vento del Nord
cento sfumature di giallo
il libro dimenticato
Henning Mankell, “Il cervello di
Kennedy”
Ed.
Mondadori, trad. B. Fagnoni, pagg. 328, Euro 16,50
Non avevo letto “Il cervello di Kennedy” quando era stato pubblicato,
nel 2007. Il libro era rimasto sullo scaffale, in attesa. L’ho preso in mano perché…perché
si sceglie un libro piuttosto di un altro? Forse sentivo la mancanza di Henning
Mankell, forse ero certa che sarebbe stato il libro giusto in quel preciso
momento, che non mi avrebbe deluso come avevano fatto i libri di recente
iniziati e interrotti, uno dopo l’altro. Non mi ha deluso.
Louise Cantor, archeologa che sta prendendo parte a degli scavi in
Grecia, deve tornare in Svezia per un seminario sugli scavi delle tombe
risalenti all’età del bronzo. Prima di partire non riesce a mettersi in
contatto con il figlio Henrik. E Henrik non risponde al telefono neppure dopo
che lei prova a chiamarlo, ripetutamente, quando arriva a Stoccolma. Allarmata,
Louise va a casa del figlio e lo trova morto, sul letto, in pigiama. In
apparenza è un suicidio per overdose di tranquillanti. Eppure, nonostante sia
sotto shock, Louise ‘sente’ che Henrik non può essersi suicidato. No, non
Henrik. E poi, era in pigiama: Henrik non andava mai a letto in pigiama. E’
vero, non si conoscono mai bene i propri figli- Louise non sapeva che Henrik
avesse una ragazza, non sapeva che avesse un appartamentino a Barcellona, non
sapeva che avesse un discreto conto in banca. Che cos’altro non sapeva di lui,
Louise? Aveva cresciuto Henrik da sola, con l’aiuto di suo padre (uno scultore
di alberi che, in qualche modo, ci ricorda il padre di Wallander), perché il
marito (padre di Henrik) l’aveva abbandonata. Un uomo con cui aveva avuto una
bellissima intesa ma inaffidabile.
Inizia la ricerca di Henrik. Non di lui fisicamente, ma di quello che
era stato, seguendone le tracce, che porteranno Louise prima in Spagna, insieme
al marito che è andata a ‘recuperare’ in Australia e che scompare
misteriosamente a Barcellona (un’ennesima sua scomparsa perché è incapace di
affrontare le difficoltà? O l’hanno ucciso?), e poi in Africa. Il viaggio di
Louise è una discesa agli inferi, un viaggio nel cuore di tenebra. Inseguendo
il passato di suo figlio, incontrando le persone che lui aveva conosciuto,
Louise si scontra con la terribile realtà dell’Aids, la peste del secolo XX, e,
ancora peggio, con le mendaci organizzazione umanitarie che nascondono turpi
intenti sotto un falso altruismo, con la mancanza di scrupoli delle case
farmaceutiche che si trincerano dietro la difesa del fine che giustifica i
mezzi.
Da questo inferno nessuno può tornare
alla luce per gridare al mondo quale Male si nasconda nell’oscurità. Non c’è
nessuno scrupolo a mettere a tacere chiunque ci provi- Louise vede morire sotto
i suoi occhi chi ha cercato di parlare con lei.
Come tutti i libri del grande scrittore scomparso nel 2015, anche “Il
cervello di Kennedy” è un romanzo di ampio respiro. Se il nostro cuore salta un battito per
la paura, non è per il timore che può incuterci un assassino che uccide per i
soliti bassi motivi. E’ per un Male che sembra coprire tutto il mondo come una
nuvola nera, come nel regno di Mordor in una scena de “Il signore degli
anelli”. Potremmo tranquillizzarci dicendo a noi stessi che, dopo tutto, questa
non è la realtà, questo è solo un romanzo. Sappiamo bene, invece, che c’è anche
finzione narrativa, certo, ma c’è moltissimo di vero nell’inferno che Mankell
descrive. E allora il suo scritto diventa anche una denuncia coraggiosa che
possiamo raccogliere, se vogliamo.
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