martedì 21 ottobre 2025

Marc Dugain, “Un’esecuzione ordinaria” ed. 2009

                                                     Voci da mondi diversi. Francia

la Storia nel romanzo
rilettura

Marc Dugain, “Un’esecuzione ordinaria”

Ed. Bompiani, trad. Fabrizio Ascari, pagg. 396, Euro 19,50

 

    Tutti i romanzi raccontano una storia. Ma ci sono storie e storie, romanzi e romanzi. E quando ci si imbatte in un romanzo diverso, che racconta una storia diversa, ne avvertiamo la differenza. “Un’esecuzione ordinaria”, del francese Marc Dugain, appare, all’inizio, come un insieme sfilacciato di vicende con varî protagonisti in epoche storiche differenti, in Russia o nella Germania orientale. Fino a quando ci rendiamo conto che tutte le storie convergono verso un drammatico avvenimento centrale- l’affondamento del sottomarino Oskar con il suo carico umano di centoventi uomini a bordo. E un centinaio di campanelli di allarme suonano nelle nostre teste, ricordandoci la tensione dei giorni quando il Kursk si inabissò nelle acque del mare di Barents.


    I personaggi del 2000 sono il poco più che ventenne Vanja, al suo primo imbarco per quelli che dovrebbero essere tre giorni di manovre per sperimentare il lancio di un nuovo siluro, e il presidente russo- Putin, che nel romanzo si chiama Plotov. Viene anche chiamato ‘lo zar blu’, per distinguerlo dagli ‘zar bianchi’ e dagli ‘zar rossi’ del passato. Oppure, con un’immagine del mondo animale, ‘la faina’, per quei lineamenti appuntiti e gli occhi celestrini a fessura.


Ma tutto inizia molto più lontano- non c’è mai una vera interruzione nella Storia: la nonna di Vanja era un’urologa con un dono taumaturgico nelle mani ed era stata, in segreto, la curatrice di Stalin; il nonno di Plotov era il cuoco del ‘piccolo padre’. Il primo capitolo si svolge, dunque, nel 1952, quando Olga Ivanovna Atlina viene prelevata dall’ospedale in cui lavora per essere portata da Stalin. E’ l’epoca in cui i medici ebrei dell’ospedale del Cremlino, accusati di aver ucciso Ždanov, erano stati arrestati e deportati nei gulag, e Olga Ivanovna Atlina, medico e figlia di un ebreo che ha cambiato nome, è terrorizzata. Invece la sua vita non è in immediato pericolo, almeno finché il tocco delle sue mani porterà giovamento a Stalin e lei manterrà il silenzio. Con tutti, con il marito da cui divorzia, proprio per proteggerlo. Con i superiori dell’ospedale, da cui viene licenziata, per le sue assenze. Il silenzio, la segretezza, la menzogna o l’alterazione della verità usati come arma di difesa. Questa è l’atmosfera iniziale e questa è pure- nonostante tutti i rivolgimenti, nonostante la fine dell’”impero”, nonostante il cambiamento di regime- l’atmosfera finale, mezzo secolo dopo: ancora silenzio, ancora il bavaglio alla stampa, la ridda di supposizioni. In mezzo assistiamo alla formazione di Plotov nelle fila del KGB, un ometto che non ha nulla di notevole salvo la disponibilità ad obbedire. Questo è l’uomo che, all’annuncio dell’affondamento del sommergibile gioiello della flotta russa, emette la sentenza: “Se ci sono superstiti, ritengo che non dobbiamo precipitarci a recuperarli.” Perché “da vittime diverranno testimoni, e testimoni tanto più credibili dato che sono anche vittime.”


    La voce narrante è, per lo più, quella del padre di Vanja, insegnante di storia che chiede a titolo di risarcimento- insieme all’enorme somma di denaro data alle famiglie dei sommergibilisti con l’ingiunzione di tacere- di essere messo in pensione anticipata: che senso può avere insegnare la Storia distorcendo la verità? Giustificando i milioni di morti in nome di…che cosa? Un’idea? Un ideale? Il bene dei più? Allora come adesso: perché vengono vagliate le diverse ipotesi su quello che può essere successo negli abissi e - molto molto peggio- vengono esposti i motivi per cui si sono lasciati morire anche gli uomini che battevano dall’interno contro lo scafo. Forse anche- e questo è veramente sconvolgente- i tre che avevano provato ad uscire e i cui corpi non furono mai trovati.

    Facendo eccezione al disagio che proviamo nell’ascoltar parlare Stalin- che suona un poco falso-, “Un’esecuzione ordinaria” è una bella prova narrativa- un romanzo che ha qualcosa di epico nel mescolare storie private di piccoli personaggi con la grande Storia che abbiamo vissuto e che viviamo. Che denuncia e pone domande. Che ci scuote nel profondo.

la recensione è stata pubblicata nel 2009 su www.stradanove.net



 

Nessun commento:

Posta un commento