venerdì 11 agosto 2023

Roy Jacobsen, “Mare bianco” ed. 2023

                                                          vento del Nord

                 saga

Roy Jacobsen, “Mare bianco”

Ed. Iperborea, trad. Maria Valeria D’Avino, pagg.250, Euro 17,50

 

    1944. La guerra, sempre più feroce, si sta avviando alla fine, anche se nessuno lo sa, anche se i tedeschi pensano ancora di vincere. La Norvegia è occupata dai nazisti. Nell’isola di Barrøy, a sud delle Lofoten, è rimasta solo Ingrid.

    “Mare bianco”, secondo volume della saga dei Barrøy iniziata con “Gli invisibili”, incomincia con le ore di duro lavoro di Ingrid a sfilettare il pesce ed è difficile dire se il ‘mare bianco’ del titolo si riferisca solo al mare, bianco di spuma di onde, bianco di neve che cade e diventa tutt’uno con l’acqua, o anche allo scenario che si vede fuori della finestra della casa di Ingrid- bianca la terra nel lungo inverno, bianco il cielo, bianca l’aria. Come nel romanzo precedente è questo paesaggio nello stesso tempo affascinante e agghiacciante il vero protagonista, quello che influenza le azioni e i pensieri dei personaggi, il loro stesso carattere, stroncandone la voglia di vivere o rafforzandone la resilienza.

    Ingrid è forte e decisa, ha già trentacinque anni, sente la mancanza dei famigliari lontani ma ne accantona il pensiero, il suo segreto per tirare avanti è nella ripetizione dei gesti e delle occupazione giornaliere, quasi un rito che deve essere osservato.


   Poi accade qualcosa. In questa isola fatta di freddo, neve, solitudine e incontri occasionali, irrompe il mondo esterno, si fa breccia la realtà della guerra nella sua forma peggiore. Toccano terra sull’isola non uomini ma cadaveri trasportati dalle correnti. È affondata una nave al largo- una nave di prigionieri? Di che nazionalità? Impossibile dirlo dalle divise, potrebbero non essere quelle giuste. Tedeschi? Russi? Entrambi? E comunque almeno uno viene gettato a riva gravemente ferito ma ancora vivo.

     La storia, che poi è una storia di amore, di Ingrid con l’ingegnere di Leningrado è come un piccolo gioiello incastonato nel romanzo. Lei lo salva, lo trascina in casa, gli cura le ferite e le ustioni, lo nutre con la pazienza con cui si nutre un neonato, vince la diffidenza e la paura di lui, lo nasconde. Da una comprensione che passa attraverso i gesti procedono allo scambio titubante di parole, ‘io mi chiamo Alexander’, ‘io mi chiamo Ingrid’, e poi, quando fa freddo, quando sembra di essere gli unici due esseri viventi sulla terra (e lo sono, sull’isola), che altro resta da fare, se non l’amore?


    Prima i morti, poi il ferito, poi i vivi, è una piccola invasione che si rovescia sulle isole. Sono gli sfollati dal Finnmark, gente scacciata dalla sua terra che spera di ritornare ‘a casa’ quando la tempesta sarà passata, alla fine della guerra. Famiglie in cui manca il padre, orfani, vecchi, saranno tutti alloggiati in qualche maniera. È il 1944, potrebbe essere oggi.

    La fine è sospesa, la fine non finisce, c’è la prima tempesta d’inverno in arrivo. Chissà.

     Con un passo più lento di quello de “Gli invisibili”, con lo stile poetico che lo caratterizza, capace di far parlare il silenzio, Roy Jacobsen ci dipinge questo quadro bianco, così diverso da quello azzurro che noi abbiamo davanti agli occhi, ci parla delle piccole storie di gente la cui tempra è foggiata dal clima in cui vive e della grande Storia che ha colpito anche loro, che non ha risparmiato nessuno, quasi andasse in cerca di ogni sua vittima, anche nei luoghi più isolati.



 

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