giovedì 12 settembre 2024

Diego Alverà, “Solo. Walter Bonatti dal K2 al Dru” ed. 2024

                                                                    Casa Nostra. Qui Italia



Diego Alverà, “Solo. Walter Bonatti dal K2 al Dru

Ed. 66thand2nd, pagg. 192, Euro 17,00

 

   1954 e 1955. Due estati, due date, 31 luglio e 21 agosto, due montagne, due bellissimi giganti- 8.611 metri il K2 e 3754 il pinnacolo del Dru, un ago di roccia che perfora il cielo-, due imprese che hanno segnato la vita di Walter Bonatti, giovanissimo all’epoca di queste scalate (era nato a Bergamo nel 1930).

Walter Bonatti aveva affrontato la scalata del Dru, nella parte settentrionale del Monte Bianco, come una sorta di rivincita- su se stesso, prima di tutto- dopo l’esperienza per più di un verso traumatizzante dell’anno prima sul Karakorum. E il libro di Diego Alverà a lui dedicato inizia proprio da quella grande avventura che sarebbe diventata una frustrante avventura in cui Walter aveva sfiorato la morte ma di cui, per impegno preso, non poteva parlare. Bonatti è il protagonista ideale per Alverà il cui intento è raccontare “storie grandi e piccole strappandole all’oblio e restituendole al presente, affinché ci aiutino a riflettere, pensare e comprendere…Narro i percorsi e le traiettorie di chi ha infranto schemi, di chi ha creduto nella sua personale visione violando spesso convinzioni comuni…”. Ecco, Bonatti era proprio così, Bonatti infrangeva gli schemi, credeva nella sua visione, si sentiva ed era fuori posto fra gli altri scalatori. A lui non importava piantare una bandiera su una vetta, una montagna è di tutti, non ha senso rivendicarla, così come non ha senso usare l’espressione ‘conquistare’ una montagna. Per lui scalare era un’esigenza interiore, era un modo per mettersi alla prova, per superare se stesso. Certo, era pieno di orgoglio ed entusiasta quando era stato scelto per l’impresa del K2. Erano gli anni della rinascita dopo la guerra, la fine disastrosa della seconda spedizione di Nobile al Polo Nord con il dirigibile Italia era ancora presente nella memoria di tutti, ci voleva un’impresa per  risollevare il nome dell’Italia macchiato dalle vicende belliche.


    Walter Bonatti, più giovane degli altri partecipanti, con il suo fisico robusto, con quel carattere schietto ed entusiasta, era sottilmente invidiato da tutti. Leggerete nella ricostruzione di Alverà quello che successe vicino alla cima del K2 che sarà raggiunta il 31 luglio da Achille Compagnoni e Lino Lacedelli. Qui importa ricordare la notte all’addiaccio, a 50 gradi sotto zero, di Walter e di Amir Mahdi. Quest’ultimo dovette subire degli interventi di amputazione per arti congelati, ma quello che più ferì Bonatti fu la malafede dei due ‘conquistatori’ e del professore Desio che guidava la spedizione. Eppure, con grande dignità, tacque, perché questo era l’impegno preso prima della partenza- ci sarebbero voluti 54 anni perché la verità fosse riconosciuta.

     Quella notte in piedi su un gradino nella roccia aveva insegnato molto a Walter Bonatti. A trovare la forza interiore per indurire il suo corpo, per resistere, e poi, purtroppo (è il caso di dirlo), a fidarsi solo di se stesso.

    L’anno seguente Walter avrebbe affrontato da solo quel monte la cui bellezza toglieva il respiro, il Dru dalle pareti verticali a cui ogni appiglio pareva impossibile.


   Alverà ha la capacità di farci arrampicare con l’alpinista, ci rende partecipe dei momenti di dubbio (mai di paura, Walter è sereno e lucido, altrimenti non potrebbe farcela) quando ogni via di ascesa sembra preclusa, ci fa sentire il fragore del lastrone di roccia che precipita, ci fa stringere i denti quando Walter si ferisce, esultare quando trova il modo per avanzare là dove non si può piantare nessun chiodo, ci fa toccare il cielo con lui.

  Ha qualcosa dell’eroe, Walter Bonatti. Non per quello che ha fatto, non per le cime che ha raggiunto, ma per lo spirito con qui ha compiuto queste imprese, per la lezione di vita che ci ha impartito che si riassume nelle parole rivolte al futuro scrittore che lo conobbe quando era bambino: “Non è poi così importante scalare. La cosa importante è vivere fino in fondo le proprie passioni, qualsiasi esse siano. Perché la montagna più alta e difficile è sempre quella che ci portiamo dentro”.



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