vento del Nord
noir
Henning Mankell, “Il folle”
Ed.
Marsilio, trad A. Borini, pagg.469, Euro 21,00
E’ un’emozione, ritrovare il nome di
Mankell, il mitico Mankell, sulla copertina di un suo libro mai pubblicato in
traduzione. Perché “Il folle” è stato scritto e pubblicato nel 1977, quando
Mankell aveva ventinove anni. E Mankell ventinovenne- ce ne accorgiamo subito-
era già MANKELL. “Il folle” è un romanzo potente, impegnato, neramente
realista, infinitamente triste, della tristezza dello scoraggiamento.
Bertil Kras arriva da Stoccolma nel Norrland
nel 1947, e questa è la sua storia, o meglio, la sua e di quelli che, nell’arco
di cinque anni, ‘lo hanno fatto a pezzi e annientato’. Perché? Perché era un
estraneo, perché era comunista, perché era il perfetto capro espiatorio.
1947, solo due anni dopo la fine della guerra. Bertil non lo sapeva e la gente, poi, preferisce dimenticare e rimuovere un passato ingombrante, ma cinque anni prima alcuni di quel paese- guarda caso, quelli che se la prenderanno con Bertil- avevano mandato in regalo, e con gli auguri per un futuro di successo, dei palchi di renna all’ambasciata tedesca.
Bertil non lo sapeva, ma, nel 1940, il commissario di polizia tuttora in carica aveva ricevuto dal comando militare l’ordine di arrestare alcune persone, tutti comunisti, e rinchiuderli in un campo di prigionia di cui era stata distrutta ogni traccia alla fine della guerra. Adesso però gli ex deportati pensano sia arrivato il momento di parlare- è come una scossa di terremoto per chi era coinvolto.
Il paese è piccolo, le voci corrono veloci, si deve pure addossare a qualcuno la colpa di rimestare nel torbido. Succede poi che la segheria in cui Bertil ha trovato lavoro viene distrutta da un incendio. Doloso. Qualcuno ha visto Bertil camminare nel gelo, quella notte- certo, gli si era rotta la piccola automobile con cui tornava dalla pesca, ma ciò non toglie che è facile additarlo come ‘il piromane’. Ci sarà qualcuno che vorrà fargliela pagare di persona, e in maniera vigliacca, colpendolo alle spalle o in un’occasione quando Bertil pensava di essere tra amici, eppure nessuna indagine verrà fatta.
Un commissario di polizia inefficiente e pavido,
dei ‘compagni’ che temono di esporsi, la donna che ama e da cui è riamato che
non sopporta più la tensione e teme che la sua bambina (Bertil la ama come
fosse sua figlia) possa in futuro risentire dell’atmosfera di sospetto che
circonda Bertil, tutti lo abbandonano. Bertil resta solo, e come può reagire un
uomo se non compiendo un gesto distruttivo da folle?
Gli anni ’50. Terribili quegli anni ’50, ovunque. Per l’oscurantismo, la paranoia, l’accanimento con cui ci si perseguiva il pericolo rosso. Avevamo in mente la ‘caccia alle streghe’ del senatore McCarthy in America, ma Mankell, con la sua apertura mentale, la sua empatia, la sua sensibilità al tema politico e sociale, accende il riflettore sulla Svezia che tanto si è fatta vanto della sua neutralità. E ci colpisce quanto sia attuale il suo romanzo, o forse ci rattrista constatare quanto niente sia cambiato nonostante i cambiamenti del mondo. Ci può essere qualcosa di più sconfortante della riflessione del commissario di polizia quando lucidamente si rende conto che il suo compito non è quello di proteggere i cittadini, anzi, lui deve fare il cane da guardia, sorvegliare che i cittadini non aprano il recinto, non si spingano dove si esercitano la giustizia e il potere. E anche quella di Bertil è saggezza nella follia come nella tragedia scespiriana.
Sullo sfondo il paesaggio della Svezia del
Nord con temperature che arrivano a 24 sotto zero- un gelo che diventa
metaforico, simbolo dell’animo imprigionato nel ghiaccio, così come l’incendio
distruttore è un inutile tentativo di fare luce sui segreti del passato.
Mai perdersi un romanzo di Henning Mankell.





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