Voci da mondi diversi. Francia
Voci da mondi diversi. Africa
prima guerra mondiale
David Diop, “Fratelli d’anima”
Ed. Neri Pozza, trad. G. Bogliolo,
pagg. 122, Euro 16,00
Ci sono due locuzioni che ritornano di continuo, una sorta di Leitmotiv
di accompagnamento alla vicenda, nel bel romanzo “Fratelli d’anima” dello
scrittore senegalese David Diop che ha appena vinto il premio Strega Europeo
2019. Per la verità di Dio che
introduce i pensieri di Alfa Ndiaye- la voce narrante- e il mio più che fratello, il mio amico d’infanzia ogni volta che
Alfa parla di Mademba Diop, morto in battaglia. Sono due locuzioni che
racchiudono tutto il significato del libro, tutte le domande che passano per la
testa di Alfa, soldato del contingente senegalese nell’esercito francese
durante la prima guerra mondiale. Perché- qual è la verità? è verità
l’insegnamento del marabutto, “non uccidere”, o l’ordine che si riceve in
guerra, quello del comandante Armand che manda all’attacco i ‘cioccolatini’
sapendo che saranno falcidiati dal nemico tedesco? Mademba Diop è stato ucciso,
il mio più che fratello, il mio amico
d’infanzia. Si può continuare a vivere quando è come se una parte di te
fosse morta, come se la tua stessa vita fosse stata portata via insieme al
ragazzo che condivideva i suoi ricordi con te? Si può vivere con il ricordo
della supplica del più che fratello
che chiedeva ad Alfa di mettere fine al suo tormento con un colpo di grazia,
quando già i suoi intestini erano usciti dal suo addome? Con il rimorso di
averglielo fatto chiedere tre volte prima di dargli una morte caritatevole. Che
cosa direbbe il marabutto? A chi importa della morte di un cioccolatino?
“Siate selvaggi”, ordinava loro il comandante. Gli faceva comodo a loro,
ai bianchi, che i cioccolatini incutessero paura con il loro aspetto inusuale.
Quando, però, Alfa ubbidisce alla lettera- di fare il selvaggio-, i compagni e
il comandante smettono presto di ridere e di congratularsi. Perché Alfa ha
deciso che farà il selvaggio per vendicare la morte di Mademba. Che
collezionerà mani mozzate ai tedeschi uccisi. Che li farà soffrire prima che
muoiano. Quando le mani mozzate e messe a seccare nella brace raggiungono il
numero sette, il comandante ha paura. Alfa non ‘fa’ il selvaggio, Alfa è un selvaggio, è impazzito. E lo manda
in un ospedale nelle retrovie dove un dottore cura quello che si incomincia a
conoscere come ‘trauma post bellico’.
Arriviamo alla terza parte di questo libro compatto e tagliente che ha
qualcosa del racconto epico raccontato oralmente, con la forza incisiva delle
sue frasi. Se la prima parte era il racconto della morte di Mademba e la
seconda quello dello scatenarsi della vendetta, la terza rallenta la furia e si
nutre del ricordo che Alfa- che non sa il francese- riversa nei disegni.
Disegna la mamma, andata in sposa giovanissima al vecchio padre di Alfa (la
storia di una perdita, di famiglie nomadi dedite alla pastorizia, di un paese
lontano anni luce dalla Francia dove ora si trova Alfa), disegna la ragazza con
cui ha conosciuto l’amore, disegna il suo più che fratello Mademba.
E il finale? Chi è Mademba e chi è Alfa? Chi è morto e chi è vivo? Non
si muore tutti in guerra? Non muore anche chi sopravvive?
La potenza di questo romanzo, che
metterei sullo scaffale accanto a “Niente di nuovo sul fronte occidentale” di
Remarque, è nel ritmo pressante del racconto dove ricordi di un tempo lontano e
di un altro più vicino si alternano, dove tutta l’angoscia di un evento che non
si comprende è acuita dall’estraneità stessa del protagonista che resterà
sempre un ‘cioccolatino’, un soldato di serie B, anche se disposto a dare la
sua vita per la Francia.
Bellissimo e singolare romanzo di formazione, una denuncia contro il
colonialismo e contro la guerra.
Leggere a Lume di Candela è anche una pagina Facebook
seguirà a breve l'intervista con lo scrittore, presente al Salone del Libro di Torino
recensione e intervista saranno pubblicate su www.stradanove.it
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