giovedì 10 agosto 2017

Panos Karnezis, “Tante piccole infamie” 2003

                                               Voci da mondi diversi. Penisola balcanica
                                                             il libro ritrovato

Panos Karnezis, “Tante piccole infamie”
 Ed. Guanda, trad. Mariagrazia Gini, pagg. 293, Euro 14,50

    Un villaggio imprecisato, in Grecia. Un tempo imprecisato, tra la seconda guerra mondiale e oggi. Ma non ha importanza, perché il tempo si è fermato nel villaggio in cui la vita scorre immutabile e le date sono contrassegnate dagli eventi, l’ultimo mese che ha piovuto, l’anno del terremoto, oppure restano vaghe e nessuno sa quanto tempo è passato da quando gli abitanti sono stati avvisati della costruzione della diga. Un piccolo mondo circoscritto, dove non c’è la televisione e la linea ferroviaria viene a un certo punto disattivata. Passa una corriera traballante, per andare in città. Ci sono ventisette case, non raggiungono neppure il numero minimo per avere un sindaco. Questa l’ambientazione per le 19 storie del romanzo di Panos Karnezis, nato in Grecia nel 1967 e trasferitosi in Inghilterra nel 1992 per studiare ingegneria. Storie un po’ macabre, di un humour nero, correlate tra di loro per raccontarci la storia di un paese. Pochi personaggi hanno un nome: padre Yerasimo, il sacerdote che ha calcolato esattamente quando sarà la fine del mondo se i suoi parrocchiani non si pentono; Stella la zitella che accumula gioielli; Zaffiro la prostituta; il dottor Panteleon che non si è mai laureato in medicina. Poi c’è il grosso barista Balena, il Macellaio, il proprietario terriero, la levatrice, il capostazione. Una piccola infamia in ogni storia, il furto dei soldi sulla corriera, il poveraccio che muore nell’ufficio delle pensioni e nessuno se ne accorge, il ladro galante che incanta Stella con l’organetto. Crimini più grossi, qualche volta, come il padre che tiene le figlie legate a un collare, e tutti sanno in paese, ma non parlano. O il proprietario terriero che avvelena la moglie. O il macellaio che uccide il sindaco perché non gli dà più in sposa la figlia. Giustizia viene fatta, a volte in maniera sottile, in modo che nessuno risulti colpevole. A volte in maniera cruenta.
Ma l’arte di Karnezis è quella di raccontare dicendo pochissimo, costruendo un’atmosfera, colorando la scena di dettagli, lasciando il lettore libero di vedere l’insieme. Ci sono personaggi che ritornano in più storie perché hanno un ruolo importante nel paese, e altri la cui sorte era rimasta in sospeso in un racconto e trova la sua conclusione in un altro, come avviene per il ladro galante che chiede un permesso per uscire di prigione con un intento diverso da quello che pensavamo. E fa anche una fine diversa da quella che pensavamo. Qualche tocco di realismo magico nella figura dell’uomo centauro o nel pappagallo che impara Omero a memoria. Rarissime le incursioni del mondo esterno nel villaggio: una volta arriva come un turbine una fotografa che regala loro l’immortalità in uno scatto; una volta arrivano dei “cacciatori” in inverno, e questo è l’unico racconto in prima persona, perché questa è un’infamia che non ha radici tra risentimenti e ripicche, odi o rancori del paese, e la scena brutale ricorda quelle tristemente note dei rastrellamenti in tempo di guerra. Ma l’infamia peggiore deve ancora venire, e anche questa viene dall’esterno. La minaccia incombente sul villaggio fin dal terremoto iniziale si concretizza nella valanga d’acqua, causata dalla diga che pensavano non sarebbe mai stata costruita perché loro non la volevano, che spazza via le case e gli abitanti. La parola fine per il villaggio e per il romanzo.

la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net



                                                                                                     

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