Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
cento sfumature di giallo
thriller politico
Graham Greene, “L’americano tranquillo”
Ed.
Sellerio, trad. Alessandro Carrera, pagg. 356, Euro 16,00
Uno dei più bei libri di Graham Greene, uno
dei miei preferiti di sempre- il solo fatto che sia ancora attuale, che si
legga ancora con piacere, interesse ed entusiasmo, a settant’anni di distanza,
dice già tutto (era il 1963 quando lo lessi per la prima volta e vedere la data
che ho scritto in prima pagina mi dà, come sempre, una leggera vertigine).
Saigon che era ancora Saigon e non Ho-Chi-Min City, agli inizi degli anni ‘50, durante la prima guerra dell’Indocina. Un narratore cinico di mezza età, l’inglese Fowler. Un americano trentenne appena arrivato per una non ben definita missione economica, Pyle. Una giovane e bellissima ragazza vietnamita, Phuong. Questo sarà il triangolo amoroso che offre una delle chiavi di lettura, l’altra è quella che segue una trama da thriller politico. Il quesito è: perché muore Pyle? Chi ha voluto la morte dell’americano tranquillo?
È questo aggettivo, ‘quiet’, che definisce Pyle da subito e che viene ripetuto più di una volta quando si parla di lui, e c’è un leggero disprezzo in quell’aggettivo, un’ironia che si rivelerà appieno più avanti. Fowler e Pyle sono agli antipodi. Non è solo l’età che li differenzia, è il modo di guardare il mondo, di interpretare la realtà- e forse l’età gioca la sua parte-, è l’esperienza contro una conoscenza acquisita sui libri, il cinismo di chi ha visto tanto e l’ingenuità e l’innocenza di chi ha ancora degli ideali che sono illusioni. ‘L’americano tranquillo’ non è poi tanto tranquillo. È arrivato con l’idea di salvare il Vietnam dal comunismo, con l’intento di portare la democrazia con l’ausilio di una Terza Forza (il ritratto dell’americano è spietato e, leggendo il libro oggi, dopo la tragedia protratta della guerra degli anni ‘70, sembra quasi una profezia), poco importa se questo significa causare danni collaterali. Nella scena centrale del libro, quella che segna una svolta, davanti alla carneficina della bomba fatta esplodere al mercato, gli occhi di Fowler sono sulla madre che siede per terra con il bambino morto in braccio. Pyle è indifferente, sì, gli spiace, ci sarebbe dovuta essere una manifestazione, lui aveva avvisato Phuong di non andare al mercato a quell’ora, come era solita fare. “Prima o poi bisogna scegliere da che parte stare. Se si vuole restare esseri umani”, è la frase che spinge Fowler a prendere una decisione.
Greene gioca con il tempo in questo romanzo, così come gioca sull’affidabilità del narratore. Sappiamo dal primo capitolo che Pyle è morto e lo sappiamo dalla polizia che viene ad interrogare Fowler sui suoi spostamenti la sera precedente. Lo sospettavamo quando, al rientro a casa, Fowler aveva incontrato Phuong sulla porta- aspettava Pyle, come mai non era tornato? Era da un mese che Phuong viveva con Pyle- enigmatica come sono tutti gli orientali, Phuong aveva seguito il miglior offerente. L’americano tranquillo si era innamorato di lei a prima vista, voleva sposarla e portarla in America, avrebbe visto la Statua della Libertà, i grattacieli. Fowler aveva una moglie in Inghilterra che non voleva concedergli il divorzio. Ed era stato richiamato a Londra dal giornale di cui era inviato.
Il tempo si riavvolge indietro, all’arrivo
di Pyle, al suo primo ballo con Phuong, lui goffo e lei leggiadra, alla
scoperta di quella strana polvere bianca che sembra latte in polvere, all’attacco dei Vietminh e ai cadaveri che
scendono lungo il fiume a Phat Diem, all’irritante ingenuità di Pyle e alle
biciclette che esplodono dentro la fontana.
L’amore
confonde le carte. Non lo sa Fowler, non lo sappiamo noi- qual è il vero motivo
dietro la morte di Pyle? Altruismo? Egoismo?
Era ovvio che questo romanzo non poteva
piacere agli americani- Graham Greene fu dichiarato ‘persona non grata’ dal
governo americano.
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