Voci da mondi diversi. Canada
Matthieu Aikins, “Chi è nudo non teme l’acqua. Un viaggio clandestino”
Ed.
Iperborea, trad. Luca Fusari, pagg. 404, Euro 19,00
Quanti libri di viaggio abbiamo letto? Innumerevoli,
ad iniziare da “Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister” di Goethe (1795)
al “Child Harold’s Pilgrimage” di Byron (1812) e altri ancora di cui citiamo,
tra i più recenti, “La strada”, il romanzo postapocalittico di Cormac McCarthy
del 2006.
“Chi è nudo non teme l’acqua”, titolo che
viene da un proverbio dari (una delle
due lingue ufficiali dell’Afghanistan), di Matthieu Aikins, è un libro di
viaggio decisamente diverso, di un viaggio clandestino ben lontano dal
romanticismo di kennst du das Land wo di
Zitronen bluehn, più vicino,
piuttosto, a Lasciate ogni speranza o voi
che entrate dell’Inferno dantesco. Mettiamoci in viaggio con il giornalista
canadese e con il suo amico afghano, Omar, e il percorso di Dante con Virgilio
nell’Inferno ci sembrerà una passeggiata al confronto. Prima di tutto perché le
pene dell’ Inferno sono la retribuzione per i peccati, mentre i migranti non
hanno altra colpa che quella di voler lasciare una terra che non gli è più
madre, di voler provare a vivere e costruirsi un futuro altrove, eppure
soffrono l’indicibile, muoiono a migliaia lungo il cammino e anche dopo, quando
credono di essere in salvo.
Kabul, 2016. I talebani imperversano,
aumentano i contrasti con il Pakistan e quelli tra sciiti e sunniti. Omar
decide che è giunto il momento di lasciare il paese. Tentenna, è incerto, è
innamorato- lo aspetterà la ragazza che ama ? si fidanzerà con qualcun altro,
sotto le pressioni paterne? Il giornalista canadese Matthieu Aikins è suo
amico, si sono conosciuti quando Omar faceva da interprete per le forze
statunitensi, partiranno insieme. Aikins è facilitato dal suo aspetto- i suoi
antenati venivano dal Giappone, con i suoi colori, con il taglio degli occhi,
può passare facilmente per un afghano. E ci sono così tanti dialetti, in
Afghanistan, che se la può cavare anche se deve parlare.
Con un piglio narrativo giornalistico, una prosa svelta e una narrativa movimentata, il romanzo si legge come un drammatico libro di avventura. E non so se la parte più drammatica sia la prima, quella colma di incertezze riguardo agli spostamenti, dopo che un piano dopo l’altro fallisce, con la difficoltà delle trattative con i trafficanti- di chi ci si può fidare?-, con l’asprezza del cammino, la paura dell’ignoto e l’altra paura, ancora più grande, alimentata dai racconti di chi ha provato a fuggire e non ce l’ha fatta, oppure sia invece più drammatica la seconda parte, quando, dopo una traversata in gommone, Aikins e Omar arrivano a Lesbo.
A Lesbo che avrebbero voluto evitare perché circolano voci tremende sul campo profughi di Lesbo, eppure forse devono considerarsi fortunati ad essere sbarcati, a non essere affondati nel Mediterraneo, “la frontiera più letale del mondo”, dove almeno trentamila migranti sono morti dall’anno 2000 in poi. Lesbo, nell’ultimo girone dell’Inferno. Il campo di Moria, sorto per ospitare 2000 profughi, era arrivato ad alloggiarne (alloggiarne?) 20000. Promiscuità, sporcizia, malattie, fame. Finito nelle fiamme di un incendio- l’Inferno, per l’appunto.
La narrazione deve la sua vivacità non solo
alle traversie e alle difficoltà del viaggio- procurarsi i visti e i documenti
e il mezzo di trasporto (pagando, sempre pagando, si intende)- ma anche a tutte
le storie che si intrecciano, della famiglia allargata di Omar e di altre
persone incontrate, all’intrico di leggi e permessi tra cui i migranti devono
districarsi. Alcune immagini ci resteranno davanti agli occhi per sempre-
quella del piccolo Alan Kurdi di due anni, che sembra essersi addormentato con
il sederino per aria, sulla riva del mare, quella dei ragazzini che si
aggrappano sotto i camion per fuggire da Lesbo, quasi fosse un gioco che però è
tutt’altro che un gioco. Per sempre, guardando un profugo sui marciapiedi delle
nostre città, ci domanderemo quale Inferno abbia passato per arrivare qui,
quale Inferno si sia lasciato alle spalle per affrontare questo, quale perdita
abbia subito. E sentiremo di essere tutti in debito con lui.
Un romanzo epico dei nostri tempi dal
giornalista che ha vinto il premio Pulitzer. Da leggere.
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