vento del Nord
Tarjei Vesaas, “Il castello di ghiaccio”
Ed.
Iperborea, trad. Irene Peroni, postfazione di Luca Scarlini, pagg. 185, Euro
16,50
Il Telemark. I più lo conoscono come uno stile di sci, chiamato anche ‘a tallone libero’. Una contea nel sud della Norvegia che deve il suo nome all’antica tribù germanica che lo ha abitato fin da epoca vichinga. La regione che ha mantenuto l’antica cultura norrena più di qualunque altra, contesa tra inglesi e tedeschi, durante la seconda guerra mondiale per gli impianti di produzione dell’acqua pesante, essenziale per la costruzione della bomba atomica.
Due bambine di undici anni, Siss e Unn.
Il castello di ghiaccio, una cascata che,
col gelo, ha formato una gigantesca struttura con la forma di un castello.
Un tempo fuori dal tempo.
Intorno a questi elementi si costruisce la fiaba noir di Tarjei Vesaas, vincitore del premio del consiglio Nordico del 1964 e plurinominato al Nobel. Una fiaba che risveglia echi della Regina delle nevi di Andersen e, per venire a tempi moderni in cui giganteggia il grande schermo, “Frozen”, che si legge con il fiato (condensato in nuvolette di vapore) sospeso, con brividi di orrore (e di freddo) per una morte che immaginiamo chiusa per sempre in una capsula di ghiaccio.
Unn è nuova nel paesino perso nel nulla.
Abita con la zia, sua madre è morta poco tempo prima, si tiene lontana dai
compagni di classe. Poi, un giorno, invita Siss ad andare a casa sua. Che cosa
si dicono, le due bambine, chiuse nella stanzetta di Unn? Soprattutto, che cosa
non si dicono? Perché Siss ritorna a casa spaventata- non sa bene neppure lei
da che cosa- , con una paura che sembra inseguirla lungo la strada buia?
Le ombre hanno incominciato ad addensarsi
quella notte stessa, all’inizio di una amicizia che non fa neppure a tempo ad
iniziare. La mattina dopo solo Siss è presente a scuola. La zia dirà che è
uscita di casa come al solito, però a scuola non è mai arrivata. Incominciano
le ricerche, nel buio e nel gelo, mentre le domande incalzano Siss che non sa
nulla, che finisce per sentirsi male. Si ammalerà, mentre Unn non riappare.
Il castello di ghiaccio è però, sia come realtà sia come metafora, il protagonista assoluto della fiaba. Tutti ne parlano, a scuola si progettava di fare una gita fin lì per vederlo. È sempre presente, nelle parole e concretamente, al centro di quattro momenti cruciali.
Invece di andare a scuola, Unn è andata
veramente nel castello di ghiaccio, fata morgana che attrae dentro la sua
meraviglia scintillante- una trappola mortale.
Le spedizioni di ricerca arrivano fino al
castello di ghiaccio, non trovano nulla, non potrebbero. Di notte i giochi di
luce sul ghiaccio si sono spenti, il buio avvolge il castello e il destino di
Unn.
Anche Siss va al magico castello. È una voce
che la attrae? Lei difende con caparbia ostinazione la memoria dell’amica, non
rinuncia alla speranza del suo ritorno. E tuttavia, quel ghiaccio che ha una
sua voce negli scricchiolii e nei misteriosi boati, è anche una minaccia. E che
cosa vuole indicare quel funesto uccello nero che scende in picchiata sul
ghiaccio? Vede qualcosa, Siss?
Infine tutta la classe si reca al castello,
nel periodo più pericoloso, quando la massa di ghiaccio è percorsa dai fremiti
della primavera che si avvicina. I giovani sono incoscienti, si sa…
Avvolto in un’atmosfera di silenzio in cui
le voci più forti sono quelle della natura, il romanzo di Vesaas è tante cose
insieme- mystery, storia dello sbocciare di un’amicizia, di solitudine
pre-adolescenziale, di diffidenza verso gli estranei, di un freddo interiore
che pare essere il riverbero di quello esterno e poi di uno sciogliersi di
tutti i grovigli e di tutte le sofferenze alla fine. Che cosa resta, di questa
terribile esperienza? Non tutto ha una spiegazione, lo scrittore stesso
preferisce lasciarlo nel mistero.
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