lunedì 20 ottobre 2025

Yael van der Wouden, “L’estranea” ed. 2025

                                        Voci da mondi diversi. Paesi Bassi

la Storia nel romanzo

Yael van der Wouden, “L’estranea”

Ed. Garzanti, trad. Roberta Scarabelli, pagg. 256, Euro 17,10

 

   Anni ‘60 del secolo scorso. Un paesino nell’Olanda rurale. Una casa.

Isabel, ventisette anni, è la guardiana della casa. Ricorda quando- era bambina, c’era la guerra- lei era arrivata in questa casa comperata per loro dallo zio. Con lei c’erano la mamma e i due fratelli, fuggivano dalle bombe che cadevano su Amsterdam. Ricorda anche, confusamente, qualcosa che era successo poco dopo la fine della guerra. Una donna aveva bussato alla porta, la mamma l’aveva mandata via, la donna continuava ad urlare, fuori, nel giardino.

   Isabel ama questa casa in maniera possessiva. Quasi maniacale. Esegue ogni lavoro domestico quasi fosse un rito- tagliare il rabarbaro con le cesoie e metterlo in un cestino, spolverare e passare un panno umido sui piatti esposti nella vetrina, quelli bianchi e blu con delle lepri che si rincorrono in cerchio e che piacevano tanto alla mamma.


Isabel sa il numero esatto delle posate, dei bicchieri. Un giorno trova in giardino un frammento di un piatto, si intravvede una zampa della lepre- è vero, il servizio nella vetrina non è completo, chi lo aveva rotto? Quando era bambina avevano trovato nella soffitta una lepre di pezza in una scatola di giocattoli. La lepre era diventata la sua, ma a chi era appartenuta?

    Il romanzo di Yael van den Wouden- un’eccellente opera prima shortlisted per il Women’s Prize- è scandito in tre movimenti ed è nello stesso tempo un romanzo di formazione, un romanzo d’amore con un pizzico di mystery, un romanzo storico.

   La prima parte ci introduce al personaggio di Isabel, rigida e abitudinaria, una giovane donna che soffoca la sua femminilità, che respinge acidamente il vicino di casa che la corteggia. Più tardi di lei si dirà che neppure il miele avrebbe potuto addolcire quell’aceto. Insieme a lei conosciamo i suoi due fratelli- il minore, Hendrick, che vive con il suo compagno (era stato uno scandalo quando, ancora ragazzino, la madre aveva scoperto le sue inclinazioni sessuali) e il maggiore, Louis, un donnaiolo e il vero proprietario della casa tanto amata da Isabel.


Louis arriva con la sua ultima conquista, Eva, ed immediatamente questa diventa l’antagonista di Isabel, perché è il suo opposto. Eva è audace, sfrontata, estroversa. Isabel è alta ed Eva è piccola di statura. Isabel tiene i capelli castani raccolti, Eva ha capelli un poco crespi e malamente ossigenati. Con il beneplacito di Louis Eva si installa in quella che era stata la camera della madre di Isabel, il sancta sanctorum, e Isabel, furibonda, non riesce a smuoverla da lì.

La tensione è palpabile, è una guerra di silenzi, di sgarbatezze da parte di Isabel, di provocazioni che però Eva non raccoglie.

    Il secondo movimento, la parte centrale del libro, è rovente. Mentre scompaiono misteriosamente alcuni oggetti- un cucchiaio, un vaso, un tagliacarte- l’atmosfera tesa tra Isabel ed Eva, rimaste sole dopo che Louis si è allontanato per lavoro, si carica di un nuovo tipo di tensione. La scintilla che incendia la carica sessuale di Isabel era prevedibile.

     Il terzo movimento è quello della rivelazione e non è del tutto inaspettato. Dal diario di Eva apprendiamo che il suo cognome è de Haas- e Haas significa lepre in olandese- e, a frammenti, ci viene raccontato un pezzo di Storia in cui è la “casa” che diventa la protagonista, la casa e chi ci abitava prima abbandonandola contro la propria volontà. È la Storia parallela della Shoah, la privazione di tutto quello che si è costruito nella propria vita prima di perdere la vita stessa. La casa diventa il testimone del passato, contiene lei stessa la Storia, per chi la sa intendere la casa racconta la Storia con i piatti con le lepri, con il tagliacarte, con la menorah nascosta in cantina.


    Eva era riuscita a sapere il nome degli usurpatori e aveva elaborato un piano. Eppure, nonostante tutto, il finale è un finale catartico di speranza e di pace.

   Eleganza, delicatezza, un ritmo sostenuto, un passato da non dimenticare- tutto questo fa de “L’estranea” un ottimo romanzo.

Il titolo originale è “The safekeep”, un titolo di una triste amarezza: con il sentore del pericolo, illudendosi di ritornare, gli ebrei avevano spesso affidato ciò che più era loro caro o prezioso a dei vicini che avrebbero dovuto ‘safekeep’, ‘custodirli’ per loro. Anche questa era stata un’illusione.




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