mercoledì 3 giugno 2020

Elizabeth Strout, “Olive, ancora lei” ed. 2020


                                     Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America


Elizabeth Strout, “Olive, ancora lei”
Ed. Einaudi, trad. S. Basso, pagg. 272, Euro 18,52 (9,99 formato Kindle)

    Eh sì, sono passati dodici anni da quando abbiamo conosciuto Olive Kitteridge e, adesso, ancora lei. Ancora Olive e ancora Elizabeth Strout con la sua bravura impareggiabile nello scrivere un romanzo così speciale, costruito non su un solo personaggio- almeno in apparenza, perché poi è solo lei, Olive Kitteridge, che domina la scena- ma sugli abitanti di un intero paese, Crosby, nel Maine, dove abita anche Olive. Tredici capitoli che sono tredici tessere di una storia corale che ruota intorno ad Olive senza che quasi ce ne accorgiamo, e soprattutto senza darci un’impressione di frammentarietà. E questo è veramente straordinario, ci pare quanto mai giusto non concentrarsi su una sola persona- “nessun uomo è un’isola”, scriveva John Donne.
     Non incontriamo subito Olive. Nel primo capitolo, o meglio, nella prima storia, la vediamo attraverso gli occhi di Jack Kennison, il professore universitario che diventerà il secondo marito di Olive. Lui la descrive con parole non proprio lusinghiere, “alta, grossa, Dio che donna strana”, e però “aveva una sincerità, aveva qualcosa di speciale”, prima di ricordare la volta che le aveva dato un bacio, “baciare Olive era un po’ come baciare una balena incrostata di cirripedi”- non male da parte di uno che era stato allontanato da Harvard perché accusato di molestie sessuali.
dal film
Nella seconda storia Olive, pratica e razionale, si trova ad aiutare una ragazza a far nascere il suo bambino. Si introduce così uno dei temi principali del libro, quello dei figli e del rapporto con i figli. “I figli. Tuo figlio. Mia figlia. Non gli piacciamo, Olive”, le dice Jack. “I figli, c’era qualcosa che non andava con i figli”, riflette il protagonista di un’altra storia. Nessuno dei personaggi ha un buon rapporto con i figli, e nessuno dei figli di queste storie ha avuto un rapporto sereno con i genitori. C’è affetto tra gli uni e gli altri, ma c’è distacco- i genitori non fanno parte della vita dei figli e quasi tutti i figli hanno scelto di andare ad abitare lontano: ci sarà pure un motivo, no? Così i ragazzi Burgess con i loro sensi di colpa (come Olive, sono anche loro vecchie conoscenze, erano i protagonisti del bellissimo “I ragazzi Burgess”), così Amy, la figlia che Isabelle ha avuto quando era giovanissima (e che piacere ritrovare anche loro due, di cui avevamo letto in “Amy e Isabelle”, uno dei primi romanzi di Elizabeth Strout), così la figlia di Jack Kennison che lui disapprova perché lesbica, così la figlia dei McPherson che sconvolge i genitori quando dice loro che fa ‘la dominatrice’ in documentari sessuali.
Il figlio di Olive vive a New York e, quando viene a trovare la madre insieme a moglie e bambini, è nell’incapacità di Olive di organizzare un’accoglienza adeguata, di comprare latte e cereali, di scambiare due parole con i nipotini, che si acuisce il senso di estraneità che la porta a pensare di aver sbagliato qualcosa o tutto, di aver fallito , di “aver vissuto l’intera vita come una cieca”.
     Dal tema dei figli, che sono il nucleo centrale della nostra vita, a quello della vecchiaia che incalza, delle malattie che ci mettono faccia a faccia con la morte, del residence che sarà la nostra ultima casa quando non sarà più sicuro per noi abitare da soli.  È nel residence in cui si è già recata per far visita ad una amica, che Olive andrà a stare dopo aver avuto un infarto, sempre battagliera ma impaurita dai pericoli in agguato nella solitudine- la tappa finale che non è necessariamente tinteggiata di scuro. Perché ‘quella vecchia ciabatta’ della nostra Olive, sempre scorbutica e troppo sincera, troverà un’amica con cui poter condividere le umilianti situazioni in cui la pone il decadimento fisico che non perdona. 

      C’è qualcosa che fa parte dell’esistenza di ognuno di noi, nelle storie degli abitanti di Crosby. Perché, con profondità e leggerezza, con ironia e umorismo, tutti i sentimenti, le paure, le fasi della nostra vita scorrono in queste pagine. E ci accomiatiamo da Olive ripetendo a noi stessi le parole della conclusione a cui lei è arrivata- “Non ho la minima idea di chi sono stata. Dico sul serio, non ci capisco niente.” Non aveva forse detto Pompeo ai suoi marinai, Navigare necesse est, vivere non necesse? Quello che importa- è la lezione di Olive- è ‘vivere’ nel senso di conoscere, di fare esperienze, di darsi, di ricevere. Il resto è silenzio.
     Bellissimo.
  
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la recensione sarà pubblicata su www. stradanove.it



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