martedì 11 agosto 2015

Vanessa Lafaye, “Tempo d’estate” ed. 2015

                                           Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
                                                                     FRESCO DI LETTURA


Vanessa Lafaye, “Tempo d’estate”
Ed. Neri Pozza, trad. Chiara Brovelli, pagg. 346, Euro 18,00



     E’ il 1932. La prima guerra mondiale è finita da quattordici anni. Ai veterani di guerra americani è successo quello che ormai sappiamo succede a tutti i soldati che ritornano- si torna mai da una guerra, in realtà?- a casa. Nessuno vuole sapere nulla, men che mai degli orrori che hanno visto, di quello che sono stati costretti a fare, dei morti che popolano i loro incubi. Il Governo non ha mantenuto le promesse, non li ha aiutati a riinserirsi nella società, non ha fornito un supporto medico a coloro che hanno subito traumi, non ha dato il bonus che si aspettavano. La marcia di protesta dei veterani su Washington è stata stroncata. E tuttavia è stato offerto loro un palliativo: andare a lavorare alla costruzione di un ponte a Heron Key, una delle isole della Florida. Le condizioni di vita sono pessime, ma è pur sempre un lavoro. I duecento veterani vivono in baracche di fortuna, in un campo con latrine puzzolenti e un rancio disgustoso. Ogni sera si ubriacano, la gente del posto li teme quando sono pieni di birra. Accadrà qualcosa, prima o poi.

     I presagi di sventura si accumulano fin dalle prime pagine del romanzo “Tempo d’estate” di Vanessa Lafaye. Il caldo e l’afa sono insopportabili, quel 4 di luglio 1932 mentre fervono i preparativi per il barbecue sulla spiaggia per festeggiare il giorno dell’Indipendenza. C’è tensione nell’aria ( e non solo atmosferica), si avverte un attrito celato tra i bianchi e i neri che vivono a Heron Key, si percepiscono tensioni di coppia, e poi c’è la minaccia dei veterani del campo, un serbatoio di violenza. Mentre Missy, la bambinaia di colore dei Kincaid, entra un attimo in casa per rinfrescarsi, un grosso alligatore afferra tra i denti il cesto con il piccolo Nathan e si dirige verso la palude. E’ l’amica Selma a salvare il bambino sparando all’alligatore prima che raggiunga le mangrovie. Una scena di sangue- la prima- in cui ‘il criminale’ è un animale. Ci saranno altre scene di violenza e di sangue in cui si tenta di attribuire la colpa a quelli che sono considerati poco più di animali negli Stati Uniti in cui vige ancora la legge di Jim Crow e un nero può essere linciato o trucidato se solo osa posare gli occhi su una donna bianca o avere comunque un comportamento giudicato irrispettoso nei confronti di un bianco.
Quando Hilda Kincaid viene trovata priva di sensi e con il volto maciullato, è facile accusare Henry Roberts, il veterano di colore che, per la felicità di Missy, è tornato a Heron Key dopo diciotto anni di assenza. Hilda non lo aveva forse invitato a ballare oltrepassando la linea di divisione tra la spiaggia per i bianchi e quella per i neri? Lei si era ubriacata per dimenticare il marito che la tradiva spudoratamente, ma Henry si era cortesemente tirato indietro. Eppure è un capro espiatorio che serve pure a soddisfare il desiderio di vendetta del capo di polizia in cerca di chi possa essere il padre del figlio mulatto di sua moglie.
    E poi arriva l’uragano, inatteso, selvaggio, distruttore alla massima potenza. Un’esplosione che raccoglie in sé tutte le tensioni e che, invece di livellare le disuguaglianze, le acuisce culminando con la drammatica scena in cui ai neri viene rifiutato il riparo nel rifugio stracolmo di bianchi. Lascia dietro di sé morte e distruzione. Due anni dopo i superstiti accumulano i brandelli dei ricordi ai piedi del memoriale su cui sono scolpite due palme piegate dalla furia del vento.


     E’ un bel primo romanzo, quello di Vanessa Lafaye, un romanzo che si legge d’un fiato. Bello per i personaggi e per l’ambientazione, perché riesce a comporre in un unico quadro avversità e tumulti diversi- contrasti razziali, sociali e personali- sullo sfondo di un evento naturale grandiosamente drammatico (la scrittrice ci avverte che il vero uragano spazzò le Keys il Labor Day del 1932, ma è chiaro il valore simbolico della scelta del giorno dell’Indipendenza). 


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