venerdì 5 maggio 2023

Rosa Liksom, “Al di là del fiume” ed. 2023

                                                     vento del Nord

      seconda guerra mondiale

Rosa Liksom, “Al di là del fiume”

Ed. Iperborea, trad. Delfina Sessa, pagg. 273, Euro 18,00

   Colonne di profughi in marcia. Quante ne abbiamo viste, negli anni, quante continuiamo a vederne, composte per lo più da vecchi, donne e bambini, carichi di fagotti, con vesti malconce e facce di una tristezza indicibile.

È il settembre del 1944, nel libro di Rosa Liksom, la scrittrice nata in un villaggio della Lapponia in una famiglia di allevatori di renne di cui abbiamo già letto “Scompartimento n.6” e “La moglie del colonnello”. È stata ordinata una grande evacuazione in tutta la regione al confine tra Finlandia e Svezia, già occupata dai nazisti ed ora prossima ad essere invasa dai russi. I profughi devono passare il fiume che è al confine- di là c’è un mitico Occidente, terra dell’abbondanza, della ricchezza e della pace.

  La ragazzina che è l’io narrante ha tredici anni e si mette in marcia con l’amica Katri, un’altra ragazza ed un bambino di una fattoria vicina. Soprattutto inizia questa fuga con la sua mandria di mucche- è importantissimo mettere in salvo anche loro. Non solo perché sono la loro ricchezza, ma anche perché per lei sono proprio come ‘persone’, ognuna ha un nome, ognuna ha il suo carattere. Questo è quello che ci colpisce subito, quando iniziamo a leggere. Sì, la ragazzina parla anche del padre che è al fronte, della madre, che è incinta ed è fragile mentalmente, dello Zio che le ha insegnato tante cose e che scorterà la mamma al di là del fiume, ma chi le sta a cuore sono principalmente le mucche.


E noi, che già fatichiamo a distinguere se i nomi delle persone si riferiscano ad un uomo o a una donna, impieghiamo un po’ di tempo per capire che la Ilona che le sorride non è una sua amica, o meglio, è una sua amica ma è una mucca. Lei parla con loro e sembra che loro la capiscano quando la guardano con i grandi occhi mansueti. In una scena straziante in cui muore un vitellino e la mucca-madre cerca di uccidersi lanciandosi contro il filo spinato, dimentichiamo anche noi che questi sono animali e ci commuove la sensibilità con cui la protagonista trova parole di consolazione per la mucca.

    Faticano le bestie ad andare avanti, perché non sono abituate a camminare su terreno duro, faticano le persone, dovranno affrontare la fame, la sete, il freddo, le umiliazioni una volta che arrivano nei campi profughi degli svedesi dove devono sottoporsi a disinfestazioni ed esami medici con esplorazioni del loro corpo per accertare che non introducano malattie nel paese che li ospita. E nel frattempo lei ha perso le tracce della mamma e dello zio e cerca di rintracciarli. I ruoli si sono invertiti, la ragazzina che diventa adulta in questa fuga diventa anche la madre di sua madre e poi la madre del fratellino che intanto è nato ed è chiaro che il suo destino è segnato.


   L’andamento della narrazione è lento come il passo di questa evacuazione, ripetitivo come i giorni tutti uguali di un tempo senza tempo in attesa di giorni migliori e della fine della guerra e del ritorno a casa. Casa: troveranno le loro case, quando potranno tornarci? Eppure quello che rifulge è lo spirito combattivo della protagonista, il suo cuore grande che gioisce delle meraviglie della natura, che si illumina riflettendo la luce delle stelle di cui lo zio le ha insegnato il nome, che ha fame di apprendere ed è felice di frequentare le lezioni nell’improvvisata scuola del campo, che ha per amici persone, animali, fiori. Solo così si può sopravvivere al Male del mondo.

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