Voci da mondi diversi. Germania
Storia di famiglia
Fatma Aydemir, “Tutti i nostri segreti”
Ed.
Fazi, trad. T. Ciuffoletti, pagg. 300, Euro 17,57
Padre, madre, quattro figli. Hüseyn,
Emine, Sevda, Hakan, Peri e Ümit. Sono turchi, emigrati in Germania. Il primo
ad arrivare era stato il padre, Hüseyn. Più tardi era andato a prendere la
moglie e gli altri figli, lasciando però la primogenita Sevda in Turchia con i
nonni. Sevda aveva già dodici anni quando aveva finalmente raggiunto la
famiglia.
Dopo tutta una vita di duro lavoro, prima in una fonderia e poi in uno scatolificio, Hüseyn era andato in pensione realizzando il sogno di una vita- ritornare in Turchia, comprare un appartamento a Istanbul, la sua prima tappa nel viaggio di tanti anni prima, dal paesino in montagna verso la Germania. La città lo aveva incantato ed ora si aggirava nella casa che aveva preparato con cura, pensando allo stupore della moglie e dei figli, quando lo aveva colto un dolore improvviso, fulminante. Un infarto.
Dopo questa prima parte in cui Hüseyn è l’unico protagonista, seguono altre cinque parti o lunghi capitoli in cui sono prima i figli, uno per volta, ad essere i personaggi principali, il punto di vista dell’intera storia di questa famiglia, e infine la madre. Se Hüseyn non aveva dubbi sulla sua appartenenza, era turco e si sentiva tale- davvero turco, poi? Ma che lingua era quella in cui a volte i figli lo sentivano parlare con la loro madre?- per i suoi figli era diverso. Tutti loro vivono in bilico tra il paese da cui provengono e quello in cui vivono, tra le usanze che si perpetuano nella loro casa e la nuova realtà che li circonda, tra una lingua in cui fanno fatica ad esprimersi e il tedesco che hanno studiato e che è anche la lingua dei loro amici.
Quanto ad Emine- è lei quella che ha sofferto di più nell’essere trapiantata in un paese straniero. Perché lei vive in casa, non imparerà mai il tedesco al di là di qualche espressione per la sopravvivenza, il paese straniero le sarà sempre estraneo, anche il marito finirà per essere un estraneo per lei. Ma il capitolo di Emine è l’ultimo che leggiamo, è quello che scioglie tutti i nodi, che rivela un segreto con cui ha convissuto fin dai primi anni del suo matrimonio, che dà stura a un dolore così grande che non le ha permesso di godere appieno dell’amore dei suoi figli e che adesso la lascia con un altro dolore- quello di capire che è troppo tardi per rimediare.
È giusto che il primo a salire alla
ribalta, dopo Hüseyn, sia il quindicenne Ümit. È il più giovane, è nel pieno
dei turbamenti dell’adolescenza e si sente attratto verso i ragazzi- che cosa
ci potrebbe essere di più sconvolgente per una famiglia turca tradizionale? Neppure
la rottura del matrimonio di Sevda (quanto ha sofferto nel sentirsi incompresa
quando la madre l’ha rimandata dal marito), neppure il ruolo di donna
indipendente che Sevda assume, gestendo una pizzeria, neppure la vita
trasgressiva di Peri che frequenta l’università a Francoforte, neppure i giorni
sfaccendati del primogenito Hakan, quello che dovrebbe ereditare la
responsabilità della famiglia.
Quando,
nel capitolo conclusivo, affiora un altro nome, noi ricordiamo che è quello che
Hüseyn ha pronunciato prima di morire, che è lo stesso menzionato da Peri nel
suo racconto- e tutte le fila si riallacciano.
La narrativa del romanzo di Fatma Aydemir è
vivace, ironica, a tratti drammatica con quell’accenno ai curdi, e, per
accentuare la diversità dei punti di vista, alterna il racconto in terza
persona a quello in seconda persona per consegnarci una storia di emigrazione,
di spaesamento, di nostalgia, di identità incerta, di un vecchio mondo che
stenta a lasciare il passo ad un mondo nuovo.
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