Voci da mondi diversi. Cina
Storia di famiglia
Eve J. Chung, “Le figlie di Shandong”
Ed.
Corbaccio, trad. M. Elisabetta De Medio, pagg. 396, Euro 18,62
1948. Cina. Dopo anni di lunga guerra
civile tra nazionalisti e comunisti, nel 1946 la Cina continentale è passata
sotto il controllo del partito comunista e Chiang-Kai-shek, con tutti i membri
del Kuomintang, si è rifugiato nell’isola di Taiwan.
Nello Shandong, una zona rurale nella Cina
orientale, la ricca famiglia Ang non sembra essere consapevole del pericolo che
incombe. L’unico problema sembra essere quello dell’assenza di un erede maschio
perché la moglie del figlio primogenito continua a mettere al mondo figlie
femmine, suscitando l’ira della tremenda Nai-Nai, la suocera che continua a
ripetere che le bambine sono un peso, sono bocche da sfamare, non servono a
niente perché solo un figlio maschio può rendere onore agli antenati.
Quando la protesta dei contadini minaccia la famiglia, la mamma e le tre bambine vengono abbandonate mentre il loro stesso marito e padre fugge con i genitori a Qingdao, la città costiera dove il Kuomingtang ha permesso l’ancoraggio della flotta americana. Il pretesto per l’abbandono è patetico nella sua aperta menzogna: custodiranno la casa, intanto di certo i comunisti non infieriranno su una donna e delle bambine.
Non è vero. L’esperienza di Hai, la bambina
più grande, considerata responsabile per il comportamento da ‘padrone’ del
padre e del nonno e torturata, la segnerà per tutta la vita. Se mamma e figlie
si salvano, se vengono nascoste da un contadino e poi aiutate a fuggire, è grazie
al benvolere di cui ha saputo circondarsi la madre, sempre generosa nei
confronti dei lavoranti.
La voce narrante è quella di Hai, dapprima
ragazzina giudiziosa che è un sostegno per la mamma, poi fanciulla che ha
l’ambizione di studiare per uscire dal condizionamento femminile e non avere
una vita come quella della madre, poi giovane sposa con un marito ben diverso
dal padre-padrone e infine madre a sua volta. Di una bambina. Lei, però, non è
sua madre che ha finalmente dato alla luce un maschietto, dopo il
ricongiungimento con il marito a Taipei e dopo aver messo al mondo un’altra figlia
femmina. Per questo tanto atteso erede la madre sottrae il latte che dovrebbe
essere per la bambina nata solo un anno prima, dandole da bere acqua di riso e
facendo infuriare Hai. No, Hai non è come sua madre. Sua figlia studierà, sarà
indipendente, spezzerà la catena della supremazia maschile in famiglia, non si
dovrà mai inginocchiare davanti ad una suocera.
Il racconto di Hai segue la strada della fuga
verso Qingdao, a piedi, affrontando i pericoli degli incontri con i comunisti a
cui presentano dei lasciapassare falsificati, la fame, le intemperie. Per poi
scoprire che, ancora una volta, la famiglia Ang ha lasciato Qingdao senza
curarsi di loro- ormai sono a Taipei e madre e figlie finiranno in un campo per
rifugiati dove le condizione di vita sono proibitive.Qingdao
Quella de “Le figlie di Shandong” è una storia privata sullo sfondo di
un’epoca di transizione in Cina. I grandi avvenimenti, il sorgere della stella
di Mao e le rivendicazioni comuniste sono visti attraverso le sofferenze patite
dal piccolo nucleo famigliare. Sono sofferenze imputabili, però, più ancora che
a quello che sta accadendo in Cina, al comportamento dei famigliari e alla
concezione tradizionale della donna come importante solo in quanto procreatrice
di figli maschi. Solo lo zio delle ragazze, un ufficiale dell’esercito nazionalista,
si salva tra le figure maschili. È lui che rintraccia la cognata e le nipoti
nel campo profughi, è lui che gli procura i biglietti e il lasciapassare per
raggiungerli nell’isola di Taiwan, è lui che si mostra compassionevole verso di
loro, vedendo le condizioni fisiche in cui si trovano.
Se la narrazione scorre un poco piatta e
monotona, piace, però, il quadro al femminile di quei tempi- il ruolo ben
delineato della primogenita e della secondogenita, lo stretto legame tra madre
e figlie e lo sminuimento della figura paterna.
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