giovedì 15 ottobre 2020

INTERVISTA A QIU XIAOLONG, autore di "Processo a Shanghai" 2020

 

    Ci incontravamo ogni volta che veniva pubblicato un suo libro, Mr. Qiu Xiaolong ed io, quando veniva a Milano per la presentazione. È stato impossibile in questo annus horribilis, e sappiamo tutti il perché. Lo scrittore ha risposto alle mie domande per posta elettronica e lo ringrazio per la generosità con cui lo ha fatto, perché le domande erano davvero tante ed esigevano risposte approfondite.

Sono tanti anni che Lei è lontano dalla Cina- dai fatti di piazza Tienanmen, se non sbaglio, circa trent’anni fa. Quali sono i Suoi sentimenti nei confronti della Cina, adesso? Di che cosa sente di più la mancanza?

     È vero, è da tanto che sono lontano dalla Cina. Sono partito verso la fine del 1988 e nell’anno seguente, il 1989, ci fu il giro di vite di piazza Tienanmen che cambiò tante cose per me. Per evitare persecuzioni da parte delle autorità cinesi per il mio sostegno agli studenti di piazza Tienanmen, non avevo scelta che di restare negli Stati Uniti e poi di iniziare a scrivere in inglese, dato che, in quel momento, i miei libri in cinese erano vietati. Sono passati trent’anni. Dopo il 2000, grazie alle ricerche che dovevo fare per scrivere dell’ispettore Chen, sono tornato spesso in Cina.


E, proprio come accade all’ispettore Chen, sono cambiati i miei sentimenti nei confronti della Cina. Per esempio, ne “La misteriosa morte della compagna Guan”, il primo romanzo della serie, Chen- si era nei primi tempi della riforma sotto Deng- era idealista nonostante certe battute di arresto. Dopo, però, Chen è diventato sempre più pessimista mentre il governo del Partito Comunista Cinese rendeva via via più chiaro che, nonostante tutti i discorsi vuoti sulle riforme, il partito non si sarebbe mosso dalla posizione del voler mantenere immutato il governo autoritario del PCC- a qualunque costo. Così, negli ultimi libri della serie, Chen è del tutto disilluso riguardo al sistema del Partito, ma ha anche imparato che deve separare il PCC dal popolo cinese per cui vuole ancora fare del suo meglio come poliziotto. Penso che si possa dire la stessa cosa di me.


    Quanto a quello di cui sento più la mancanza, della Cina- purtroppo la Cina è cambiata così drasticamente che oggi non so neppure più che cosa mi sia tanto mancato della Cina in passato.

E quali sono i Suoi sentimenti verso il Suo paese d’adozione? Le piace lo stile di vita americano?

      Come tanti altri, ho sentimenti contrastanti verso molte cose del mio paese d’adozione. In quanto scrittore, di certo godo qui della libertà di scrivere di qualunque cosa io voglia, senza dovermi preoccupare della censura. Il modo di vivere americano è, forse, un’espressione troppo generica. Con un esempio specifico, posso dire che non mi piace affatto il fast food e tuttavia scopro che ci sto facendo sempre più l’abitudine.

Suppongo ci siano vantaggi e svantaggi nello scrivere del proprio paese da lontano. Non Le sembra mai di perdere il contatto con il Suo paese? D’altra parte Lei è più libero di scrivere dei problemi della Cina. Si sente sicuro quando ritorna in Cina? Se dovesse succedere qualcosa- spero veramente che non succeda mai niente- non credo che il Suo passaporto americano La proteggerebbe, considerando i metodi che Lei descrive così chiaramente. Che ne pensa?

     Sì, ci sono vantaggi e svantaggi nello scrivere della Cina da lontano. In un certo senso, tuttavia, la distanza può anche offrirti una prospettiva diversa. Come in una poesia della dinastia Song, “Non puoi avere una vera immagine delle montagne/ finché non ti trovi fuori dalle montagne.” E questo è vero soprattutto in un paese come la Cina. Tornando spesso in Cina, ho finito per considerare la mia prospettiva nello scrivere della Cina come una combinazione di ‘interno’ ed ‘esterno’. Dopo tutto, ho vissuto tanti anni in Cina, ma ne ho vissuto altrettanti negli Stati Uniti. Di conseguenza la mia prospettiva non può non essere influenzata e formata dalla mia esperienza di vita in entrambi i paesi. Ironicamente, un giornalista cinese una volta mi ha detto che in realtà mi trovo in una posizione unica per scrivere del lato spiacevole della Cina, perché, nell’era di internet, gli scrittori cinesi in Cina non hanno libero accesso alle informazioni su problemi come la sistematica corruzione o i crimini politici: i siti web non allineati politicamente con le autorità del PCC sono bloccati e vietati. Chi usa, per avere informazioni non approvate dal governo, una VPN (Rete Virtuale Privata), può essere condannato ad anni di prigione.

     Quanto al rischio che corro, ritornando in Cina, per aver scritto sui problemi della Cina- certo che sono preoccupato. Con il deteriorarsi della situazione con Xi al potere, sono consapevole che il passaporto americano possa non essermi di protezione. Penso anche, però, che, come ha detto il mio amico giornalista, sono in una posizione unica per scrivere della Cina e sono disposto a correre il rischio di continuare a scrivere.                          

 Solleva tante questioni nel Suo romanzo e, in qualche modo, sono tutte connesse con la giustizia e la libertà. Nell’insieme, il Suo romanzo sembra avere a che fare con l’apparenza e la realtà- Orwell direbbe che è una questione di ‘double speak’, linguaggio doppio. Incominciamo con la prigione dorata che è il sistema dello shuanggui. Nel 2017 il Presidente Xi aveva detto che lo shuanggui sarebbe stato sostituito dallo liuzhi. È stato così? C’è differenza tra i due sistemi?

    Ha ragione. Lo sfondo dell’ultimo romanzo con l’ispettore Chen, “Processo a Shanghai”, è la giustizia e la libertà in Cina- e finisce per essere tanto importante quanto la vicenda dell’investigazione che è in primo piano. E ha ancora ragione quando dice che è essenzialmente una faccenda di “double speak” in Cina, per dirlo come Orwell. La frattura fra apparenza e realtà sotto il governo del PCC sta raggiungendo un livello totalmente assurdo. Prendiamo l’esempio del sistema dello shuanggui che Lei cita. In cinese, il primo carattere shuang significa due o doppio, il secondo carattere gui significa ‘designato specificatamente’, di modo che un funzionario del Partito che violasse la disciplina del Partito sarebbe trattenuto in un luogo specificatamente designato (in genere un albergo) per uno specifico periodo di tempo (di varia durata). Spesso lo shuanggui è una copertura perché non vengano fuori i dettagli sporchi della corruzione del PCC. Una tale pratica mostra di per sé che la legge non si applica al PCC, oppure che il PCC è al di sopra della legge. Nonostante le parole ufficiali sul governare secondo la legge, lo shuanggui è una pratica al di sopra della legge- portata avanti senza passare attraverso nessuna procedura giudiziaria e senza alcuna trasparenza. Ecco perché i cinesi stanno adottando una nuova ‘voce passiva’ nella lingua. Normalmente “la gente scompare”, ma, nella nuova espressione, “la gente è fatta scomparire”.

     Quanto al Liuzhi citato da Xi, è semplicemente un cambiamento di vocabolo. Liuzhi e shuanggui significano una sola cosa e sono la stessa cosa. Quello che è peggio è che il sistema dello shuanggui, in origine una pratica interna solo al PCC, adesso viene applicato a chiunque, anche ai giornalisti stranieri.

 Chen è uno studioso, ma il suo interesse per la storia del Giudice Dee è una sorta di schermo che gli permette di nascondere quello che gli importa di più, il caso Min?

     

Chen si vede ancora prima di tutto come un investigatore. Non era sua intenzione diventare un poliziotto ma, dopo aver lavorato così tanto e così a lungo come poliziotto, ormai l’esserlo fa parte di lui. Tuttavia, in “Processo a Shanghai”, è anche un poliziotto molto disilluso che lavora nel sistema che mette gli interessi del Partito al di sopra della legge. Così pensa di iniziare una nuova carriera. Questo giustifica in parte il suo interesse per la storia del Giudice Dee, ma- e questo è più importante- gli serve come copertura per la sua indagine. Intanto lui (e io con lui) ha pensato seriamente alla radice dei problemi: la mancanza di un potere giudiziario indipendente nella storia e nella cultura cinesi.

Per migliaia di anni, i giudici- come il Giudice Dee- erano funzionari con potere esecutivo. Per esempio, il cinese zhixian (sindaco di una città o di una contea) è sempre stato tradotto in inglese come ‘magistrato’, ma è sbagliato. Uno zhixian fungeva da magistrato di tanto in tanto, ma nello stesso tempo esercitava il potere esecutivo. Il Giudice Dee visse sotto la dinastia Tang, ma la situazione è rimasta uguale fino ad oggi. Soltanto i funzionari di alto livello del Partito hanno tutti e tre i poteri insieme- giudiziario, legislativo ed esecutivo.

Devo credere a Chen Cao quando dice che non ha letto “1984”? o c’è un motivo per dirlo? Il Grande Fratello tiene sotto controllo tutti ovunque in Cina. È vero il drone in una delle ultime scene? Sembra fantascienza e fa paura.


    C’è stato e c’è ancora, in Cina, un certo numero di libri ‘politicamente sensibili’- incluso “1984”- sia che siano ufficialmente vietati o no. Questi libri mettono in allerta il Grande Fratello. Di conseguenza Chen deve dire che non ha letto “1984”.

   Verso la fine di “Processo a Shanghai”, la scena del drone, che gira su Chen quando è in montagna, è vera, tranne che è successo a me a Shanghai. Con le videocamere di sorveglianza, gli scanner di riconoscimento facciale installati ovunque, insieme al sistema dei Big Data, la Cina è- letteralmente- una società di sorveglianza. E, durante il mio soggiorno a Shanghai lo scorso anno, sono stato costantemente consapevole di essere seguito, riconosciuto e analizzato dall’onnipresente rete di sorveglianza.

  


Mi trovavo in visita ad un’amica australiana ed eravamo seduti sul balcone del suo appartamento, stavamo chiacchierando con alcuni altri ospiti. Secondo la padrona di casa, sopra, sotto e ai lati del balcone erano installate delle telecamere. Supposi che la sua osservazione fosse un indizio, che era meglio che facessimo attenzione a che cosa dicevamo, là fuori. Poi, all’improvviso, venne verso di noi un piccolo drone, ronzando e spostandosi intorno al balcone. Per circa un’ora il drone continuò a girare in cerchio su di noi come una mosca insistente su un’invisibile macchia di sangue, con quel ronzio incomprensibile, finché ci alzammo per rientrare nella stanza. “E’ venuto per causa mia?”, non ho potuto fare a meno di domandarmi. Mentre il mio ispettore Chen continua sempre più a guardare nell’abisso della politica cinese, l’abisso mi riconosce. Con il mio arrivo catturato nelle videocamere di sorveglianza, con l’analisi della tecnologia di riconoscimento facciale che riesce anche a fare una stima dell’età, appartenenza etnica e genere, e a dire l’identità del ‘sospetto’, venne subito emanato un allarme. Ed ecco che era arrivato il rinforzo del drone.

L’onnipresente sistema di sorveglianza si rivela essere più duro ancora che in “1984”.

Chen Cao è un esperto sia di antica cultura cinese sia di letteratura occidentale. Sono materie entrambe studiate a scuola oggi? Voglio dire, la Rivoluzione Culturale aveva spazzato via tutto quello che era ‘vecchio’, per non dire di quello che era ‘straniero’. E adesso? Si studiano di nuovo? È stato colmato il vuoto?

   Buona domanda. Durante la Rivoluzione Culturale dal 1966 al 1967, tutto quello che era considerato ‘vecchio’ o ‘straniero’ doveva essere spazzato via. È stato veramente ironico che Confucio, condannato e denunciato in quel periodo, sia ritornato in auge negli anni post-Rivoluzione Culturale. Basta che Lei pensi ai molti Istituti Confucio in Italia. Se poi si studii Confucio, questa è un’altra storia. Si sono riprese a studiare nelle scuole le letterature straniere, anche se la censura è sempre molto stretta. Per esempio, ho provato a tradurre in cinese Il Cantico dei cantici- parecchi editori hanno dapprima mostrato interesse, ma nessuno ha poi osato pubblicarlo, per lo sfondo religioso del poema. La stessa cosa si può dire per la traduzione in cinese (non fatta da me) dei romanzi con l’ispettore Chen. Ci sono talmente tanti tagli e cambiamenti dettati dalla censura che non vi riconosco i ‘miei’ libri.

   Quindi si può dire che si può di nuovo leggere in Cina quello che è ‘vecchio’ e  ‘straniero’, ma soltanto per le parti approvate o utili alle autorità del PCC.

 

Una domanda per soddisfare la mia curiosità. Chen dice spesso che si sente vecchio e fuori moda. Ma non dovrebbe avere neppure cinquant’anni. Possiamo sperare che Jin lo aiuterà a sentirsi più giovane?

      Ho cercato di essere vago riguardo al periodo temporale di questi romanzi, perché voglio tornare in Cina per fare ricerche. Potrei avere dei guai se le autorità del PCC fossero consapevoli che scrivo libri su quello che sta succedendo in Cina in questo momento. Perciò non è un’eccessiva licenza poetica dire così poco dell’età di Chen. Dice di sentirsi vecchio e fuori moda perché la maggior parte della generazione cinese più giovane pensa e si comporta in maniera diversa- più materialista e pragmatica, meno idealista- con la scomparsa del sistema di valori tradizionale. Infatti viene preso in giro da qualche collega come ‘antiquato’. Jin sarà presente nel prossimo libro e speriamo che riesca a farlo sentire un poco più giovane.

La mia ultima domanda potrebbe metterla in imbarazzo e si senta libero di non rispondere. La pandemia da corona virus è stata uno shock per il nostro mondo e naturalmente, ce l’abbiamo con la Cina da dove tutto è iniziato. Secondo Lei, la Cina è responsabile soltanto di non aver messo in guardia immediatamente l’intero mondo contro quello che stava succedendo?

    Capisco benissimo perché la gente sia risentita nei confronti del Partito Comunista Cinese dopo che la pandemia da coronavirus ha avuto inizio a Wuhan e poi è dilagata in tutto il mondo. Il governo del PCC è responsabile non solo di non aver immediatamente avvertito il mondo, ma anche dei tentativi ripetuti di insabbiare tutto all’inizio.


Un nome molto conosciuto oggi in Cina è quello del dottor Li Wenliang che, in un post su WeChat, scrisse che si stava diffondendo in Cina un virus simile a quello della SARS, avvisando gli amici di fare attenzione. A causa di questo post fu convocato alla centrale di polizia, rimproverato, obbligato a firmare un attestato in cui si dichiarava colpevole di aver diffuso online false notizie. Tragicamente, lo stesso dottor Li fu in seguito contagiato dal virus e morì. Poco prima della sua morte Li mostrò ad altri la sua dichiarazione di colpevolezza, rivelando così i frenetici tentativi del governo di nascondere il tutto. È un esempio che dice tutto su che cosa sia stato capace di fare il PCC per mantenere l’apparenza di “va tutto bene nel mondo” per il loro governo autoritario. Infatti anche l’epidemia della SARS scoppiò in Cina e anche allora il PCC fu coinvolto nel tentativo di insabbiamento.

   Detto questo, voglio aggiungere che bisogna distinguere tra il PCC e il popolo cinese, che ha sofferto molto come la gente degli altri paesi.

intervista e recensione saranno pubblicate su www.stradanove.it



 

 

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