martedì 9 dicembre 2025

Arturo Pérez-Reverte, “Il problema finale” ed. 2025

                               Voci da mondi diversi. Penisola iberica

cento sfumature di giallo

Arturo Pérez-Reverte, “Il problema finale”

Ed. Settecolori, trad. Bruno Arpaia, pagg. 346, Euro 23,00

   Un divertissement. Oppure un entertainment, come lo definirebbe Graham Greene. Un ‘giallo’ letterario. Un thriller del genere della ‘camera chiusa’. Un omaggio ad Agatha Christie e a Sir Conan Doyle. Un pastiche. Un’antologia di citazioni di Sherlock Holmes. Un mystery stuzzicante per il lettore. Una strizzata d’occhio a grandi attori del passato. Arturo Pérez-Reverte ritorna sulla scena narrativa con un romanzo che è una lettura piacevolissima e divertente.

      È il 1960. Una tempesta ha bloccato nove turisti nell’albergo sull’isola di Utakos, di fronte a Corfù. Al lettore viene immediatamente in mente quel capolavoro di Agatha Christie che è “Dieci piccoli indiani”. Il libro di Pérez-Reverte non finisce con ‘e poi non rimase nessuno’, non c’è neppure una filastrocca che serve da linea guida, ma di certo c’è un legame nella sequenza dei morti assassinati che inizia con un apparente suicidio, quello di una signorina inglese che viaggia con un’amica. La situazione è tipica del delitto ‘impossible’- la porta di un capanno sulla spiaggia chiusa dall’interno, una corda, una sola traccia di orme sulla sabbia. Eppure l’io narrante che verrà investito dell’incarico di indagare su questa morte, nell’impossibilità della polizia greca di raggiungere l’isola, non è affatto convinto che si tratti di un suicidio. Viene naturale affidare a lui questo compito, nello sconcerto generale. Perché è un volto noto  a chiunque frequenti le sale cinematografiche, è un attore ormai sul viale del tramonto, ma lui è Sherlock Holmes.


Aver impersonato il più famoso investigatore fa sì che abbia assimilato la sua tecnica e il suo fiuto investigativi, che si muova, guardi, ascolti, si comporti come se fosse Sherlock Holmes. E se Holmes aveva bisogno della cocaina per aguzzare l’intuito, Hopalong Basil (il suo vero nome è Ormond) si trattiene con una ferrea autodisciplina, ma le bottiglie dietro il bancone del bar sono come le sirene per Ulisse per lui. Accanto a Basil/Sherlock spunta naturalmente il dottor Watson nei panni di uno scrittore di gialli da quattro soldi, anche lui ospite prigioniero dell’isola.

   Lo scrittore e l’attore, colui che inventa delle trame e colui che le porta in scena- è come leggere un romanzo dentro un romanzo, tra i fatti che succedono nell’albergo, un secondo, un terzo morto, e i rimandi letterari, la schermaglia a battute di frasi o ricordi di situazioni nei libri di Conan Doyle o in film in cui recitava Ormond, le allusioni dettagliate a incontri o bevute insieme ad attori come Cary Grant o Tyrone Power o Ava Gardner, o perfino Sophia Loren.

Sir Arthur Conan -Doyle

     “A volte la vita imita l’arte”, dice il personaggio scrittore a Ormond che osserva che il suo è un ruolo romanzesco come investigatore sull’isola. Ed è proprio il caso di dire così, quando ogni delitto viene inscenato come se fosse tratto da un romanzo già letto. E che fare della famosa frase che è diventata un cliché, ‘l’assassino è il maggiordomo’, per indicare che il colpevole è qualcuno a cui non penseremmo perché fuori dal giro? Ne “Il problema finale” dovremo aspettare anni per sapere chi è l’assassino, dopo colpi di scena e sorprese, dopo la fine della tempesta che sembra essere diventata una tempesta metaforica, con la calma che significa sia l’arrivo della polizia sia il commiato dai personaggi.

   Un piccolo appunto sulla veste grafica del libro- che piacere leggere di nuovo un libro con copertina rigida, una rilegatura simile a quelle di un tempo e una bella carta. Sembra un’edizione in stile con i personaggi.



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