venerdì 21 settembre 2018

Simon Sebag Montefiore, “Cieli di fuoco" ed. 2018


                            Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
  seconda guerra mondiale



Simon Sebag Montefiore, “Cieli di fuoco”
Ed. Corbaccio, pagg. 383, Euro 17,00

     Dopo “Sašenka” e “L’amore ai tempi della neve”, ecco “Cieli di fuoco” a concludere la trilogia di Mosca di Simon Sebag Montefiore. Una trilogia che è un affresco dell’Unione Sovietica dagli albori alla fine della seconda guerra mondiale e di cui ogni libro può essere letto separatamente- solo l’allusione ad alcuni personaggi di cui abbiamo già letto è il tenue legame dell’uno con l’altro.
       Nel 1942 rosseggia di incendi il cielo sopra l’Unione Sovietica, l’aria riecheggia di spari ed esplosioni mentre infuria la battaglia per Stalingrado. No, la città che porta il nome del Grande Padre non può cadere, deve essere difesa fino all’ultimo uomo, non deve finire in mano ai tedeschi.
Benja Golden è il protagonista di “Cieli di fuoco”. Ebreo e scrittore, è finito nel temuto gulag della Kolyma per una delle troppo numerose condanne fasulle, impartite perché servano di lezione, per seminare il terrore. Se non ci fosse chi lo aiuta, Benja non sopravvivrebbe alla durezza del lavoro, alla fame, al gelo della Kolyma. Ed ora si presenta un’insperata via di uscita, una riduzione della pena. C’è bisogno di uomini per combattere, c’è bisogno di carne da cannone. Stalin ordina che venga formato un corpo di detenuti da mandare allo sbaraglio: se spargeranno sangue per la patria, avranno in cambio la libertà.

      “Cieli di fuoco” è un romanzo di guerra e di avventura che si svolge nel brevissimo arco di una settimana o poco più. Benja Golden e i suoi compagni si trovano presto intrappolati dietro le linee nemiche e succede di tutto. Cosacchi, partigiani, tedeschi, italiani, traditori, disertori e doppiogiochisti affollano la scena. Il mite Benja che era certo che non sarebbe mai stato capace di ammazzare nessuno, si accorge che non può fare niente di diverso dall’uccidere per non essere ucciso. Si accorge anche che il bene e il male possono coesistere nella stessa persona, che non ci si può fidare proprio di nessuno, che un uomo può avere due facce, come il dottore che gli ha salvato la vita più di una volta e che sembra spinto da puro amore e altruismo quando fa salire sul suo cavallo la bimba piangente scampata ad un massacro. E, se è impossibile fare giustizia ai morti negli stermini di massa (Simon Montefiore non li descrive, ma sappiamo che di quelli si tratta, quando udiamo le scariche ripetute e ravvicinate, quando vediamo la terra che sembra muoversi per il ribollire del gas dei cadaveri), è però possibile almeno vendicare la fine dell’innocenza. In un certo senso, allora, “Cieli di fuoco” diventa anche un romanzo di crescita personale, una brutale presa di conoscenza della realtà.

      Ci sono anche due storie d’amore nel romanzo- sono momenti per dimenticare il fuoco della guerra. E sono entrambe storie destinate a finire male (o quasi). La sedicenne figlia di Stalin si innamora di uno scrittore sposato e molto più vecchio di lei. Possiamo indovinare quale sia la reazione di suo padre e che fine faccia l’uomo che ha osato tanto. E Benja Golden, che aveva amato e perso Sašenka, ha una brevissima storia con un’infermiera italiana che lo cura quando lui è gravemente ferito e lo aiuta a fuggire (le scene di sesso in condizioni di estremo pericolo mi sono parse piuttosto improbabili, a dire il vero).
      Si legge bene, “Cieli di fuoco”, anche se è meno coinvolgente, meno appassionante dei due romanzi precedenti.

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