venerdì 25 agosto 2023

Abraham Verghese, “Il patto dell’acqua” ed. 2023

                                                 Voci da mondi diversi. India

              saga

Abraham Verghese, “Il patto dell’acqua”

Ed. Neri Pozza, trad.Luigi M. Sponzilli, pagg. 723, Euro 22,00

   India del Sud, quello che oggi è il Kerala. Una comunità di cristiani che hanno seguito l’insegnamento di san Tommaso, arrivato su quei lidi diciotto secoli prima. Una grande famiglia nella tenuta di Parambil- ne seguiremo le vicende per tre generazioni.

    È il 1900. “Ha dodici anni e il mattino andrà sposa”. “Il giorno più triste nella vita di una ragazza è il giorno del matrimonio” dice sua madre. “Poi, se Dio vuole, le cose migliorano.”

    La bimba- perché a dodici anni è una bambina- si chiama Mariamma. Poi tutti la chiameranno ‘Grande Ammachi', che è come dire Grande Madre, un termine che esprime rispetto e amore. Va sposa ad un vedovo che ha trent’anni più di lei e un bambino piccolo. Sarà un marito buono seppur silenzioso, che aspetterà anni prima di consumare il matrimonio, pago di vedere con quanto affetto lei si occupi del piccolo Jojo. È un gran lavoratore, un uomo massiccio e forte- se dovessimo paragonarlo ad un albero, sceglieremmo il grande plavu, l’albero di jackfruit che è davanti alla casa, l’albero che porterà la tragedia in famiglia.


Era segnata nel destino quella tragedia? Perché c’è un segreto in famiglia, un segreto che affiora tra i rami di un albero, l’albero geneaologico disegnato, che rappresenta l’intera famiglia. E in ogni generazione c’è un morto annegato. È quello che Grande Ammachi chiama ‘il Morbo’, quello che fa sì che suo marito non si avventuri mai vicino ai corsi d’acqua, che ai bambini venga proibito di andare a bagnarsi a meno che non siano in compagnia. Si può combattere il destino? Solo la scienza può farlo, perché questa non è stregoneria o pura casualità e alla fine la nipote di Grande Ammachi, che porta il suo nome ed è diventata medico, scoprirà le cause del Morbo.

    Più di 700 pagine per un secolo di Storia e di storie- impossibile riassumere, possibile solo darvi un’idea. Perché c’è tutto un mondo nel romanzo di Abraham Verghese e quello che succede fa parte della vita. Ci sono nascite e morti, c’è amore e disamore, dipendenze distruttive e tradimenti, ci sono malattie (anche la lebbra, con l’apparizione di un medico venuto dal Nord Europa), monsoni accolti con sollievo ma che poi finiscono per spaventare. E c’è un secondo filone nella narrazione, quello che ha per protagonista lo scozzese Digby, il medico bravissimo che, vittima di un incendio di cui si incolperà per tutta la vita, perderà quasi del tutto l’uso delle mani, eppure…quando questo filone si ricongiungerà al primo (e sono gli anni ‘70 del ‘900), tutto acquisterà un senso, anche la sua vita.

    Parambil resta Parambil, anche se, con lungimiranza e ampiezza di vedute, le terre saranno ridistribuite, il sistema delle caste accantonato in un’India che è andata cambiando, che ha acquistato l’Indipendenza, che ha visto gli scoppi di violenza con la Partizione e con il movimento dei Naxaliti.

Mamallapuram

In qualche maniera identifichiamo Parambil con quel personaggio straordinario che è l’elefante Damo, salvato dal thamb’ran marito di Grande Ammachi. Un elefante intelligente e sensibile che sembra sapere tutto quello che succede, che si affaccia alla finestra con un ramo di gelsomino per dare il benvenuto alla sposa bambina, che collabora per strappare il figlio di Grande Ammachi dalla dipendenza dall’oppio. E insieme a lui non possiamo dimenticare Shamuel, il servitore che è la mano destra del padrone, l’intoccabile che non varca mai il confine di quello che gli è lecito, che accetta la sua subordinazione come facente parte dell’ordine delle cose, l’uomo che ha un grande cuore.

    Il potere affabulatorio di Abraham Verghese è straordinario. C’è una tale ricchezza in questo romanzo, c’è una tale maestria di stile, un’abbondanza di dettagli, un occhio per i colori, un orecchio per i rumori, che lo perdoniamo se non tutti i personaggi sono approfonditi, se forse duecento pagine in meno avrebbero giovato. Perché Verghese ci fa vivere a Parambil, ci fa vivere in Kerala. Perché ci fa pensare che, finché ci sono romanzi come “Il patto dell’acqua”, no, il romanzo non è morto.

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