove amicizie, si mette alla prova con la sua esperienza e la sua vecchia stadera di cui non può fare a meno (una volta che sarà vista in televisione, la stadera sarà ricercatissima nei negozi), e i dolci che lei decide di preparare sono come le madeleines di Proust, collegano il presente e il passato, risvegliano ricordi, riportano in vita persone scomparse, riacutizzano il dolore per una scelta che Jenny era stata obbligata a fare, per qualcosa che non era stata capace di gettarsi alle spalle, per un segreto che adesso preme per essere condiviso con Bernard- e se parlarne ora distruggesse tutta la loro vita? E poi ci sono le ricette che fanno venire l’acquolina in bocca, la descrizione dei dolci che hanno sapore di ‘vecchia Inghilterra’, che spesso sono dolci ‘vecchia Inghilterra’, tramandati di generazione in generazione,  che a volte hanno, negli ingredienti, la capacità di risorse dei tempi di guerra.


    C’è il vecchio e c’è il nuovo, nel romanzo di Olivia Ford, c’è un peccato di gioventù in un’epoca bigotta e senza perdono e ci sono i social dei nostri giorni, una vetrina per chi ama il narcisismo ma anche una possibilità straordinaria per cercare di contattare persone di cui non si è saputo più nulla, il pericolo ma anche il vantaggio della visibilità. C’è il rimpianto di sentieri non intrapresi ma anche l’audacia di guardare avanti, di spingersi in iniziative senza farsi trattenere dall’età- l’età è un limite della mente, gli anni che si sono vissuti possono essere trasformati in un bagaglio di ricche esperienze. E poi c’è il ritratto sereno di una profonda unione di coppia in cui la felicità dell’altro è l’assoluta priorità e qualunque rinuncia non è un sacrificio ma una scelta.

    Una sola cosa mi è mancata nel romanzo: il ricettario di Mrs. Quinn per provare a fare i suoi dolci (certamente con un esito diverso dal suo).



 

,