mercoledì 24 dicembre 2025

Laura Imai Messina, “Le parole della pioggia” ed. 2025

                                                    Voci da mondi diversi. Giappone



Laura Imai Messina, “Le parole della pioggia”

Ed. Einaudi, pagg. 132, Euro 16,00

 

   L’idea della donna-ombrello era venuta ad un anziano dirigente alle soglie della pensione. Aveva pensato che sarebbe stato bello organizzare un servizio che avrebbe offerto un accompagnamento con l’ombrello a chi ne era sprovvisto ed era stato sorpreso dalla pioggia. Sarebbe stato bello fare la strada sotto l’ombrello di una donna, invece che affannarsi in un combini per comperare un ombrello da quattro soldi. E così era nata l’agenzia, fare la donna-ombrello era diventato un vero lavoro. C’era una sorta di parola d’ordine con cui esordivano le donne con un grande ombrello aperto, in attesa del cliente che le aveva prenotate. Era la frase “Sono nata in un giorno di pioggia”, perché dovevano farsi riconoscere.

   È qualcosa di diverso da un romanzo, “Le parole della pioggia” di Laura Imai Messina. È piuttosto una favola, un racconto leggero, fresco come la pioggia di aprile. In quella incredibile lingua giapponese che Laura Imai Messina, la scrittrice italiana che vive in Giappone da una ventina di anni, ci ha insegnato ad amare rivelandoci la ricchezza di parole, la sottigliezza delle sfumature di significato e il ‘segreto’ che si cela dietro la scelta dei kanji, non c’è una sola parola per dire ‘pioggia’. C’è la pioggia del cuore che suggerisce un turbamento interiore, c’è la pioggia profumata (chi di noi non ha sentito come se i polmoni si allargassero, respirando il profumo che sale dal terreno dopo una pioggia di primavera?), c’è la pioggia dell’inquietudine e la pioggia sottile come il pelo di gatto, c’è la pioggia abitudinaria (è quella che cade frequentemente, quella che ci stanca) e la pioggia demoniaca (viene giù con forte intensità), la pioggia di sakura o dei fiori di ciliegio che cade insieme ai petali (immaginate la meraviglia di guardare questa pioggia rossa attraverso un ombrello trasparente). Ci sono tanti tipi di ombrello- la provvista di ombrelli viene aumentata regolarmente, le donne-ombrello sono invitate a comprarlo, se ne vedono uno insolito o particolarmente bello. E deve essere grande, per riparare due persone.


    Non c’è una trama vera e propria in questo libro che ha la pioggia come protagonista principale e una donna-ombrello che acquista una maggiore importanza- è Aya, l’unica che è nata veramente in un giorno di pioggia e che ha una storia d’amore delicata con Toru, il giovane pugile che si allena a correre per la strada più ripida della città. Non vince, Toru, ma nella vita non è necessario vincere sempre, anche chi cade ha una lezione da impartire.


Di che cosa parlano, la donna-ombrello e il suo cliente, camminando sotto la pioggia? Parlano di niente e di tutto, ma in ogni caso quello che si dicono deve restare un segreto e solo ogni tanto le donne-ombrello accennano a qualcosa, a qualche confidenza. Il ruolo delle donne-ombrello si fa duplice, impedire che il cliente si bagni e impedire che si tenga pensieri e preoccupazioni solo per sé, perché è facile parlare con una sconosciuta che non si rivedrà più. E poi Tokyo ha una bellezza insospettata sotto la pioggia, è come se ci fossero più di una sola Tokyo nei riflessi delle pozzanghere o attraverso una cortina di acqua.

  Bellissime e suggestive le illustrazioni di Emiliano Ponzi.



 

 

sabato 20 dicembre 2025

Ragnar Jónasson e Katrín Jakobsdóttir, “Reykiavík” ed. 2025

                                             Voci da mondi diversi. Islanda

cento sfumature di giallo

Ragnar Jónasson e Katrín Jakobsdóttir, “Reykiavík”

Ed. Marsilio, trad. Irene Gandolfi, pagg. 266, Euro 18,00

 

    Un caso freddo nella fredda Islanda. Sembra un gioco di parole, ma è veramente un ‘cold case’ quello della quindicenne Lára, scomparsa nel 1956, archiviato forse troppo in fretta e ‘ripescato’ trent’anni dopo da un giovane giornalista ambizioso.

     Nessuno, in Islanda, aveva dimenticato Lára, tutti ne conoscevano l’aspetto, come appariva in quell’unica foto che era stata divulgata, occhi e capelli scuri, abitino con le maniche corte. Tutti preferivano pensarla ancora viva, fuggita chissà dove, chissà perché.

Lára aveva accettato un lavoro estivo presso una coppia nota ed abbiente sull’isola di Viđey, a pochi minuti di traghetto da Reykiavík. Una sua cugina aveva lavorato presso l’avvocato Óttar e la moglie Ólöf l’estate precedente e si era trovata bene. Quel fine settimana i suoi genitori avevano aspettato invano la sua solita telefonata e al lunedì ne avevano denunciato la scomparsa. Il detective Kristián Kristiánsson era andato sull’isola, aveva fatto le domande di rito all’avvocato e alla moglie- avevano solo saputo dirgli che  Lára aveva dato le dimissioni all’improvviso, e no, non sapevano perché, non sapevano neppure se e come fosse tornata a Reykiavík. Una telefonata di un suo superiore aveva intimidito il giovane detective con un rimprovero neppur tanto velato per aver fatto ‘strane domande’ a Óttar e alla moglie. L’indagine era finita lì, anche se ogni dieci anni la stampa ridava voce alla domanda di che cosa fosse successo alla ragazza, anche se Kristián aveva saputo di altre persone presenti sull’isola, ospiti dell’avvocato, tutte persone in vista, tutte intoccabili.


    Trent’anni dopo la scomparsa- è l’agosto del 1986- un giovane giornalista si interessa di nuovo al caso. Sogna uno scoop, gli sono arrivati altri brandelli di informazioni da fonti che preferiscono restare nell’ombra. Reykiavík è in fibrillazione- ci saranno i festeggiamenti per i duecento anni dalla fondazione, ci sarà una torta lunga duecento metri, la televisione avrà un nuovo canale di trasmissioni, e poi la città ospiterà l’incontro del presidente Reagan con Gorbaciov che porrà le basi della fine della Guerra Fredda. E, nella folla che si riversa nelle strade, il pericolo è in agguato.

     Di Ragnar Jónasson abbiamo già letto la serie “Misteri d’Islanda” e “la trilogia di Hulda”, “Reykiavík”, però, è un giallo a quattro mani, scritto insieme a Katrín Jakobsdóttir, un master in letteratura islandese e primo ministro d’Islanda dal 2017 al 2024.


Nella postfazione gli autori raccontano come sia nata l’idea del libro, come condividessero i ricordi degli anni ’80, un periodo felice e spensierato, un decennio di crescita per l’Islanda, come abbiano consultato i quotidiani dell’epoca. Questo loro interesse per quegli anni si rispecchia chiaramente nel romanzo che ricrea l’atmosfera dell’isola e della capitale con ricchezza di dettagli. E, se la trama è di per sé banale, l’abilità degli scrittori tiene i lettori con il fiato sospeso non tanto sul crimine in sé, ma sull’interrogativo che gli islandesi stessi si sono posti per trent’anni- una ragazza con le valigie non può essere scomparsa nel nulla, a tutti piacerebbe che fosse viva e vegeta in America, ma non è possibile.

   La narrazione procede spedita, senza inutili lungaggini, perfetta per un romanzo di indagine poliziesca- anzi, di indagine giornalistica.

 



 

 

 

 

 

 

 

 

 

lunedì 15 dicembre 2025

Hilary Mantel, “Cambio di clima” ed. 2025

                        Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda



Hilary Mantel, “Cambio di clima”

Ed. Fazi, trad. Giuseppina Oneto, pagg. 372, Euro 19,00

 

   È appena stato pubblicato dalla casa editrice Fazi, a cui dobbiamo essere grati, “Cambio di clima”, un romanzo di Hilary Mantel del 1994, un romanzo ‘non storico’ che è stato giudicato come uno dei migliori libri degli anni ‘90.

Nel 1980 Ralph e Anna Eldred vivono nel Norfolk in una grande fattoria ristrutturata, ‘la Casa Rossa’, con i quattro figli. Cresciuto in una famiglia molto religiosa, Ralph è responsabile di un istituto di beneficienza e ogni estate ospita dei ‘casi penosi’- ragazzi sbandati, drogati, senza una famiglia e senza una casa- nella speranza di poter essere d’aiuto offrendo loro un ambiente familiare e una vita sana lontano dalla città. Sono degli idealisti, Ralph e Anna? Di certo lo erano quando, una ventina d’anni prima, erano partiti per il Sud Africa dove erano stati mandati a lavorare nella missione di una township, una delle aree urbane in cui abitavano solo i cittadini non-bianchi. Erano gli anni dell’apartheid, per Ralph e Anna era impossibile non prendere posizione contro leggi estremamente discriminatorie, al limite del disumano. Erano stati arrestati, messi in prigione e poi espulsi dal paese. Se non volevano tornare in Inghilterra, dovevano accettare di andare nel Bechuanaland (oggi Botswana). Avevano trovato ancora più miseria, servitori inaffidabili, diffidenza, malanimo. Lì erano nati i primi due figli, due gemelli, maschietto e bambina.


    La narrativa si sposta tra il presente e il passato, quello che succede adesso, nel 1980, è conseguenza di un passato dolorosissimo che viene mantenuto segreto, in famiglia e a noi lettori. Ed è un segreto tragico che suppura, che influenza i rapporti tra Ralph e Anna, tra Anna e i suoi figli. Anna non è più la ragazza fiduciosa che era partita per l’Africa, contenta di allontanarsi dai genitori. C’è come un’ombra dentro di lei, c’è un tarlo, una tristezza che viene fatta passare per un mal di cuore, perché è la cosa più facile da dire. E poi non è neppure falso, lei ha male al cuore.

Il libro iniziava con la scena di un funerale- era morto l’immobiliarista che aveva venduto la Casa Rossa agli Eldred. Ralph aveva appreso da poco che il morto era stato per anni l’amante di sua sorella. Era un segreto che tutto il paese sapeva (tranne Ralph), anche la moglie sapeva (beveva per consolarsi). Sembra un dettaglio marginale e invece- lo capiremo dopo- introduce due temi del libro, i segreti che nuocciono a tutti e il tradimento, tradimento che ha tanti aspetti, tradimento di ideali, di fiducia, di amore, di aspettative. E con il tradimento torna fuori un altro tema, quello del perdono. Dimenticare vuol dire perdonare? Oppure si può perdonare senza dimenticare? Perché, si può perdonare l’indicibile, il male assoluto?


     È uno dei ‘casi penosi’ a portare al punto di svolta del romanzo, una ragazzina difficile che gli Eldred accolgono come ospite, che riesce a fuggire, che mette in moto l’azione della polizia, che scoperchia uno dei tanti segreti, uno dei tradimenti. E c’è un altro ‘cambio di clima’ in casa Eldred, ed è il secondo cambio di clima (se per clima intendiamo anche quello dei rapporti in famiglia) in pochi giorni, dopo il cambio di clima che aveva portato Ralph e Anna in Africa e poi quello che li aveva riportati in Inghilterra. Come ci si abitua al cambio di clima atmosferico e metaforico? Come reagiscono corpi e animi e sentimenti?

     È un libro molto bello, come tutti i libri che aggiungono qualcosa di straordinario e fuori dal comune ad esperienze e storie del tutto ordinarie, che ti fanno riflettere, che sono profondi senza tediare.



martedì 9 dicembre 2025

Arturo Pérez-Reverte, “Il problema finale” ed. 2025

                               Voci da mondi diversi. Penisola iberica

cento sfumature di giallo

Arturo Pérez-Reverte, “Il problema finale”

Ed. Settecolori, trad. Bruno Arpaia, pagg. 346, Euro 23,00

   Un divertissement. Oppure un entertainment, come lo definirebbe Graham Greene. Un ‘giallo’ letterario. Un thriller del genere della ‘camera chiusa’. Un omaggio ad Agatha Christie e a Sir Conan Doyle. Un pastiche. Un’antologia di citazioni di Sherlock Holmes. Un mystery stuzzicante per il lettore. Una strizzata d’occhio a grandi attori del passato. Arturo Pérez-Reverte ritorna sulla scena narrativa con un romanzo che è una lettura piacevolissima e divertente.

      È il 1960. Una tempesta ha bloccato nove turisti nell’albergo sull’isola di Utakos, di fronte a Corfù. Al lettore viene immediatamente in mente quel capolavoro di Agatha Christie che è “Dieci piccoli indiani”. Il libro di Pérez-Reverte non finisce con ‘e poi non rimase nessuno’, non c’è neppure una filastrocca che serve da linea guida, ma di certo c’è un legame nella sequenza dei morti assassinati che inizia con un apparente suicidio, quello di una signorina inglese che viaggia con un’amica. La situazione è tipica del delitto ‘impossible’- la porta di un capanno sulla spiaggia chiusa dall’interno, una corda, una sola traccia di orme sulla sabbia. Eppure l’io narrante che verrà investito dell’incarico di indagare su questa morte, nell’impossibilità della polizia greca di raggiungere l’isola, non è affatto convinto che si tratti di un suicidio. Viene naturale affidare a lui questo compito, nello sconcerto generale. Perché è un volto noto  a chiunque frequenti le sale cinematografiche, è un attore ormai sul viale del tramonto, ma lui è Sherlock Holmes.


Aver impersonato il più famoso investigatore fa sì che abbia assimilato la sua tecnica e il suo fiuto investigativi, che si muova, guardi, ascolti, si comporti come se fosse Sherlock Holmes. E se Holmes aveva bisogno della cocaina per aguzzare l’intuito, Hopalong Basil (il suo vero nome è Ormond) si trattiene con una ferrea autodisciplina, ma le bottiglie dietro il bancone del bar sono come le sirene per Ulisse per lui. Accanto a Basil/Sherlock spunta naturalmente il dottor Watson nei panni di uno scrittore di gialli da quattro soldi, anche lui ospite prigioniero dell’isola.

   Lo scrittore e l’attore, colui che inventa delle trame e colui che le porta in scena- è come leggere un romanzo dentro un romanzo, tra i fatti che succedono nell’albergo, un secondo, un terzo morto, e i rimandi letterari, la schermaglia a battute di frasi o ricordi di situazioni nei libri di Conan Doyle o in film in cui recitava Ormond, le allusioni dettagliate a incontri o bevute insieme ad attori come Cary Grant o Tyrone Power o Ava Gardner, o perfino Sophia Loren.

Sir Arthur Conan -Doyle

     “A volte la vita imita l’arte”, dice il personaggio scrittore a Ormond che osserva che il suo è un ruolo romanzesco come investigatore sull’isola. Ed è proprio il caso di dire così, quando ogni delitto viene inscenato come se fosse tratto da un romanzo già letto. E che fare della famosa frase che è diventata un cliché, ‘l’assassino è il maggiordomo’, per indicare che il colpevole è qualcuno a cui non penseremmo perché fuori dal giro? Ne “Il problema finale” dovremo aspettare anni per sapere chi è l’assassino, dopo colpi di scena e sorprese, dopo la fine della tempesta che sembra essere diventata una tempesta metaforica, con la calma che significa sia l’arrivo della polizia sia il commiato dai personaggi.

   Un piccolo appunto sulla veste grafica del libro- che piacere leggere di nuovo un libro con copertina rigida, una rilegatura simile a quelle di un tempo e una bella carta. Sembra un’edizione in stile con i personaggi.



giovedì 4 dicembre 2025

Antonio Manzini, “Sotto mentite spoglie” ed. 2025

                                                                  Casa Nostra. Qui Italia

                                                  cento sfumature di giallo

Antonio Manzini, “Sotto mentite spoglie”

Ed. Sellerio, pagg. 546, Euro 17,00

 

    È quasi Natale, questo Natale snaturato di oggi, fatto di consumismo, luci che non rallegrano, sdolcinati canti agli angoli delle strade.

E, a tutto questo si aggiunge che, in un’Aosta dove fa freddissimo e Rocco Schiavone si intestardisce a indossare il loden e calzare le Clarks, si succedono in breve tempo una rapina in banca, il ritrovamento di un cadavere in un laghetto di montagna e la denuncia della scomparsa del marito dall’ex-moglie. È proprio il caso che Rocco rettifichi la sua lista di massime rotture.

     Incominciamo dalla rapina che ha risvolti comici per la maniera in cui i rapinatori riescono a farla franca facendosi beffe del vicequestore Schiavone- è la prima scena e la più rappresentativa in cui c’è un chiaro riferimento al titolo, ‘sotto mentite spoglie’. Il portare una maschera ritorna lungo tutta la narrativa- ci sono personaggi che assumono un altro nome e un’altra identità, ci sarà un commissario che, con una barba posticcia, si camufferà per tendere una trappola, c’è un qualcosa di cui si parla come di una bauta, maschera in veneziano, e che deve essere il nodo di tutto quello che accade (perché, ad un certo punto, diventa chiaro che i fatti che apparivano slegati sono invece collegati tra di loro), c’è infine Rocco che ormai indossa sempre la maschera di uomo scorbutico e cinico e piange dentro di sé.


    L’inizio del nuovo romanzo di Antonio Manzini riprende la narrazione da quello precedente- la giornalista Sandra è in ospedale e Rocco va ogni giorno a chiedere notizie di lei. Sandra, però, è fidanzata, la loro storia avrebbe potuto essere e non è stata, perché, anche se la moglie morta non gli appare più spesso come un tempo, anzi, se non gli appare affatto, Rocco vive nel passato, incapace di lasciarselo alle spalle. Preferisce i legami passeggeri, come quello con la biologa che frequenta adesso e che non richiede alcun impegno da parte sua. E tuttavia c’è in Rocco un filo di amarezza, di rimpianto, di nostalgia di una possibile felicità perduta.

E poi Rocco viene travolto dai nuovi avvenimenti- perché soltanto una cassetta di sicurezza era l’obiettivo dei ladri? Chi era il morto nel lago? L’identificazione è difficile, sarà il tagliandino di una tintoria sulla giacca che aiuterà a dargli un nome. La trama ci porta dalla Val d’Aosta al Senegal e qui iniziamo a intuire che si tratta di qualcosa di losco, di terribilmente ‘sporco’, perché si parla di squadre di calcio di ragazzini di colore, di un qualche prodotto farmaceutico, di grossi guadagni, di necessità di segretezza.


    La lettura di un libro di Antonio Manzini è sempre piacevole e mai banale, è vivace e ricca di humour. Il protagonista cambia lentamente, come è giusto che sia, nel corso degli anni, forse riesce perfino ad abituarsi alla città in cui è stato relegato. Il nocciolo della trama di questa sua ultima opera riguarda un problema scottante e di grande attualità di cui non mi è concesso dire altro.

Un solo appunto: un centinaio di pagine in meno avrebbero reso la narrativa più scattante.



 

mercoledì 3 dicembre 2025

Bak Sulmi, “Piccoli inganni crudeli” ed. 2025

                                                         Voci da mondi diversi. Corea

                                               cento sfumature di giallo


Bak Sulmi, “Piccoli inganni crudeli”

Ed. Longanesi, trad. M.L. Gialloreti. Pagg. 208, Euro

 

   Seoul. Mira. Yujae. Yuchon. Jiwon. Sono questi i quattro personaggi che ci offrono quattro diversi punti di vista dei tragici avvenimenti che formano la trama del thriller psicologico di Bak Sulmi, un romanzo che contiene molta violenza, nei confronti sia delle persone sia degli animali. C’è anzi da chiedersi se tutta questa violenza, che è spesso un tratto caratteristico dei film coreani, sia qualcosa di molto diffuso- per motivi che ci riesce difficile capire- nella società coreana.

    Il libro inizia con una lettera di Mira a Jiwon. Mira, sulla ventina, è stata assunta da Jiwon per dare lezioni al figlio minore Yujae. E Mira alza il sipario su quanto è accaduto poco tempo prima: il cane a cui il fratello di Mira era tanto affezionato è stato ucciso selvaggiamente dal figlio di Jiwon. Per un’incatenarsi di conseguenze, la madre e il fratello di Mira si erano uccisi.

    Il primogenito di Jiwon, Yuchon,  è l’esatto opposto del fratello. A sentire la madre, è un genio della matematica, rappresenterà la Corea alle Olimpiadi internazionali di Matematica, è studioso, un ragazzo modello. Per Jiwon esiste solo questo figlio e non si accorge della gelosia devastante del figlio minore, neppure sa- perché non le interessa- che Yujae ha vinto le Olimpiadi nazionali di Matematica. E Yujae cova la vendetta.


     Appare subito chiaro, leggendo la parte di Yujae, che questo ragazzino è uno psicopatico, pericoloso per gli altri e potenzialmente per se stesso. C’è una radice di Male in lui, anche se vogliamo scavare e cercare di comprendere il motivo del suo comportamento, c’è un gusto di fare il Male, di vedere soffrire, c’è una totale mancanza di empatia, c’è il piacere di programmare atti criminali manipolando anche altre persone al suo servizio, c’è totale mancanza di senso di colpa.

   È Yujae l’unico a macchiarsi di colpe? L’unico a commettere crimini senza il minimo scrupolo? Ognuna delle quattro parti del libro smentisce in parte, rettifica, cambia la prospettiva da cui guardiamo quello che accade. Che non ci piace. Non ci piacciono i personaggi, ci chiediamo dove siano le famiglie di questi ragazzini che si aggirano di notte cercando il divertimento nella sofferenza altrui.

    Confesso di aver fatto fatica a terminare la lettura di questo romanzo di cui, però, ho apprezzato la costruzione.