sabato 3 ottobre 2020

Domingo Villar, “L’ultimo traghetto” ed. 2020

                                            Voci da mondi diversi. Penisola iberica

                                                       cento sfumature di giallo

 Domingo Villar, “L’ultimo traghetto”

Ed. Ponte alle Grazie, trad. S. Sichel, pagg. 640, Euro 18,50, formato kindle 10,99

     Un angolo di Spagna, lassù a nord-ovest dove la costa è frastagliata e il mare entra nelle rías come fossero fiordi della Scandinavia con pareti di roccia meno ripide. È la Galicia.

     Una giovane donna è scomparsa a Vigo. In realtà lei abitava a Tirán, sulla parte opposta della ría- quindici minuti in traghetto da una sponda all'altra se non si vuole passare sul ponte di Rande. Mónica Andrade andava ogni giorno da Tirán a Vigo dove insegnava in una scuola di Arti e Mestieri. È suo padre, un noto cardiochirurgo di Vigo, a denunciare la sua scomparsa. La polizia dapprima non vuole fare nulla- ci sono mille motivi per cui una donna che ha più di trent’anni si allontani da casa, il più ovvio è che sia andata via con un uomo. Il padre non ne è convinto- senza avvisare? neppure a scuola dove avrebbe dovuto fare lezione? Senza contare che lui e la figlia avevano un appuntamento per pranzo. Il commissario di Vigo, legato da un debito di gratitudine al dottor Andrade, spinge l'ispettore Caldas ad occuparsi del caso. E con urgenza.

                                            ponte di Rande         

    Ad una prima ispezione dell'abitazione di Mónica alcune cose appaiono strane. Se voleva star via qualche giorno, come mai ha preso con sé lo spazzolino da denti ma non la scatoletta con le pillole anticoncezionali? Dov'è il gatto? perché non lo ha affidato a nessuno? E come mai la porta di casa è aperta? la bicicletta di Mónica è legata al molo da dove parte il traghetto, quindi è di certo andata a Vigo. E poi?

    La scomparsa di Mónica Andrade, che è già avvenuta all'inizio del libro, è l'unica cosa che accade nel romanzo “L'ultimo traghetto” di Domingo Villar. O meglio, c'è anche una sottotrama a cui si accenna e di cui capiremo la rilevanza solo alla fine.

La prima riflessione che facciamo è che deve essere molto bravo lo scrittore che è capace di reggere la tensione di un ‘giallo’ in cui succede così poco per più di 600 pagine. Ebbene, Domingo Villar è bravissimo.


    “L'ultimo traghetto” è uno di quei romanzi a cui la definizione di genere va stretta, sembra quasi che la scomparsa di Mónica sia il pretesto per dipingere un quadro con la tecnica del pointillisme, a tanti piccoli punti di colore, raffigurante la vita nelle rías baixas, la cittadina di Vigo e quella più piccola di Tirán con le persone che le abitano. Indimenticabili, sia le persone sia il paesaggio. L'ispettore Caldas intuitivo e malinconico, preoccupato per il padre che vive da solo, un amore finito alle spalle, un incontro con una vecchia conoscenza che forse segnerà un nuovo inizio, comprensivo e umano sia nei confronti del poliziotto che è il suo ‘doppio’- il colosso dai piedi di argilla, il gigante che va tenuto d'occhio perché non trascenda e che soffre di mal di schiena-, sia nei confronti del giovane Camilo. Camilo non parla, non è capace di relazionarsi con gli altri, si dondola avanti e indietro con un'espressione di perenne spavento e angoscia. Non viene mai detto ma potremmo pensare che sia autistico. Mónica lo capiva, Camilo non aveva paura di lei, erano amici e, come spesso avviene nei casi di autismo, Camilo ha una capacità speciale, il dono di disegnare benissimo. Di più, gli basta un'occhiata ed è in grado di disegnare quello che vede in un modo così realistico come se stesse copiando da una fotografia. E però è il capro espiatorio perfetto. Il padre di Monica esige un colpevole, Camilo è lì a portata di accusa.


    Al personaggio indimenticabile di Camilo, l'accusato che non ha l'uso della parola per difendersi, si aggiungono gli altri piccoli protagonisti della vita del villaggio- la madre di Camilo, il pescatore che dice di essersi innamorato di una sirena, il mendicante che parla in latino, l'inglese che fotografa gli uccelli  e le foche (un uccello ha un ruolo importante nella trama), il maestro ceramista e il liutaio. Perché quello in cui Mónica aveva scelto di vivere- una scelta incomprensibile per suo padre che d’altra parte è sempre stato incapace di capire le decisioni della figlia- è un mondo di lavori artigianali poco considerati, arricchenti anche se in una maniera non concreta.

    La possibilità di entrare in questo piccolo mondo è uno dei motivi di fascino del romanzo di Villar. Gustiamo il passo lento del romanzo, la trama fatta di sospetti, di ipotesi, di colpi di scena che crediamo risolutivi finché non vengono scalzati da altri colpi di scena, mentre, ad un certo punto e quasi d'improvviso, il tempo viene a mancare e l'azione diventa convulsa.

   Un giallo insolito, sobrio, raffinato. Molto bello.

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la recensione sarà pubblicata su www.stradanove.it



                             

 

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