mercoledì 28 ottobre 2020

Stella Prudont, “Dedejme” ed. 2020

                                                                  Voci da mondi diversi. Russia


Stella Prudont, “Dedejme”

Ed. Brioschi, trad. Elisabetta Spediacci, pagg. 184, Euro 16,00

      “Perché ci chiamano ‘ebrei delle montagne’?”, chiede un personaggio all’inizio di “Dedejme”. “Esistono anche gli ebrei dei boschi e del deserto?”. “Tanto tempo fa gli ebrei furono costretti a fuggire da Israele”, incomincia così la spiegazione che prosegue raccontando come alcuni di quegli ebrei andarono ad ovest e parlano yiddish e altri andarono ad est, in Iran. Poi, 1500 anni fa, gli ebrei iraniani furono fatti schiavi e mandati nel Caucaso orientale a costruire una fortezza. “Dato che li trattavano malissimo, molti scapparono e si nascosero in cima ai monti.”

     È un libretto singolare, questo “Dedejme” di Stella Prudont, nata a Stavropol, in Russia. Succede poco o niente, in “Dedejme”- è uno spaccato di una famiglia di “ebrei delle montagne”. Pochissimi sono i riferimenti esterni- sappiamo che corre l’anno 1993 perché si dice che Eltsin è al potere da due anni, che da quando c’è “quell’ubriacone” non si è visto nulla di buono, che Dovid, figlio maggiore della famiglia, è un imprenditore a Mosca e che è molto ricco. Tanti, invece, sono i racconti di quello che avviene o è avvenuto tra le mura domestiche dove è la donna a regnare sovrana, la mamma, “dedejme per l’appunto. Il secondogenito Boris dice che perfino a scuola insegnano che la cosa più importante è la madre, che la madre viene subito dopo Dio. “Se il paradiso esiste, dedejme, giace ai tuoi piedi.”

    Channa è il nome della madre- i figli arrivano a litigare contendendosi il privilegio di chiamare con il suo nome una loro figlia. Quando era morta sua madre, Channa era distrutta dal dolore e quando, il giorno dopo, era nata la prima figlia di suo figlio Dovid, Channa l’aveva reclamata per allevarla lei. Si sarebbe chiamata Šeker, come sua madre, ne avrebbe preso il posto. Gli ordini di una madre non si discutono, la bimba era stata consegnata a Channa, la vera madre non aveva avuto voce in capitolo.

    Adesso- si festeggia il compleanno del capofamiglia- Šeker è un’adolescente infelice. Aspetta l’arrivo del suo vero padre con il batticuore con cui si aspetterebbe un innamorato, non ha il coraggio di chiedere se la sua vera madre verrà, per timore di una delusione, e allora chiede se verrà la tanto invidiata sorellina- è impossibile che la bimba venga da sola, se c’è lei, ci sarà di certo anche la mamma.

     I ruoli di mamma e nonna non sono ben definiti, così come non lo sono quelli di zia e nipote. La zia più giovane si è vista soppiantare dalla nipotina Šeker nell’affetto che sarebbe dovuto spettare a lei.


    Agli uomini si deve rispetto, i figli maschi sono privilegiati, ma il vero potere, in famiglia, è delle donne. Sono come le Parche dei miti antichi, reggono i fili del destino della famiglia. Sono le donne che tessono le trame dei matrimoni, che vagliano le fotografie degli aspiranti mariti o mogli, che conducono le trattative, che decidono quale sia il coniuge migliore per i figli. E a volte sbagliano. Ne è un esempio la vicenda della figlia minore di Channa- che clamoroso errore era stata la scelta del primo marito a cui ne era seguito un altro, dopo il divorzio dal primo. Una donna non può restare da sola, se, come Erke, è già stata sposata, si deve accontentare. E Channa, la terribile e volitiva Channa, così infelice nella sua vita matrimoniale da aver perso la voglia di vestirsi, decide lei anche della sorte della bambina della figlia Erke, mandata in un orfanotrofio in Russia e poi richiamata a casa dopo le seconde nozze della madre, povera bambina spaesata e bisognosa d’affetto.


     Sono lontane dal nostro mondo, le donne di “Dedejme”. Non una di loro è felice. Non sono felici come mogli e non lo sono neppure come madri. E viene spontaneo chiedersi a che cosa gli giovino le belle parole della canzone, “Oh mamma, amata mamma,/ sei la felicità, la gioia e la pace.” Sono solo parole e il loro destino è quello di subire.

    Una ricca postfazione di Valerij Dymsyc ci aiuta a saperne di più sugli “ebrei delle montagne” che furono per lo più risparmiati dalla furia nazista perché considerati di ‘etnia tata di fede giudaica”.

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