Casa Nostra. Qui Italia
cento sfumature di giallo
Rosa Teruzzi, “Ultimo tango all’Ortica”
Ed.
Sonzogno, pagg. 141, Euro 11,90
Ritornano. Con la primavera e con i fiori ritorna la fioraia del
Giambellino con mamma e figlia. Libera che assomiglia a Joanne Moore, la
stravagante madre Iole e la figlia Vittoria, la poliziotta sempre un poco
imbronciata (chi, però, non lo sarebbe al suo posto? Non deve essere facile
vivere con una nonna costantemente sopra le righe e una mamma velata di
malinconia) che si è addolcita ora che è stato risolto il caso dell’assassinio
del padre, rimasto un mistero per quasi vent’anni. Prepariamoci ad una lettura distensiva,
divertente, con un pizzico di suspense perché sappiamo che Iole e Libera
saranno di nuovo sul piede di guerra, alla caccia di qualche criminale. E
chissà se, ancora una volta, il loro contributo sarà decisivo, chissà se, tra
lo sconcerto e la stizza di Vittoria, arriveranno loro per prime ad una
soluzione.
C’è una balera all’Ortica, nella periferia milanese, dove si balla
all’aperto anche in questo insolitamente fresco mese di agosto del 2014. Una
donna di una bellezza vistosa balla il tango. Gli occhi degli uomini sono fissi
su di lei. Quella notte un uomo viene ucciso nel parcheggio. Conosceva la
danzatrice di tango. Ne era innamorato. Era geloso di lei? La sorvegliava? La
importunava?
La trama ‘gialla’ de “L’ultimo tango all’Ortica” è tutta qui. Le
indagini setacceranno i conoscenti dell’uomo (la portinaia è una miniera di
informazioni- lui era un donnaiolo) e le amiche della danzatrice di tango. E,
quando diciamo ‘indagini’, intendiamo sia quelle ufficiali, della polizia, sia
quelle delle due dilettanti ficcanaso, Libera e Iole. Perché ad un certo punto
viene incriminato il maggiordomo di una cara amica di Iole (ricordate?
‘l’assassino è il maggiordomo’, un tocco di ironia, una strizzata d’occhio come
quell’accenno alla famosa banda
dell’Ortica della canzone di Jannacci a cui non possiamo non pensare, con il suo sfigato ‘palo’ che non vedeva
neppure un’autobotte) e questa si rivolge a Libera e Iole: si fida più del loro
intuito che della polizia, e lei rivuole il suo maggiordomo che- ne è sicura- è
innocente.
Lo stile di Rosa Teruzzi è inconfondibile. Frizzante, brioso, con il
giusto tocco di nostalgia per occasioni perdute, per un passato che non
ritorna, con la sua capacità di schizzare con pochi tratti dei personaggi che
balzano vivi fuori dalla pagina, di capire i pensieri e i sentimenti delle donne-
non amate in famiglia, vittime consenzienti di uomini egoisti che le sfruttano,
incapaci di liberarsi.
Forse è per bilanciare tutte queste figure di donne che
dipendono sentimentalmente dagli uomini che il personaggio di Iole è così
esageratamente sfacciato in tutte le sue scelte, di uomini, di vestiti, di
parrucche, di comportamento. Iole ci diverte, Libera ci intenerisce perché
vorremmo che fosse felice, Vittoria ci intimorisce perché non è facile leggerle
dentro. E comunque la parte di Vittoria è in secondo piano in questo romanzo,
così come quella di Gabriele che non appare affatto (e ci dispiace, tanto
quanto a Libera), e come quella dei fiori- a Milano non ci si sposa di agosto,
gli unici fiori sono nei vasetti depositati al cancello con un messaggio non
firmato: è stato Gabriele a lasciarli lì per Libera? O questo è quello che
Libera desidera e invece sono il regalo di un altro tenace corteggiatore?
La nostra lettura è incalzata dalla duplice curiosità di scoprire
l’identità dell’assassino e quella dell’uomo che parla con il linguaggio dei
fiori. Perché i romanzi di Rosa Teruzzi sono multicolori: c’è del giallo (non
molto), del rosa (di varie sfumature, ci pensa Iole ad evitare che sia
stucchevole) e infine c’è il tripudio di tutti i colori dei petali dei fiori.
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