Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
spy-story
romanzo di formazione
Kate Atkinson, “Una ragazza riservata”
Ed. Nord, trad. Alessandro Storti,
pagg. 360, Euro 18,00
1980. Londra. Una donna muore investita da un’auto mentre attraversa una
strada. Prima di morire pensa che forse era distratta, forse ha guardato nella
direzione sbagliata per controllare se arrivasse qualche auto- ha vissuto
trent’anni all’estero ed è tornata da poco. Qualcuno la chiama per nome per
accertarsi se sia cosciente, “Miss Armstrong…”
1950. La guerra è finita da cinque anni. Finita del tutto? Quali
strascichi ha lasciato? Juliet Armstrong lavora alla BBC, si occupa di
programmi di intrattenimento- è importante risollevare il morale degli inglesi
afflitti dalle restrizioni economiche e dalle rovine di una capitale che non è
ancora stata ricostruita. Le viene recapitato un messaggio anonimo. E’ una
oscura minaccia, “pagherai per quello che hai fatto”.
1940. La diciottenne Juliet (è stanca di sentirsi chiedere dove sia
Romeo, è questa una premessa al suo cambiare nome?) viene assunta dai servizi
segreti per sbobinare registrazioni. Passa tutto il giorno a battere sui tasti
della macchina da scrivere, cercando di capire le voci registrate sui nastri,
inventando, ogni tanto, quello che non capisce. In realtà è un compito
delicato: le conversazioni che trascrive sono tra un agente infiltrato e
cittadini britannici simpatizzanti del Reich. Ogni dettaglio può essere di
rilievo, ora che sono iniziati i bombardamenti su Londra.
“Una ragazza riservata” è un affascinante romanzo che è nello stesso
tempo romanzo di formazione e spy-story, in un alternarsi di tempi che rendono
più drammatica la vicenda e più forte la tensione. Fa tenerezza, la Juliet
sprovveduta e romantica del 1940, rimasta da poco orfana di madre e costretta,
perciò, ad abbandonare gli studi e cercarsi un lavoro. Capisce e non capisce
quello che si sta svolgendo nella stanza accanto a quella in cui lei lavora. Di
certo non capisce appieno il pericolo della situazione quando diventa agente
operativo e le si chiede di frequentare un circolo di signore filonaziste sotto
il nome di Iris. Non capisce neppure che cosa si nasconda dietro il
corteggiamento goffo e inconcludente del suo capo che le regala un anello ma
neppure le da un bacio. E poi ci sono degli sviluppi imprevisti, quello che
sembrava un gioco, una recita mascherata, si fa terribilmente serio, l’esito si
macchia di sangue. Diventare grandi in tempo di guerra è una faccenda dolorosa,
un avventurarsi letteralmente in terra straniera. La Juliet del 1950 è
cambiata, è più smaliziata, più diffidente, più all’erta. Perché sa molto di
più ed è cosciente di pericoli nascosti. Anche di quello insito nella richiesta
di un ultimo lavoro per l’MI5, anche nel riapparire sospetto di persone che non
vedeva da cinque anni. E se questa seconda narrativa è meno serrata di quella
del 1940, ha una sua giustificazione. Si tratta ancora di registrazioni, ma di
ben altro genere- è cessata l’urgenza della guerra anche se- e Juliet non se ne
rende conto affatto- un’altra guerra, ‘fredda’ questa volta, si profila
all’orizzonte. E il nemico è il vecchio alleato russo.
Come nei migliori film (o libri) di spionaggio, ci sono figure incappottate
e temibili che si appostano nell’ombra per poi ghermire la loro preda, Londra è
una città grigia dove le carbonaie sono il luogo ideale per nascondere
cadaveri, non è ancora l’era degli aerei e la Gran Bretagna è un’isola da cui
si può fuggire solo via mare vedendo allontanarsi nella bruma le bianche
scogliere di Dover. Juliet fugge. E noi, arrivati alla fine del libro, torniamo
a rileggere l’inizio.
Lo stile della Atkinson è splendido e raffinato come al solito, ricco di
allusioni letterarie, con frasi che si rincorrono lasciando una traccia come
nella favola di Hansel e Gretel (pure Juliet pensa alla favola dei fratelli
Grimm) e tocca a noi seguire i sassolini, percorso da un’ironia leggera,
stupendamente femminile.
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la recensione sarà pubblicata su www.stradanove.it
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