martedì 18 settembre 2018

Maja Lunde, “La storia dell’acqua” ed. 2018


                                                            vento del Nord
                                                               distopia


Maja Lunde, “La storia dell’acqua”
Ed. Marsilio, trad. Giovanna Paterniti, pagg. 341, Euro 18,00


    2017. Ringfjorden. Norvegia. “Eccomi di nuovo qui”: Signe, quasi settant’anni, è tornata a bordo della Blå, l’imbarcazione che porta il nome del Blåfonna, il Ghiacciaio blu “che un tempo era nostro”. Le navi da crociera scivolano dentro il fiordo, i turisti ammirano la natura selvaggia e nessuno sa quanto tutto sia cambiato. Nessuno sa che una volta lì c’erano le Cascate Sorelle, c’erano le malghe del padre di Magnus, il ragazzo che Signe amava. Non è rimasto nessun segno del fiume che scorreva lì un tempo. E’ solo Signe che non si rassegna, che non ha dimenticato, che vuole compiere un’ultima azione di protesta contro i furti a danno del ghiacciaio.
     2041. Nei pressi di Bordeaux, Francia. David, venticinquenne, è in fuga. Porta per mano la piccola Lou. Scappano dal fuoco, dalla siccità, dalla fame: nel Sud della Francia non piove da cinque anni, la terra è spaccata dalla sete, non cresce più niente, le scorte sono esaurite. Ad un certo punto, girandosi indietro, David non ha più visto la moglie che lo seguiva con il bimbo di un anno in braccio. David vuole credere che lei lo raggiungerà nel campo di raccolta che avrebbero dovuto raggiungere insieme, là dove fa tappa la marea di migranti diretti a Nord, dove piove ancora.

     “La storia dell’acqua”è il secondo romanzo della tetralogia di Maja Lunde iniziata con “La storia delle api”, ogni libro un capitolo nero su dove la dissennatezza umana ci sta conducendo, un allarmante futuro per le prossime generazioni.
      La narrativa del presente affonda nel passato di Signe, ragazzina innamorata dell’aspro paesaggio della Norvegia, solidale con il padre che si batte per la difesa del fiume senza curarsi delle accuse di cecità di chi vede l’immediato vantaggio economico nella costruzione di dighe e condotte. E’ un futuro di solitudine, quello che attende Signe che adesso, però, nel 2017, salpa dalla Norvegia con un singolare carico a bordo. Meta: la Francia, dove ora vive Magnus che l’ha ‘tradita’, passando dalla parte del progresso che implica la scomparsa delle spettacolari Cascate Sorelle. Né Magnus né Signe possono immaginare che le casse provenienti dai ghiacciai norvegesi trasportate dalla Blå saranno un vero e proprio tesoro per chi le ritroverà. Significheranno la vita, come aveva ostinatamente ripetuto Signe.
     Il filone del 2041 ci dà un senso di angoscia perché ne avvertiamo la minaccia come terribilmente reale. La storia di David e della sua bambina è ricca di dettagli. David lavorava in un impianto di dissalazione, avrebbe dovuto decidere prima di lasciare la cittadina in cui viveva con moglie e bambini. Come tantissimi altri. E’ giovane, non è molto bravo a fare il padre. E’ bravo a giocare, questo sì, e, dopo che lui e Lou trovano una barca (come ha fatto ad arrivare lì, dove tutto è secco? David non può avere memoria del canale navigabile che portava fino al mare), il gioco di partire e sfidare le onde diventa il preferito della bambina.

      Non ci può essere una fine in un romanzo come “La storia dell’acqua”. L’allarme è stato lanciato, così come ne “La storia delle api”. A noi lettori batterci come Signe per un futuro diverso da quello di David che deve sperare che riprenderà a piovere: potrebbe dire qualcosa di diverso alla sua bambina? Potrebbe aiutarla altrimenti che non giocando a sentire il rumore della pioggerellina lieve, a vedere la nebbiolina delle gocce?
      Le vicende di David e di Lou ci appassionano di più di quelle di Signe che sono un poco appesantite dall’intento di rendere chiaro il tema del romanzo. E tuttavia è un romanzo che ci tocca nel profondo perché, anche se vorremmo accantonarlo, il problema di quello che ci aspetta, di come il clima stia cambiando (e sappiamo perché), è sotto gli occhi di tutti. Non è sufficiente dire ‘una volta non era così’. Come dice David con voce sognante, “E’ così che era l’aria di casa nostra.” Non ci si può accontentare di ‘un meglio’ nel tempo passato.

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