venerdì 4 dicembre 2020

Ta Nehisi Coates, “Il danzatore dell’acqua” ed. 2020

                                    Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America

 romanzo storico

Ta Nehisi Coates, “Il danzatore dell’acqua”

Ed. Einaudi, trad. N. Gobetti, pagg. 400, Euro 21,00

    Metà dell’ottocento. Lockless, una piantagione di tabacco in Virginia, negli ultimi giorni dolenti della vecchia e desolata Virginia. L’ironia di un nome, Senza Lucchetto, per una piantagione in cui gli schiavi che vi lavorano, se si azzardano a fuggire, vengono braccati dai Segugi di Rydley e, una volta catturati (perché la cattura è certa), sono sottoposti a punizioni atroci che facciano passare loro la voglia di provare di nuovo a scappare. Eppure loro ci riprovano. Tutto pur di non essere spediti a Natchez, un nome ricorrente, ammantato di orrore, un’anticamera dell’Inferno. A Natchez c’è il mercato degli schiavi, a Natchez si consuma il crimine più grande di questi padroni di merce umana- vendere uomini e donne e bambini sottoponendoli ad umilianti valutazioni fisiche, tagliando con incuranza legami famigliari.


    Gli occhi verdi di Hiram Walker, il protagonista del romanzo di Ta Nehisi Coates, sono rivelatori: è figlio del padrone della piantagione e di una schiava che è stata venduta quando Hiram era un bambino. Hiram ha una memoria eccezionale, eppure non ha alcun ricordo di sua madre. Non sa se l’immagine fuggevole che ha, di lei che danza con una brocca ricolma d’acqua in equilibrio sulla testa, sia vera o sia ricostruita su quello che gli hanno detto. E Hiram ha un fratello, figlio dello stesso padre e della moglie di questi. La differenza- a vantaggio di Hiram- non potrebbe essere più grande, ne è consapevole anche il padre che affida a Hiram la cura del fratello. Che è bianco. Che per quanto stupido erediterà la piantagione.

   I bianchi sono la Qualità, i neri sono il Servizio in questo romanzo che si basa su storie vere, che infila, tra tanti personaggi di invenzione, quello reale dell’abolizionista Harriet Tubman (conosciuta come Mosé), e che, tuttavia, ha un forte filone di ‘realismo magico’. I neri non devono essere visti nelle vicinanze della magione, scendono sottoterra nella Garenna (una conigliera. E nella parola si riflette tutto il disprezzo per loro), c’è una galleria che li porta nella casa del padrone ed una parete scorrevole che li catapulta nel mondo dei bianchi. Ta Nehisi Coates non indugia nelle descrizioni delle crudeltà inflitte ai neri, Hiram sembra trovare delle scappatoie nella sua mente quando la realtà è troppo dura.

 Soprattutto Hiram ha un altro dono, oltre alla straordinaria memoria. È il dono della Conduzione- lo aveva sua nonna che era fuggita con una quarantina di altri schiavi, lo ha Harriet alias Mosé. Quando si creano delle condizioni particolari, la vicinanza dell’acqua, un oggetto speciale, una forte emozione, chi ha il dono della Conduzione riesce a trasportarsi in un altro luogo. Hiram deve solo imparare ad usare questo dono- è prezioso per la sua collaborazione alla Sotterranea, l’associazione di neri e di qualche bianco illuminato che impiega ogni mezzo e risorsa per trafugare gli schiavi al Nord (dove se non a Filadelfia, città il cui nome significa ‘città dell’amore fraterno’?) o per comprare la loro libertà.

    Avevamo già letto storie come questa  ne “La ferrovia sotterranea” di Colson Whitehead. È diverso l’approccio, è come se i due romanzi si integrassero l’uno con l’altro. La parte iniziale de “Il danzatore dell’acqua” è la migliore, quella in cui la traccia dell’immaginario si fonde meglio con la realtà e le metafore. La parte centrale è forse troppo fitta di avvenimenti che sono meno cruciali anche se hanno la loro importanza come tappe nella crescita della consapevolezza del protagonista che culmina poi nella fase finale, nella pienezza del valore del ricordo del passato- Dimenticare significa diventare davvero schiavi. Dimenticare significa morire. Un monito per TUTTI.

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